Caso Morosini: Ci si può dimenticare del defibrillatore durante un arresto cardiaco?

Piermario Morosini è simbolo di una tragedia che avrebbe dovuto cambiare il mondo dello sport, rendendolo più sicuro e più protetto. Non è ancora stato così, perché il decreto Balduzzi ha subito un ulteriore rimando che ha posticipato a luglio l’obbligo di installazione per le società dilettantistiche di tutta Italia, in tutti gli impianti.

Al di là delle polemiche e dello sdegno per questi ritardi che avrebbero già potuto ridurre il numero dei morti sui campi da gioco (leggi qui, qui, qui e qui per alcuni esempi) c’è da sottolineare come la vicenda Morosini sia ancora al centro di un processo dove sul banco degli imputati siedono anche i medici sportivi delle due società professionistiche, Pescara e Livorno.

Perché nessuno – e soprattutto nessun medico – usò il defibrillatore che era in campo, a fianco di Piermario Morosini, il giorno in cui il cuore di quel giocatore si fermò?

La domanda è semplice e forse lo è anche la risposta che gli inquirenti e i giudici daranno a tempo debito. Intanto si susseguono le testimonianze durante il processo, che parlano di un defibrillatore a terra, a fianco del paziente, e di chi non lo utilizzò.

Il turno è toccato ieri ai soccorritori volontari presenti allo stadio, della Misericordia di Pescara e della Croce Rossa. Due volontari – di cui uno infermiere – hanno detto che il defibrillatore c’era, ma i medici non l’hanno usato. “Quando sono arrivato in campo c’erano già il medico del Pescara Sabatini e quello del Livorno Porcellini, il defibrillatore era aperto all’altezza della testa di Morosini, ma non so se era acceso, e io ho segnalato per due volte che c’era il defibrillatore, ma nessuno lo ha utilizzato e nessuno mi ha detto di utilizzarlo” ha spiegato durante la fase dibattimentale l’infermiere Marco Di Francesco, che il 14 aprile 2012 era in servizio come volontario (secondo la ricostruzione del Tirreno di Livorno).I medici sul posto erano Ernesto Sabatini del Pescara, Manlio Porcellini del Livorno e Vito Molfese del 118 di Pescara. “Normalmente chi arriva prima guida le operazioni – ha proseguito Di Francesco -. Non so chi arrivò prima quel giorno, ma Porcellini stava eseguendo un massaggio su Morosini, dunque probabile che sia arrivato lui per primo e che fosse lui il leader in quel momento. Molfese ha soltanto guardato e non ha fatto niente – ha aggiunto l’infermiere -. C’era una grande confusione e nessuno dava disposizioni” ha aggiunto Di Francesco.

Andrea Silvestre è invece l’altro testimone del processo. E’ un volontario della Croce Rossa che faceva servizio a bordo campo durante la partita. “Per precauzione andai a prendere il defibrillatore e lo aprii vicino alla testa del giocatore, senza accenderlo. Non ho sentito nessuno dire di utilizzare il defibrillatore”. Le sue parole probabilmente peseranno come macigni in questo processo che da 4 anni sta cercando di individuare le responsabilità di un soccorso andato in diretta televisiva. Le parole del volontario Silvestre sono state confermate dall’infermiere del 118 Bruno Rossi e dalle volontarie Caluda Compagnoni e Alessia Consigli, tutti quanti in servizio allo Stadio Adriatico quel terribile 14 aprile 2012.

“Ero sull’ambulanza che trasportò Morosini in ospedale e ricordo che il dottor Paloscia eseguì un massaggio cardiaco durante il percorso – uno dei passaggi della testimonianza di Giacomo Bolognesi, fisioterapista del Livorno calcio -. Qualcuno disse di utilizzare il defibrillatore, ma non venne fatto”. Il defibrillatore venne applicato solo in seguito, al Pronto Soccorso di Pescara, ma per il calciatore non c’era più nulla da fare.

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