V.S.S.T. VEICOLI SPECIALIZZATI SOCCORSO TRAUMI - Storia del Progetto Twin di Bologna Soccorso
Bologna, 1988.
Stanze direzionali della USL 27.
C’è un’idea che gira nell’aria, un’idea da concretizzare. Ma cosa serve per realizzarla? Intanto determinazione, la determinazione di volerla a tutti i costi rendere realtà. Poi, un po’ di fortuna: quella di avere gli uomini giusti al posto ed al momento giusto.
L’IDEA
Partiamo da questa: per farlo, però, è necessario un sia pur sommario excursus storico, perché il progetto deve essere inquadrato all’interno di quello dei Trauma Center, senza i quali un’ambulanza specializzata come quella che stiamo per vedere non avrebbe avuto senso. Occorre allora andare parecchio indietro, e risalire alla metà degli anni ’60 quando prende forma a livello nazionale un primo abbozzo di gestione centralizzata dei pazienti. Già nel 1965 la rivista “Quattroruote” pubblicò un interessante studio sul soccorso in Italia, stimolato dalla necessità di disporre di un adeguato soccorso in caso di incidenti stradali: evento per il quale si parla di persone con traumi di diversa entità e specie. La rivista, al termine del servizio articolato su diversi numeri, formulò varie osservazioni al Ministro della
Sanità Luigi Mariotti. È utile ricordare che, anche negli Stati Uniti, si stavano ponendo le basi per una “rivoluzione” del soccorso. Nel 1966 la pubblicazione del documento “Accidental Death and Disability: The Neglected Disease of Modern Society” da parte della National Academy of Sciences portò allo sviluppo del servizio di soccorso (EMS) strutturato come oggi lo si conosce. Tra queste proposte, una in particolare viene ripresa in una circolare del Ministero della Sanità, la n. 55 del 1° Aprile 1967 con la quale si raccomandava alle articolazioni periferiche, ossia agli Uffici del Medico Provinciale, di costituire un sistema di coordinamento delle ambulanze, gestito tramite il numero 116 ACI (che allo scopo aveva già dato la sua disponibilità), differenziando i mezzi di soccorso in quelli che oggi potremmo chiamare avanzati e di base. Appoggiarsi al 116 voleva dire fruire di un sistema di raccolta delle chiamate collaudato, con sale radio già pronte in ogni provincia: tuttavia, non si ritenne opportuno lasciare gestire l’aspetto sanitario ad un Ente che non poteva avere diretta esperienza in materia.
La circolare detta dunque alcune indicazioni, raccomandando che venisse individuata la dislocazione delle ambulanze facendone anche una ricognizione qualitativa, che cioè tenesse conto del livello di assistenza che offrivano. “ I due tipi di ambulanze ( attrezzate e non attrezzate) verranno indicati nelle carte topografiche con simboli diversi…per ciascuna autoambulanza dovrà essere fornita la qualifica del personale precisando se trattasi di portantini, di infermieri o dimedici…”.
Soprattutto, avrebbero dovuto essere differenziati anche i Pronto Soccorso, in base alla maggior o minore complessità della struttura alle spalle di questi. Si evidenziava come “il traumatizzato grave deve essere trasportato direttamente ad una sede qualificata di trattamento, evitandosi, per quanto possibile, tappe intermedie presso “pronti soccorsi” (così nella circolare, NdA) isolati e scarsamente attrezzati le quali in genere costituiscono soltanto danno e perdite di tempo”. La portata di tale innovazione è evidente, ma sappiamo come è andata a finire: la realtà, sino a non molto tempo fa, almeno in buona parte della nostra Nazione, è stata ben diversa. Tuttavia un seme – almeno – era stato gettato.
LA DETERMINAZIONE
Quel seme, a Bologna, non cadde nel vuoto: le basi di quello che oggi è Bologna Soccorso furono poste proprio in quel periodo; fu allora che – su iniziativa del Prof. Vittorio Sabena, Direttore Sanitario dell’Ospedale Maggiore e del Prof. Paolo Nanni Costa ( Primario del servizio di Rianimazione) – nacque il Ce.P.I.S., un coordinamento di mezzi che si occupava prevalentemente del trasporto dei pazienti da un ospedale all’altro. La sigla era l’acronimo di Centro di Pronto Intervento Sanitario, dipendente da quello che allora era l’Ente Ospedali Bologna da cui nacque, poi, la AUSL 27 Bologna. Da questa esperienza addirittura derivò, nel 1974, una Centrale vera e propria che doveva rispondere anche a chiamate esterne, ma fu un’esperienza fortemente contrastata – soprattutto dalle varie Croci – e per anni l’attività fu limitata al coordinamento dei servizi inter-ospedalieri, urgenti e non. La validità dell’idea dei Prof. Sabena e Nanni Costa ebbe una impegnativa prova sul campo nell’Aprile del 1978, in occasione di un deragliamento ferroviario; questo evento provocò la morte di 48 persone a Murazze di Vado. Quasi 120 i feriti, a soccorrere i quali intervennero (anche) i mezzi del CePIS che seguì la gestione delle ambulanze. E gestì in quella occasione non solo le proprie, ma anche quelle delle Associazioni del territorio, coordinandone il flusso verso l’Ospedale bienti fuoristrada e cheMaggiore. Nel 1978 venne istituito il Servizio Sanitario Nazionale, e la strada verso la creazione di un vero coordinamento delle emergenze cominciò, almeno a Bologna, ad essere imboccata.
LA FORTUNA, OSSIA GLI UOMINI GIUSTI AL POSTO ED AL MOMENTO GIUSTO
Il coordinamento del Ce.P.I.S. venne affidato, di lì a poco, all’infermiere Professionale Marco Vigna. Fu lui, insieme al Prof. Nanni Costa ed al Dott. Lino Nardozzi, a gettare le basi di un sistema di soccorso organizzato in modo professionale e svincolato dalle logiche precedenti. Piano piano, i mezzi del Ce.P.I.S., che diventerà nel 1980 Bologna Soccorso, saranno parte attiva ed integrante del sistema di emergenza, non solo intraospedaliero ma anche e soprattutto di quello cittadino.
Furono fissati, forse anche inventati di sana pianta, nuovi protocolli operativi che fungeranno da modello anche per le esperienze dei futuri 118, alla nascita dei quali nel resto d’Italia – fra il 1992 e il 2000, a seguito del decreto “De Lorenzo” del 1992 – Bologna Soccorso aveva già maturato una considerevole esperienza gestionale. Esperienza messa a regime anche a seguito di altri due fatti gravissimi quali la strage della stazione del 2 Agosto 1980, e più tardi quella del treno Italicus nel Dicembre 1984. Fu a seguito del primo tragico evento che si dimostrò necessaria ed indifferibile la realizzazione di quel progetto vagheggiato da una decina di anni o poco più ma mai fin lì concretizzato: il Trauma Center, ossia il concetto che un trauma – e tanto più un politrauma – deve essere affrontato attraverso le competenze di più specialisti contemporaneamente.
Non era più tempo, non sarebbe stato più il tempo, della Ortopedia eccellenza del Rizzoli, della Neurochirurgia concentrata al Bellaria, della Chirurgia Generale basata al S. Orsola e al Maggiore. Serviva invece una serie di professionalità presenti tutte insieme, con – alle spalle delle stesse – una unità di diagnostica a risposta immediata, un centro per il sangue, una rianimazione e quanto altro potesse essere di supporto al traumatizzato.
Tutto questo fu realizzato presso l’Ospedale Maggiore. Lo stesso che ospiterà anche la Centrale destinata a raccogliere le chiamate dalla città e dalla provincia nonché il servizio di elisoccorso. A questo punto bastò alla ASL un pizzico di fortuna, consistita nell’avere tutte insieme persone del calibro di quelle citate; persone competenti, appassionate e determinate a realizzare in toto il loro disegno per creare anche l’anello mancante, la congiunzione fra mezzo di soccorso aereo e mezzo terrestre classico, entrambi afferenti al Trauma Center. In quest’ambiente prese corpo e maturò la volontà di realizzare un veicolo pensato, studiato e creato con quella specifica e particolare destinazione d’uso. I V.S.S.T.
La fase iniziale di studio risale al 1988, quando furono mossi i primi passi per lo sviluppo di una generazione di ambulanze che fosse in linea – ed anzi meglio, in anticipo – con i tempi, e che rispondessero ad esigenze di soccorso “specializzato”. In particolare, al soccorso Traumi, sia derivanti da incidenti stradali che da cause diverse. Il DM 553 era giusto di pochi mesi prima (di fine 1987) e stava trovando la sua naturale strada di applicazione. Il gruppo di studio, che vide protagonisti lo staff dirigenziale di Bologna Soccorso, il personale medico e sanitario di questa nonché ( per la parte più strettamente tecnica) l’ufficio progettazione della carrozzeria Grazia di Bologna si mise all’opera per valutare ogni elemento utile alla ottimale realizzazione di questo ambizioso ed innovativo progetto.
Primo nodo da sciogliere, ovviamente, era quello del mezzo che avrebbe dovuto supportare l’apparato sanitario. Non fu una scelta facile, se è vero che la fase progettuale durò 18 mesi, gran parte dei quali impiegati in uno studio comparativo di 12 diverse meccaniche, analizzate sia a tavolino dai tecnici Grazia, sia – e soprattutto – con prove su strada. Queste ultime dovettero tenere conto delle prestazioni, della maneggevolezza, della tenuta di strada ma anche degli ingombri dimensionali: il mezzo era destinato ad agire prevalentemente in città pertanto si rendeva necessario coniugare la cubatura interna ( che doveva contenere agevolmente ogni attrezzatura sanitaria e lasciare lo spazio necessario al movimento degli operatori) con la facilità di manovra in ambienti strutturalmente ristretti – come il centro storico – o a mobilità difficile come il traffico delle ora di punta. Come ricorda Marco Vigna, coordinatore del 118 Bologna soccorso
“ Ci orientammo verso un veicolo con telaio separato dalla carrozzeria ( quindi non a scocca portante, NdA): ciò avrebbe consentito di alloggiare al suo interno – togliendo ingombri dal vano sanitario – le batterie ed altri elementi di servizio, ottenendo grazie a ciò anche un abbassamento del baricentro della macchina a vantaggio della stabilità. Il passo doveva essere corto ( compatibilmente con le dimensioni del mezzo) per permettere la manovra nelle stretta strade del centro storico di Bologna, dove le 12 meccaniche furono testate. Anche la scelta della trazione posteriore fu influenzata dalla necessità di guadagnare preziosi gradi nella sterzatura del mezzo: infatti, le ruote anteriori sono sgravate dal compito di “tirare” il mezzo, ed hanno per così dire “naturalmente” un miglior angolo di sterzo, essendo questo il loro compito unico. Inutile dire che anche un buon raggio di curvatura era vantaggioso nell’affrontare le strette strade del cosiddetto “Ghetto” di Bologna. Il mezzo poi – per ragioni di economicità legata alla maggior disponibilità di personale con patente B – doveva rientrare nel limite dei 35 q.li di peso”.
Il veicolo scelto dalla squadra di valutatori fu, alla fine, l’ Iveco 35.10 con il passo ( ossia la distanza fra i mozzi delle ruote anteriori e posteriori) di 3.310 mm, ruote gemellate posteriori per una miglior stabilità, e motore 2.500 Turbodiesel. L’unica vera controindicazione, comune peraltro anche a buona parte degli altri veicoli valutati, era la meccanica di derivazione più camionistica che automobilistica: il che si traduceva, in particolare, in un comfort ridotto non tanto per la rumorosità generale, quanto per lo scarso assorbimento delle asperità della strada che fornivano gli ammortizzatori decisamente rigidi. In effetti, questi erano progettati per portare carichi pesanti, che per loro natura non avevano certo bisogno della morbidezza che poteva invece garantire un’auto.
“ Risolvemmo il problema montando la barella – ricorda ancora Marco Vigna – su un piatto ammortizzante Stem C-4 con sospensione idropneumatica autolivellante, ottenendo così un buon compromesso tra tutte le diverse esigenze che dovevano coesistere. Ricordo che l’ambulanza venne anche esposta proprio in virtù delle sue caratteristiche particolari alla fiera internazionale Interschutz che si svolge ogni 5 anni in Germania, alla presenza di allestitori ed operatori di settore provenienti da ogni parte del mondo. E fu l’unica presenza di un mezzo italiano in quella importantissima vetrina mondiale”.
Forti delle esperienze e degli studi condotti in un anno e mezzo, venne finalmente avviato l’allestimento del primo veicolo nel Giugno del 1990. Questo può essere considerato un prototipo o meglio un laboratorio viaggiante. Immatricolata con la targa BO F47972 nell’Agosto del 1991, quest’ ambulanza servì infatti come base per la realizzazione di una gemella sulla quale vennero però fin da subito apportate le modifiche che l’esperienza diretta del soccorso aveva indicato come necessarie ed utili. Il secondo V.S.S.T. entrò in servizio sul finire del 1991, con la targa BO F50810, seguita nel Novembre dello stesso anno da una terza unità ( BO F61798) che avrà però finalità di soccorso in ambienti fuoristrada e che fu realizzata su Iveco 35.10 a passo corto e 4 ruote motrici, basato in postazione di montagna. Era una macchina che esulava dal concetto originario dei V.S.S.T.: la ricordiamo qui perché, vista dall’esterno, aveva identica livrea e poteva essere scambiata tranquillamente per un veicolo simile. Il servizio V.S.S.T. ( acronimo di Veicolo Specializzato Soccorso Traumi) viene presentato ufficialmente alla stampa nel Maggio 1992, anche se abbiamo visto come a quella data le ambulanze A.G.V. – Ambulanze Grande Volume, altro nome con cui potevano essere identificati questi due Daily – fossero già in linea da circa 10 mesi. Nella “specializzazione” del servizio, fuori dagli schemi consueti, rientrava anche la composizione dell’equipaggio, formato, oltre che dall’autista, da altre 3 figure: il medico anestesista-rianimatore, e due infermieri professionali, uno “in prestito” da uno dei reparti di rianimazione della ASL, e l’altro in forza stabile al 118.
Bologna Soccorso. La partenza era prevista non dalla sede del Maggiore, come le altre unità, ma da punti strategici predefiniti presso i quali l’ambulanza stazionava in stand-by; l’allertamento avveniva tramite i cercapersone, dotazione standard di ogni membro dell’equipaggio in turno, in un momento in cui i telefonini erano ancora a diffusione quasi nulla. L’ operatività dei Twin era prevista dalle 8,00 alle 20,00 di ogni giorno: se vogliamo, anche in questo possiamo trovare una similitudine con l’elisoccorso alla cui esperienza di 5 anni si rifaceva anche l’impianto di questo servizio. Non a caso il nomignolo Twin derivava proprio dal fatto che i veicoli erano stati concepiti per operare in parallelo all’elicottero. La zona elettiva di intervento era l’ambiente urbano ma, specialmente nei casi in cui l’elicottero non poteva operare, l’utilizzo dei Twin era previsto anche in ambito extraurbano. Del resto, aveva le stesse caratteristiche – per quanto possibile – del mezzo aereo in appoggio al quale spesso e volentieri interveniva nei casi in cui gli operatori di Centrale ne ravvisavano la necessità.