Buon Compleanno, Automedica! Un'idea emiliana che ha fatto scuola in Italia
Era il 1988 ed un gruppo di "centodiciottisti" con anni di servizio alle spalle ideò uno strumento di lavoro che ancora oggi è la base di ogni servizio stay&play in Italia. storia della Regata della Pubblica Assistenza di Parma
PARMA – Correva il 28 marzo del 1988 quando a Parma venne inaugurata la prima automedica in servizio in Italia. Sulla fiancata c’era ancora il numero 20.88.88 perché il 118 era ancora un’idea nella mente di pochi fra medici e infermieri d’emergenza-urgenza. Ma quella Fiat Regata allestita da Aricar per l’Assistenza Pubblica di Parma era un vero gioiello della tecnica di allestimento.
Il merito di questa idea va diviso fra alcuni pionieri, primi fra tutti il dottor Paolo Zuccoli, primario del reparto di Anestesia e Rianimazione dell’ASL di Parma, e il coordinatore infermieristico dello stesso reparto, Luigi Jannacone, oggi presidente dell’associazione SEIRS Croce Gialla.
Quando questo gruppo di lavoro – che comprendeva anche il dottor Vicari e alcuni fra i più esperti soccorritori di Parma dell’epoca – si mise attorno ad un tavolo aveva un’idea precisa: fare in modo che un medico specialista in rianimazione arrivasse sul luogo dell’incidente per portare l’ospedale dove la persona ne aveva più bisogno, e rispettare così i dettami delle innovative nozioni sull’Advanced Life Support che in quel periodo stavano iniziando a diventare applicabili. La Golden Hour che era stata teorizzata dal dottor Adams Cowley all’Università del Maryland stava venendo applicata in quasi tutti gli Stati Uniti, negli anni ottanta. Grazie alle osservazioni effettuate durante la seconda guerra mondiale e alle informazioni raccolte sui traumi maggiori negli incidenti di Baltimora, Cowley espose quella che oggi è una regola aurea del soccorso pre-ospedaliero. Arrivare il prima possibile permette di aumentare considerevolmente le chances di sopravvivenza del paziente traumatizzato o politraumatizzato con perdite massive di liquidi ed emorragie. Si trattava di passare dal “load and go” allo “stay and play” e nel corso della pratica e degli anni, questa scelta si rivelò vincente nell’applicazione sui servizi di emergenza più avanzati e con meno problematiche di sicurezza.
Parma all’epoca poteva vantare su alcuni dei migliori servizi d’ambulanza in Italia. Assistenza Pubblica e Croce Rossa garantivano e garantiscono ancora oggi una copertura con servizi che rispettano i 7 minuti di invio in area urbana e 20 minuti di invio in area extra-urbana, nonostante la dimensione del comune parmigiano non sia proprio piccola.Ecco perché trent’anni fa nacque un’idea poi diffusa in tutta Italia con grande premio e vantaggio per la dislocazione sanitaria e la gestione delle priorità sulle emergenze.Oggi come allora l’automedica è il veicolo principe per le emergenze, superato soltanto dall’elisoccorso che con le sue 3.600 ore di volo garantisce in pochissimo tempo la presenza del medico in un’area vasta che comprende le provincie di Parma, Reggio Emilia e Piacenza.
Ma tornando a trent’anni fa, quando nei cieli di Parma volava l’indimenticato e compianto A109 “Charlie Alpha” e chi voleva un soccorso doveva ancora chiamare direttamente in “Croce” oppure in “Pubblica”, l’idea di fare un’automedica dev’essere sembrato qualcosa di futuristico e forse bizzarro. Nacque quindi Regata88, che già dal tipo di veicolo e dal nome avrebbe dovuto solcare il traffico cittadino per evitare code e intralci, garantendo un puntuale arrivo dell’equipe professionalizzata sul posto dell’incidente. Negli anni ottanta i soccorritori volontari erano meno preparati per eseguire manovre di rianimazione e per usare dei presidi medicali rispetto ad oggi. Il “barelliere” caricava il paziente e lo trasportava. Ancora oggi il volontario non ha e non deve avere competenze mediche – anche se la figura ha visto aggiornamenti e si prepara con molta più attenzione alle attività e all’approccio nei confronti del paziente – e il pensare un servizio senza il supporto della medicalizzata o dell’infermierizzata sarebbe assolutamente assurdo e fuori dalla realtà internazionale.
Per questo bisogna dare merito a Zuccoli e Jannacone, entrambi Consiglieri della Pubblica Assistenza all’epoca, di aver ideato un sistema che sovvertiva la normalità e che poteva davvero ridurre il tasso di morti fra i pazienti critici che arrivavano in Pronto Soccorso senza nessuna stabilizzazione.
“Ricordare quel periodo significa entrare in un periodo molto complesso per il soccorso in Italia – spiega Luigi Jannacone, oggi a capo della SEIRS di Parma – siamo prima dell’attivazione del 118, le prassi americane erano lontane dall’applicazione nel nostro paese e noi abbiamo studiato i primi embrioni di servizi di emergenza con centrali operative e mezzi avanzati. Siamo stati per esempio a Lubecca, che per dimensioni e territorio era simile a Parma, per capire bene come si faceva la gestione sanitaria degli incidenti stradali e come si facevano gli interventi a bordo di vetture che erano – allora – gestite dalla Polizia. Facemmo un progetto che venne approvato anche grazie a dei donatori, bisogna ricordarlo. La prima versione dell’automedica sembrava una macchina del giro d’Italia, perché non esistevano normative sulle automediche e anche l’omologazione del veicolo che era una Regata è stata creata lì, in quel momento. Noi la chiamavamo “la Carla Fracci” perché era tutta sproporzionata, ma si muoveva in un modo incantevole nel traffico”.
“Abbiamo affrontato diversi problemi all’epoca, soprattutto perché la normativa e la mentalità erano differenti. Allora c’era il caricamento e l’invio in ospedale. I primi interventi fatti sul posto venivano visti molto male, la gente ti chiedeva di caricare e di andare, di muoversi per correre in ospedale. Non capivano, a volte ci contestavano, ci offendevano”.
L’idea era di attivare un’auto a bordo della quale fossero presenti un anestesista-rianimatore con attrezzatura ospedaliera, e garantire così in una moltitudine di situazioni l’approccio stay and play americano.
Fu così che inizò la svolta, anziché portare il paziente in ospedale si tentava di portare l’ospedale al paziente.
Questa rivoluzione comportò notevoli costi a carico della Pubblica, dal compenso ai medici all’acquisto di mezzi e materiali, all’addestramento dei volontari perché acquisissero nuove competenze. Fu un periodo di grande eccitazione, dove bisognava combattere anche all’interno della Pubblica contro mentalità tradizionaliste che avevano sempre creduto che il soccorso non dovesse cambiare.
Quando si fanno cose innovative come l’automedica bisogna attendere anche critiche e battute acide, così l’automedica di Parma fu derisa e chiamata “la giostra”, ed i medici che vi lavoravano dall’interno dell’ospedale non venivano certo presi in considerazione come antesignani di un servizio oggi estremamente avanzato e apprezzato. Per non parlare del cambio di approccio sul paziente e sul contesto: non c’erano più le pareti di una sala operatoria a dividere l’equipe medica dai parenti o dal contesto, non c’era più una distanza quasi abissale fra il momento dell’incidente e il momento della cura ed eventualmente della comprensione della fatalità. Questo creava nuove problematiche da risolvere, come l’approccio psicologico ai parenti, alle vittime, al contesto. Oltre al burn out e ad uno stress che oggi sappiamo essere estremamente più complesso da gestire in ambiente extraospedaliero che in ambiente protetto. La letteratura sul soccorso extraospedaliero dell’epoca poi era agli albori, e tutti i “centodiciottisti” come Vigna a Bologna, Misley a Modena e tanti altri, erano considerati pionieri che di fatto si potevano addestrare ed affinare nelle tecniche di soccorso sul campo.
Come tutte le rivoluzioni, gli effetti si vedono a distanza. L’automedica è una realtà imprescindibile in tutti i 118 del nostro paese. Il servizio ha di poco anticipato la rivoluzione del numero unico nazionale, arrivato nel ’92, ed è stata una rivoluzione che si è affiancata all’utilizzo degli elicotteri per il trasporto dei pazienti.
Oggi quindi la “Papa 30” (il nome utilizzato per le conversazioni via radio e dedicato alla automedica dell’Assistenza Pubblica di Parma) ha compiuto 30 anni e la vogliamo ricordare con una gallery realizzata dal nostro “storico” dell’ambulanza Alberto di Grazia.
L’Assistenza Pubblica ricorda giustamente con orgoglio questa innovazione portata in Italia: “Non dimentichiamo quello che è stato fatto ed è un grande insegmaneto per tutto il movimento – spiega il presidente dell’AP di Parma Luca Bellingeri – affinché si vada avanti e dare ai parmigiani servizi sempre migliori. Vogliamo sviluppare l’Assistenza Pubblica tenendo fermi i capisaldi del passato per adeguarli alla situazione attuale. Teniamo fede al principio della qualità, perché diamo un servizio che può essere di alto livello e incisivo sulla vita dei parmigiani. Avere un servizio di questo tipo può fare la differenza fra un buon esito o meno e continuiamo ad adattarci ai temi attuali nel migliore dei modi, avvalendoci della collaborazione dei migliori professionisti disponibili, come medici specializzati in anestesia e rianimazione o infermieri di area critica. Oggi Assistenza Pubblica Parma vuol dire circa 60.000 trasporti l’anno con mezzi di soccorso e servizi sociali con i nostri pullmini attrezzati, abbiamo 900 volontari che si distribuiscono sui tante attività che offriamo grazie ai nostri iscritti a tutta la comunità. E’ un segno dell’evoluzione dei nostri servizi il fatto che trent’anni fa c’era l’ambulanza e l’auto medica, mentre oggi siamo anche rivolti al sociale, che è un’attività predominante con 20/25 mila trasporti l’anno, a fianco dei 2000 servizi di automediche e ai 3000 servizi di ambulanza”.
MA QUALI SONO OGGI LE AUTOMEDICHE PIU’ BELLE IN ITALIA? DIRETTAMENTE DA FIAMMEBLU ECCO LE FOTO DEI VEICOLI PIÚ APPREZZATI