La notte del panico di Torino: cosa è successo e come hanno reagito i servizi di emergenza?
Un evento comunale organizzato con pochi giorni di anticipo, ha messo a dura prova tutto il sistema dell’emergenza, che però ha avuto una reazione che potrebbe diventare da manuale e portare novità nell’organizzazione degli eventi. Scopriamo cosa è successo davvero in Piazza San Carlo a Torino dopo la generazione del panico assoluto.
TORINO – Se la cronaca dei momenti di panico e delirio a Torino, in Piazza San Carlo, ha già coperto a 360 gradi ogni situazione e i numeri sono già chiari, mancano i dati sul come è stato organizzato l’evento e sul come è stata data una risposta immediata, quasi anti-terroristica, da parte del sistema di emergenza-urgenza di Torino. Durante la terribile notte del 3 giugno, per la finale di Champions League in Piazza San Carlo, abbiamo appurato che non è stata fatta alcuna concertazione tecnica con i servizi di emergenza piemontesi. Perché ad oggi è questo che prevede la normativa: se l’evento è “comunale” non è necessario avere l’autorizzazione o confrontarsi con nessuna struttura di sicurezza. Ad oggi non è neppure obbligatorio informare il 118 di un evento come quello organizzato a Torino, cosa che comunque l’amministrazione locale ha fatto due giorni prima della finale.
La responsabilità organizzativa dell’evento in Piazza San Carlo quindi è stata tutta del Comune di Torino e per gestire l’evento, in piazza erano presenti due medici, squadre di soccorritori a piedi, un PMA e due ambulanze. L’afflusso stimato di persone all’inizio della partita è stato di circa 30.000 tifosi della Juventus. Per cercare di fare luce sulla risposta del sistema di emergenza all’evento dopo lo scatenarsi del panico, abbiamo intervistato telefonicamente il direttore sanitario del 118 di Torino, il dottor Ciriaco Persichilli, che – dalle testimonianze raccolte e dai numeri dei trattamenti effettuati in circa 4 ore – può giustamente dirsi orgoglioso dei suoi medici, dei suoi infermieri e dei soccorritori volontari della città.
“Da un punto di vista tecnico, un evento come quello di Piazza San Carlo aveva una copertura adeguata, anche se non era assicurata da un servizio pubblico ma da una gestione privata. Questo evento si può paragonare all’organizzazione sanitaria che viene effettuata per una partita di calcio di serie A. Più che il numero dei soccorritori presenti durante l’evento, è da valutare la reazione successiva al fatto che si è verificato, una reazione che non era nemmeno prevedibile”.
L’eventualità ordinaria quindi era gestibile, ma quando un fatto non ancora chiarito ha generato un panico massimo in una folla molto grande, il servizio è diventato drammatico. “Anche in un rave, per esempio, ci sono rischi elevati e ci sono un determinato numero di soccorritori. Però quando scatta qualcosa di grave e ci si trova a dover gestire 1.500 feriti medicati in itinere, diventa complesso per chiunque gestire la cosa.
Noi abbiamo attivato la centrale di maxi-emergenza perché appena si è generato il tutto abbiamo attivato i mezzi reperibili, la centrale con me e il capo-sala a coordinare, abbiamo inviato il medico coordinatore, abbiamo attivato tutte le medicalizzate sul territorio e fatte coinvogliare in zona, con loro ci siamo rapportati alle autorità e alle forze dell’ordine. Abbiamo attivato i mezzi pubblici per l’evacuazione e la gestione dei feriti più lievi. Tutti gli ospedali dell’area sono stati attivati con il circondario di Torino. La risposta è stata immediata e grande da parte del mondo del volontariato. I nostri medici hanno fatto interventi rapidi sui codici maggiori, i due più gravi che hanno avuto grande evidenza mediatica, sono casi che hanno avuto un’approccio rapido e immediato. Poi abbiamo lavorato sugli ospedali periferici di Moncalieri, Chieri, Chivasso dove abbiamo appunto mandato i codici più lievi. Le strutture cittadine sono state preservate perché abbiamo capito subito che sarebbero stati costretti a gestire l’ondata dei feriti che da soli, a piedi o in auto, avrebbero cercato di raggiungere un posto sanitario. Le Molinette e il CTO quindi non sono stati usati da noi, se non per l’evento traumatico maggiore. Ci siamo riservati gli ospedali centrali di Torino perché sono i DEA di secondo livello più importanti. Li abbiamo preservati dai codici verdi in caso di codici maggiori. Per fortuna i codici erano quasi tutti verdi.
Per il 118 abbiamo avuto a disposizione i mezzi pubblici con gli autisti e quindi, oltre ai pulmini delle varie associazioni, ci sono stati anche dei mezzi grandi per portare in ospedale feriti in elevate quantità, senza impegnare mezzi sanitari che potevano essere utilizzati in altro modo.
Va poi detto che le associazioni cittadine hanno messo a disposizione le sedi associative. Tutte le associazioni vanno ringraziate. Croce Verde in Piazza San Carlo e Croce Rossa in Piazza Castello hanno messo a disposizione le sedi e possiamo dire che sono stati PMA ulteriori. Loro hanno potuto fare questo sempre coordinandoci con noi, hanno dato grande supporto logistico ma tutte le associazioni sono state ottime e tutti hanno lavorato tantissimo. Medici, infermieri e volontari hanno fatto tantissimo in condizioni davvero complesse. Vanno poi ringraziati anche quelli che erano fra la folla e si sono messi a disposizione subito”.
L’evento di Piazza San Carlo sarà però una lezione anche per il futuro. “Abbiamo percepito che i soccorritori si sono resi conto dell’enormità dell’evento. In due ore e mezzo l’evento si è risolto. C’è stato grande assembramento nei punti di medicazione, abbiamo gestito due eventi maggiori: un arresto cardiaco e un trauma da schiacciamento. Quando però hai 40 e più persone che ti chiedono aiuto e devi gestire un codice rosso, credo ci sia da levarsi il cappello davanti alle capacità di chi è intervenuto. Questa è stata una gestione che ci fa riflettere tanto, perché alle 22.20 è accaduto Torino, mentre alle 22.08 è accaduto l’attacco al London Bridge.
Qui avevamo 30.000 persone che scappavano con 1.500 feriti trattati subito. Ad oggi non è la bomba che fa paura e che deve fare paura, è anche il panico. Va messo in conto nella gestione delle maxi-emergenze e degli eventi in sé”.
Questo tipo di incidenti devono quindi far sviluppare strumenti nuovi o più completi per la gestione degli eventi. E’ abbastanza chiaro che gli assembramenti di massa non possono essere cambiati, ma le risposte e le tipologie di preparazione dovrebbero essere studiati in modo diverso. Da questo punto di vista bisogna ricordare che gli eventi regionali devono avere l’applicazione del protocollo Mauer, mentre oggi questa dotazione minimale non è richiesta per gli eventi comunali. Una mancanza normativa che andrà sicuramente affrontata nei prossimi mesi, perché se è cambiato il modo di radunarsi delle persone, sono anche cambiati i pericoli che si possono affrontare. E va – drammaticamente – pensato anche un sistema per gestire il panico o limitarlo nella sua diffusione.