La SLA può essere fermata. Ecco a cosa è servito #icebucketchallenge
“Si può fermare la SLA“. Queste semplici parole le hanno dette i ricercatori della John Hopkins University dopo la presentazione del loro ultimo studio sulla Distrofia Laterale Amiotrofica, una malattia terribile contro cui – nell’estate 2014 – è stata attivata la più grande raccolta fondi mai realizzata sui social network, il famoso #IceBucketChallenge a cui hanno partecipato centinaia di migliaia di persone. I soldi – 220 milioni di dollari circa – hanno permesso ai ricercatori di effettuare un esperimento speciale su una proteina, che fino all’anno scorso i ricercatori consideravano importante nel processo di degenerazione della SLA, ma che non è mai stata studiata in modo approfondito per la mancanza di fondi sufficienti a compiere un test sufficientemente credibile. Oggi Philip Wong, il ricercatore che ha guidato il team di lavoro alla John Hopkins University, ha annunciato i nuovi sviluppi dello studio e ha ringraziato chi ha effettuato le donazioni: «Senza quella campagna non saremmo stati in grado di concludere i nostri studi così velocemente. I fondi dell’Ice Bucket Challenge sono solo una parte dei nostri finanziamenti, ma hanno contribuito a rendere il nostro lavoro più semplice». Wong e il suo team hanno studiato la SLA per dieci anni, ma come ha detto anche un altro scienziato, Jonathan Ling, sono stati i milioni di dollari raccolti con l’Ice Bucket Challenge a dare ai ricercatori la stabilità finanziaria per realizzare una serie di esperimenti molto dispendiosi ma molto promettenti, ad alto rischio e ad alto potenziale. «Il denaro è arrivato nel momento critico, quello in cui ci serviva», ha detto Wong.
Soltanto un anno fa di questi tempi Facebook era pieno di video e foto di persone che si gettavano addosso secchiate di acqua fredda, in nome della ricerca scientifica. Il cosiddetto “Ice Bucket Challenge” era la campagna virale del momento: uno sforzo collettivo per sensibilizzare l’opinione pubblica e raccogliere fondi a favore della ricerca sulla sclerosi laterale amiotrofica o SLA, nota anche come morbo di Gehrig. Quel fenomeno fu anche criticato e definito un esempio di “slacktivism”, o “attivismo da clic”: un modo per permettere alle persone di soddisfare il loro narcisismo facendole sentire utili con il minimo sforzo, e senza ottenere particolari risultati. Dopo un anno e 220 milioni di dollari in donazioni fatte soltanto negli Stati Uniti – in Italia sono stati raccolti oltre 2,4 milioni di euro soltanto dall’AISLA; poi ci sono la fondazione Stefano Borgonovo e l’ASLA – gli scienziati della Johns Hopkins University dicono di essere arrivati a una svolta nella ricerca sulla malattia: e dicono che il merito è almeno in parte del denaro e dell’attenzione ottenuta con la campagna.
La SLA è una malattia relativamente rara. Negli Stati Uniti ogni anno muoiono circa 7.000 persone per la SLA; in Italia si stima che ci siano almeno 3.500 malati e 1.000 nuovi casi ogni anno. Anche per questo l’anno scorso fu sorprendente il sostegno alla ricerca di centinaia di migliaia di persone comuni, politici e celebrità varie. Negli Stati Uniti il denaro raccolto dalle associazioni per la ricerca è aumentato in un solo anno di 41 volte. Alcuni criticarono la campagna sostenendo che un’attenzione così vasta per una malattia così rara avrebbe “cannibalizzato” i fondi per la ricerca delle altre malattie, anche quelle che riguardano molte più persone. Il dottor Wong ha detto però che la ricerca non funziona così: non c’è una torta di cui bisogna spartirsi le fette.
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