Lettere a Nour, lo schianto fra culture è un elastico che le avvicina

Ospitiamo nell’angolo delle Curiosità un contributo di Martino Pederzolli, sul tema del teatro e della sua importanza per capire culture e realtà diverse dalla nostra. Un contributo diverso e particolare che vi lasciamo per aprire uno spiraglio inconsueto per un giornale tecnico come il nostro, ma molto “in linea” con l’idea che si possa costruire una struttura più solida, con contributi diversi. Buona lettura!

 

L’Arena Shakespeare chiude la sua stagione estiva con uno spettacolo che prende le mosse da una domanda che l’autore Rachid Benzine – sociologo, islamologo e studioso del Corano – si pone ossessivamente: “perché dei giovani, nati nel mio stesso paese, dalla mia stessa cultura, decidono di partire per un paese in guerra e di uccidere in nome di un Dio che è anche il mio?”. Per cercare una risposta Benzine immagina un dialogo epistolare tra un padre, intellettuale e musulmano praticante, e una figlia, partita per l’Iraq per sposare un musulmano integralista.

Il rapporto di intimità estrema tra i due personaggi si svela già dalle prime battute; dalla confessione di lei con il sorriso sulle labbra, dai molti “ti amo” del testo, dall’ansia che traspare dalle mani di lui. Allo stesso tempo si intuisce un potente discorso universale dove le figure di padre e figlia diventano archetipiche; si impossessano alternativamente della scena creando una fertile ambiguità che spinge chi guarda a prendere le parti dell’uno e dell’altra, a porsi domande e dubbi. Il padre, inamovibile – paradossalmente – nelle sue idee di tolleranza, domina il centro della scena su una poltrona circondata di libri, torre d’avorio di cultura e sapienza. La figlia, desiderosa di cambiamento, muove per tutto il palcoscenico seguendo precise diagonali ed uscendo sulle ultime battute, dando risalto alla solitudine dell’uomo. Gli scambi fra i due avvengono in un luogo vuoto, degradato, arido. Un luogo non fisico ma dell’anima, del cuore, restituito efficacemente dalle musiche del Trio Mothra che danno corpo ai resoconti della vita di lei a Falluja (unico riferimento fisico reale e, forse, unico vero non luogo). La scenografia è semplice: dei mattoni richiamano le immagini che la TV propone dell’Iraq, delle case distrutte dalle bombe, della polvere, delle pareti annerite dal fuoco. A tutto ciò fanno da contraltare i libri e la poltrona dove sta assiso il vecchio, probabili simboli della conoscenza come unica vera difesa contro gli integralismi.

Il rapporto sentimentale dei protagonisti, sancito chiaramente fin dall’inizio, ha l’effetto di un elastico invisibile che lega Nour al papà. Se da principio la distanza tra padre e figlia aumenta, lungo il testo tende lentamente a diminuire, costringendo i due a fare i conti con le loro rispettive realtà e con l’odio – “ira dei codardi” – di cui pagheranno un prezzo molto alto.

Dietro al sipario troviamo un intenso Franco Branciaroli, che con forte espressività riesce a trasmettere il dolore e la pena di un padre, e la giovane Marina Occhionero, bravissima nel sostenere una parte non affatto facile. I musicisti del Trio Mothra sono sempre in scena ma mai ingombranti, né come presenza su palco, né come musiche che, al contrario, risultano efficaci oltre che belle.

LETTERE A NOUR
di Rachid Benzine
traduzione italiana a cura di Anna Bonalume
con Franco Branciaroli e Marina Occhionero
e con il Trio Mothra: Fabio Mina (flauto, flauto contralto, duduk, elettronica), Marco Zanotti (batteria preparata, percussioni, elettronica), Peppe Frana (oud elettrico, godin multioud, elettronica)
scene Alberto Nonnato
luci Vincenzo Bonaffini
musiche originali Trio Mothra
costumi Gianluca Sbicca
assistente alla regia Virginia Landi
 
regia Giorgio Sangati
 
produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione, Centro Teatrale Bresciano, Teatro de Gli Incamminati
in collaborazione con Ravenna Festival
 
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