Milano, ambulanze nei parcheggi e 200 persone negli uffici
Articolo di Gianni Santucci
Palazzo della Croce Rossa lombarda, via Pucci, pochi metri da corso Sempione. Scene di questi giorni: dipendenti che arrivano da Milano, ma anche da Brescia, da Tirano, da Iseo. Entrano in servizio e hanno un unico compito: tirare la fine del turno. Senza nulla da fare. Stesso palazzo, garage: una decina di ambulanze. Quasi tutte ferme. Eccolo, il paradosso: i mezzi spenti, il personale aspetta; si potrebbero mettere in strada 8-10 ambulanze (per riportare gli anziani dall’ospedale a casa, ad esempio, o per altri servizi). E sarebbe tutto già pagato, almeno gli stipendi. Ma il sistema è bloccato. E tra i lavoratori sta aumentando il nervosismo: dipendenti pubblici che chiedono di ricominciare a lavorare.
La spiegazione di questa grottesca vicenda sta nelle pieghe della riforma. Due anni fa il governo ha deciso che dal 2014 l’ente pubblico Croce Rossa dovesse essere privatizzato. Il processo, però, è avvenuto a metà. O meglio, su due binari. Da una parte, tutti i comitati cittadini si sono trasformati. Vuol dire che i presidenti locali hanno creato delle Associazione di promozione sociale, che restano «figlie» della Croce Rossa, ma sono private e di fatto dovranno autofinanziarsi con i servizi a ospedali e Asl. Molti dipendenti «locali», grazie a un accordo sindacale, sono stati assunti dai nuovi comitati locali privati e garantiscono il servizio con il 118.
Un pezzo della privatizzazione però è stato bloccato: con proroga per il 2015, le sedi regionali restano ancora pubbliche. Ciò è avvenuto, probabilmente, perché non era stato fatto un piano di ricollocazione per i dipendenti statali «di ruolo», in carico direttamente alla Croce Rossa (in tutta Italia sono oltre 2 mila). Cosa significa? Che oggi tutti i dipendenti «di ruolo» della Cri in Lombardia sono stati destinati nell’unica sede rimasta pubblica, quella regionale di Milano. Ma non è tutto. Dato che il governo, nel «Milleproroghe» del 2007, aveva stabilito che i precari storici dovessero essere assunti, oggi molti di questi lavoratori hanno fatto o stanno facendo ricorso. Ed ecco un altro paradosso: un ente che sta per essere privatizzato, ogni mese si trova a dover assorbire nuovi lavoratori. Alla Cri Lombardia, ad esempio, oggi sono circa in 200: un paio d’anni fa erano meno della metà. Questo quadro, che riassume la trasformazione dell’ente, non spiega però ancora il paradosso: perché questi lavoratori sono fermi in via Pucci?
Risposta: proprio in quanto dipendenti pubblici, non possono fare servizi in convenzione (come, ad esempio, le ambulanze per il 118). I servizi remunerati sono esclusi dalla legge. È come se i carabinieri facessero una convenzione a pagamento con il Comune per fare gli sgomberi: impossibile. Risultato: lavoratori pagati (solo per la Lombardia si stimano almeno 350 mila euro di stipendi al mese), che stanno perdendo i nervi perché chiedono di lavorare. Ma nessuno ha finora detto loro come saranno impiegati. Perché?
Una possibile spiegazione è questa: visto che il decreto sulla privatizzazione è del 2012, qualcuno in due anni avrebbe dovuto pensare alla riorganizzazione di servizi e dipendenti, ma non l’ha fatto. I sindacati, in questo lungo periodo, hanno sollecitato un progetto per la ricollocazione del personale. Dell’ipotesi di una convenzione con il Comune di Milano si parla solo da qualche settimana. E si dice che i sindacati, a patto di discutere su alcuni punti dell’accordo, siano molto favorevoli su questa ipotesi. Dipendenti pubblici in agitazione: per ricominciare a lavorare.