Novelle di soccorso: Un angelo custode salvato dal 118
Emergency-Live è sempre a disposizione dei nostri lettori soccorritori. E siamo aperti anche ad ogni vostra proposta di rubrica. In questo caso è stato Raffaele Sabbatini a inviarci una bellissima storia da pubblicare. Si tratta di un racconto di fantasia dedicato ai soccorritori e agli infermieri. Una storia da gustare con calma e da apprezzare per lo spirito narrativo. I nostri complimenti a Raffaele e… tu, cosa aspetti a inviarci la tua storia? Scrivi ad Emergency-Live tramite l’apposito form di compilazione.
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Da qualche giorno Giuseppina non si presentava al lavoro; aveva detto a Samuele che non si sentiva troppo bene, un po’ di febbre, dolore alle articolazioni, qualche colpo di tosse, comunque nulla di grave, una banale influenza.
Giuseppina, infermiera all’Ospedale Generale per oltre quarant’anni poi fidata assistente del dottor Samuele Fornelli, si sarebbe curata da sola, un’aspirina, del latte caldo con il miele ed in pochi giorni avrebbe ripreso il suo posto nell’ambulatorio. “Ciao Giuseppina, come va oggi?” le chiese Samuele al telefono. “La mia vecchia carcassa fa i capricci… ma tu come te la cavi in ambulatorio senza di me?” “Non preoccuparti, me la sto cavando… sei sicura che va tutto bene? Vuoi che venga a visitarti? Hai ancora qualche linea di febbre, forse ci vorrà una copertura antibiotica… Pronto Giuseppina? Ci sei? …..Giuseppina, rispondi!” “… si… non respiro… aiutami…..” rispose Giuseppina con un filo di voce. “Cristo, stai calma arrivo subito!”.
Samuele afferrò al volo la sua valigetta e si precipitò fuori di casa correndo verso l’auto parcheggiata lungo il marciapiedi, poco distante dall’ingresso della sua abitazione. Salito in macchina, prima di avviare il motore, telefonò con il cellulare al pronto soccorso dell’Ospedale Generale: sapeva che Lucia era di turno in ambulanza. “Sono Fornelli, un’ambulanza al n. 53 di Viale Washington, presto: si tratta di una crisi respiratoria.” “Viale Washington 53… ok.” “Ascolta, la dottoressa Portanova è in servizio vero?” “Si dottor Fornelli, è proprio sull’ambulanza partita per viale Washington!” “Ok, grazie”
La casa di Samuele non era troppo distante dall’abitazione di Giuseppina; traffico permettendo, forse sarebbe arrivato prima lui dell’ambulanza. Uscì in fretta dal parcheggio immettendosi sulla strada senza curarsi troppo delle auto che sopraggiungevano, tant’è che ricevette una lunga strombazzata da parte dell’autista di un furgone costretto a fare una brusca frenata per non finirgli addosso. Mentre guidava, ricevette la telefonata di Lucia che stava intervenendo con l’ambulanza. “Samuele, che sta succedendo?” chiese la dottoressa Portanova. “Si tratta di Giuseppina, una crisi respiratoria credo, sono un po’ di giorni che non sta bene.” “Ok, fra circa quattro minuti saremo sul posto”.
Ancora un paio di incroci poi Samuele si sarebbe immesso su Viale Washington: il 53 si trovava grosso modo a metà del viale. Mentre fermava l’auto nel primo spazio disponibile, da una via laterale spuntava l’ambulanza del 118 con lampeggianti e sirena inseriti. Il mezzo di emergenza si fermò proprio davanti all’ingresso dell’abitazione di Giuseppina: ne scesero la dottoressa Lucia Portanova e due paramedici. Samuele li raggiunse di corsa. I soccorritori entrarono guidati da Fornelli che li condusse all’appartamento di Giuseppina: la porta di casa era aperta. Entrarono e trovarono l’infermiera seduta su di una poltrona con il viso cianotico e il respiro estremamente difficoltoso. Il saturimetro rivelava una insufficiente ossigenazione: Lucia, aiutata dai soccorritori e da Samuele, auscultò con il fonendoscopio i polmoni di Giuseppina quindi ordinò l’effettuazione dell’elettrocardiogramma e l’infusione per via venosa di analettici e broncodilatatori. “Credo si tratti di edema polmonare acuto; ha i polmoni pieni di liquido”. Samuele posizionò il suo fonendoscopio sul torace e sulla schiena della sua infermiera poi concordò con la diagnosi di Lucia. “Si, anche a me sembra si tratti di EPA”. “Dottoressa – intervenne un soccorritore – guardi l’ECG, c’è un grave scompenso cardiaco!” “Hai ragione… Giuseppina, Giuseppina, rispondimi, sono Lucia!…”
La povera donna non reagiva a nessuno stimolo, nemmeno ai pizzicotti che le dava la dottoressa sulle braccia. “Occorre intubarla”. Un soccorritore preparò in un secondo tutto l’occorrente per procedere all’intubazione oro-tracheale mentre Samuele osservava la grande competenza e professionalità della sua Lucia e degli operatori che la accompagnavano. Distesero sul pavimento Giuseppina quindi la dottoressa Portanova procedette alla manovra rianimatoria. Posizionato correttamente in trachea il tubo per la ventilazione assistita, la donna venne issata sulla barella: Lucia collegò il pallone Ambu all’estremità esterna del tubo cominciando la ventilazione manuale: con le mani comprimeva e rilasciava, con ritmo regolare, le pareti del pallone Ambu mentre i due soccorritori avviavano la barella verso l’autoambulanza. All’interno del mezzo, Giuseppina sarebbe stata collegata al respiratore automatico. Lucia salì a bordo dell’ambulanza, disinnestò il pallone Ambu dal tubo oro-tracheale e lo collegò al respiratore automatico. “Ok, possiamo andare!” Un operatore chiuse gli sportelli posteriori e salì a sua volta sul mezzo dalla porta laterale.
L’ambulanza partì a tutta velocità verso il pronto soccorso. Samuele si precipitò alla sua auto, salì a bordo, avviò il motore e si diresse anche lui verso l’Ospedale Generale. Via radio, Lucia aveva comunicato ai colleghi del pronto soccorso i parametri vitali di Giuseppina: la stavano aspettando e tutto era pronto per il suo ricovero in terapia intensiva. Samuele arrivò in ospedale pochissimi minuti dopo l’ambulanza, fermò l’auto nel parcheggio riservato al personale medico e si precipitò alla sala emergenze. La dottoressa Portanova stava parlando con il dottor Burtoni, responsabile del reparto di rianimazione e terapia intensiva nonché vecchio amico di Samuele. “D’accordo, Lucia, appena possibile ti farò sapere come stanno andando le cose per Giuseppina…” “Burtoni, ciao, allora? Che mi dici?” chiese con un filo di voce Samuele per l’affanno che aveva dopo la corsa fatta dal posteggio al pronto soccorso. “Non posso ancora dirti niente… concordo con Lucia sulla diagnosi di EPA; speriamo di poterla tirare fuori… ho detto a Lucia che appena sapremo qualche cosa di più preciso la informerò; adesso scusatemi, devo andare, a presto.” “Grazie Burtoni, aspettiamo tue notizie.” disse Samuele. “Grazie, a presto.” gli fece eco Lucia.
I due medici andarono a sedersi sul divano di una saletta di attesa. Lucia tirò fuori dalla tasca del camice la chiavetta magnetica per il distributore automatico delle bibite. “Vuoi una coca?” chiese a Samuele. “No, dell’acqua” le rispose. Lucia si alzò, raggiunse il distributore automatico, vi infilò la chiavetta e selezionò le bevande: coca per lei, bottiglietta d’acqua minerale non gassata per il suo compagno. Samuele, testa bassa, sguardo sul pavimento, neanche si accorse di Lucia che gli stava porgendo la bottiglia con l’acqua. “Ecco qua…” gli disse dolcemente e sotto voce. Quasi si svegliasse di soprassalto da un brutto sogno, Samuele alzò lo sguardo verso di lei e prese la bottiglietta di plastica con l’acqua minerale. “Grazie” disse, poi tornò a fissare il pavimento. Lucia si riaccomodò sul divano di fianco a lui e lo accarezzò. “Vedrai, Giuseppina si riprenderà, è una donna forte, ne ha viste e passate tante nella sua vita.” Samuele la fissò per alcuni istanti negli occhi ma non disse niente, quindi tornò a guardare il pavimento.
La mattina seguente, di buon’ora, Lucia chiamò al telefono Samuele. “Ehi Sam, Giuseppina sta meglio: Burtoni mi ha appena telefonato, sembra che la fase acuta sia passata.” “Dio ti ringrazio, non ho dormito mai questa notte, il pensiero era sempre quello, Giuseppina…” rispose Samuele tirando un sospiro di sollievo. “Appena arriverò in ospedale andrò a trovarla” gli disse Lucia. “Verrò anch’io non appena avrò finito di visitare i pazienti in ambulatorio”.
Come un guerriero stremato da una lunga battaglia, Fornelli si lasciò cadere all’indietro nel letto, fissò per pochi istanti il soffitto poi chiuse gli occhi e si addormentò. Il suo sonno profondo durò soltanto pochi minuti: la sveglia cominciò a suonare implacabilmente. Aprì gli occhi e vide la stessa immagine che aveva visto prima di addormentarsi: il soffitto. Gli sembrava di aver dormito per dodici ore di fila tanto si sentiva riposato, rilassato; la consapevolezza delle migliorate condizioni di salute di Giuseppina aveva agito da tranquillante. Samuele sapeva che per molti giorni a venire avrebbe dovuto fare a meno della sua infermiera; fece una doccia veloce, si vestì, prese la valigetta e le chiavi della macchina quindi uscì e raggiunse la sua auto al parcheggio di fronte a casa sua. Salì a bordo, inserì la chiave nel cruscotto ed avviò il motore. Prima di muoversi guardò l’orologio digitale nella plancia: era in ritardo, come sempre, ma stavolta non ci sarebbe stata Giuseppina ad aprire l’ambulatorio.
(nomi e situazioni sono di pura fantasia)