Pino Daniele, il cardiologo: «Un errore cercare di raggiungere Roma»
Franco Romeo è presidente della Società italiana di cardiologia. E afferma: «La mia impressione è che Pino Daniele, per il rapporto di fiducia che aveva con il medico, abbia deciso di andare a Roma. Quanto ai presunti ritardi dell’ambulanza in provincia di Grosseto, non sono stati comunque influenti, nel senso che lui dopo ha percorso un’ora e mezzo di strada».
Una corsa in auto disperata?
«Non so quello che si sarebbe potuto fare. Ma è fondamentale andare non nell’ospedale più vicino, ma nel primo ospedale adeguatamente attrezzato. Tra il posto dov’era Daniele e Roma, credo ce ne fosse più uno. Incluso l’ospedale di Grosseto, che non è piccolissimo».
L’artista soffriva di una malattia al cuore da 27 anni.
«So che la situazione, effettivamente, era molto seria e molto critica».
È possibile che ci siano stati segnali premonitori?
«Nel giorno di Capodanno, io ho visto l’artista in televisione: suonava, cantava. Poi pare che domenica pomeriggio avesse iniziato a sentire qualche fastidio».
Si è parlato di una sintomatologia “molto atipica”.
«In generale, non dico in questo caso, un qualsiasi sintomo in un paziente coronaropatico noto deve essere sempre considerato un equivalente ischemico. In un paziente coronaropatico noto, che aveva avuto già 4 angioplastiche, che aveva in programma di fare una coronarografia, qualsiasi fastidio, anche un dolore a un dente, deve essere e va considerato fortemente sospetto».
Che fare?
«Bisogna portare subito il paziente in un Centro hub, dove ci sono tutte le attrezzature, compresa una cardiochirurgia. Quello che sicuramente non ha nessuna responsabilità, perché lo conosco bene, è il dottor Gaspardone perché è stato sollecitato».
È stato un errore andare a Roma?
«Purtroppo è stato un errore. In generale, non si può andare a 200 chilometri in quelle condizioni, se non con una ambulanza, un medico e un defibrillatore a bordo. Andava scoraggiato a mettersi in macchina».
Pino Daniele si sarebbe potuto salvare?
«Certamente avrebbe avuto più chance, ma io non posso dire che si sarebbe potuto salvare…»
Cosa si sarebbe potuto tentare?
«Se aveva avuto una aritmia ventricolare si defibrillava, si sarebbe potuto tentare una trombolisi, anche un intervento di angioplastica d’urgenza in condizioni veramente ad altissimo rischio. Tutto si sarebbe potuto tentare».
E avrebbe avuto almeno una chance…
«Almeno una chance, certo. Però, so per certo che non è stato sollecitato dal cardiologo suo curante, perché lo conosco bene ed è un bravo cardiologo».
L’ha sentito? È stato tra l’altro suo allievo all’Università di Tor Vergata?
«Era uno dei giovani. Aveva fatto la specializzazione con noi, ma non è stato mio allievo. Io non l’ho sentito, però lo conosco bene. So che non avrebbe mai consigliato quel viaggio lungo».