118 e attacco terroristico: cosa si fa e chi interviene a livello sanitario in situazioni ostili?
Uno dei rapporti che vanno creati nella gestione delle emergenze di oggi è sicuramente il rapporto fra servizi sanitari e forze dell’ordine deputate a intervenire in scenari di attacco terroristico. Ci sono diverse realtà oggi, ma le più importanti sono le UOPI e il 118, che sono le due strutture in ambito urbano deputate a intervenire per prime. E’ importante quindi che il personale sanitario impari come eseguire gli ordini delle Forze dell’Ordine e – viceversa – che le FF.OO. imparino dai sanitari i principi dell’automedicazione e dell’evacuazione di un paziente. Abbiamo intervistato quindi il dottor Federico Politi, direttore del 118 di Vicenza e ideatore del NISS, Nucleo di Intervento Sanitario Speciale che si addestra anche in collaborazione con i militari della base USAF di Ederle e con personale della Polizia di Stato affinché le squadre UOPI e i sanitari siano pronti a dialogare efficacemente in uno scenario ostile.
VICENZA – Gli attacchi terroristici improvvisi in ambiente urbano sono drammaticamente in aumento negli ultimi anni in Europa. Germania, Francia, Inghilterra, Belgio e Svezia sono paesi dove sono stati commessi attentati dinamitardi, con mezzi pesanti, con armi da fuoco o con armi da taglio che hanno creato molto panico e sono stati affrontati eroicamente dai soccorritori dei diversi paesi, che in alcuni casi hanno addestramenti speciali e in altri casi si sono trovati senza una educazione specifica su questo tema. In Italia oggi la domanda non è più “se avverrà” un attacco, ma “quando avverrà un attacco”. C’è chi si è mosso per tempo, lavorando su un reparto addestrato a livello tattico e sanitario per effettuare interventi in ambiti di “attacco terroristico”. Stiamo parlando del NISS, il Nucleo di Intervento Sanitario Speciale con base a Vicenza, diretto dal dottor Federico Politi. Un team specifico di medici e infermieri che sono equipaggiati e aggiornati sulle più importanti tattiche di medicina in ambito ostile, ma soprattutto sono formati per eseguire con rapidità le direttive delle Forze dell’Ordine in fase di accesso ad una zona ostile per trattare feriti gravi, siano essi militari o civili. In particolare il NISS è formato sui protocolli TCCC (Trauma Combat Casualty Care) un compendio di indirizzi studiati per poter essere applicati in ambienti dove sono presenti nemici armati pronti a sparare e a uccidere. Anche se lo scenario può mettere paura nell’operatore che tradizionalmente lavora nel 118, è bene che queste tecniche siano sempre più diffuse, magari anche replicando le attività di training che il 118 di Vicenza realizza periodicamente per dare rudimenti di primo intervento in emergenza a militari e a Forze dell’Ordine, soprattutto nell’area di Vicenza. Le Unità operative di Primo Intervento della Polizia di Stato infatti si stanno formando sia a livello tattico che sanitario in tutta Italia. Esistono vari corsi in tutta Italia, ma uno in particolare ha suscitato la curiosità di Emergency Live, perché si tratta di un corso che cerca di formare insieme e sotto vari aspetti sia gli agenti delle Forze dell’Ordine che i sanitari, sui molteplici temi che un intervento congiunto in area ostile comporta. Il corso – che si è tenuto il 2 e 4 maggio a Peschiera del Garda e che ha visto diversi appuntamenti riservati alla formazione delle Forze dell’Ordine – è stato ideato da Paolo Boffa e Leonardo Leopizzi e ha coinvolto poi il dottor Politi, per implementare la formazione sanitaria che serve per assistere colleghi feriti, per effettuare correttamente pratiche di automedicazione o per prestare soccorso a persone a terra che devono essere portate lontano dalla scena nonostante condizioni ostili. Questi training sono fondamentali per dare modo a tutti gli operatori delle FF.OO e dell’emergenza di capire come agire, senza creare confusione e soprattutto massimizzando i tempi e le opportunità di salvataggio. La cooperazione creatasi fra gli agenti che si sono voluti formare e gli operatori sanitari, permette di chiarire punti che spesso sono oscuri nelle emergenze terroristiche, in zone rosse dove colui che dirige le operazioni è a priori la forza armata sia dal punto di vista logistico, tattico e tempistico. Saranno poi invece le tradizionali competenze organizzative del 118 a coordinare le attività sanitarie in zona verde.
Chiaramente però non può essere l’Agente Scelto della UOPI o il Carabiniere del GIS a operare un’intraossea di ketamina, a ridurre una frattura o a posizionare un collare. Ma potrebbe effettuare un bendaggio di emergenza o tamponare un PNX aperto su un collega ferito. Quando c’è bisogno di una medicazione più specifica, di un occhio clinico, deve intervenire un sanitario ed è per questo che il SUEM della Regione Veneto ha supportato l’idea del dottor Politi di creare il NISS: dare cioè anche ai sanitari la capacità di operare in un’area ostile, secondo i principi internazionalmente riconosciuti del TCCC. Il NISS può essere paragonato al nucleo HART del NHS inglese, e ha capacità cooperative sia con i Militari che con Carabinieri o Polizia.
Dottor Politi, quanta parte del TCCC si può attivare in un setting civile e quale impatto si ha sul paziente in situazioni simili?
In America ora c’è un Tactical Emergency Casualty Care, che è una nuova serie di protocolli specifici per queste situazioni. Bisogna dire che si può attivare tutto quello che riguarda il TCCC tranne ciò che tocca la risposta al fuoco. I militari ovviamente prima rispondono al fuoco e poi prendono in considerazione la cura dei feriti. Al di là delle caratteristiche della situazione di combattimento, dove il personale è parte attiva, le altre sezioni del TCCC possono essere tranquillamente recepite. Partendo dal setting dell’attrezzatura fino alle metodologie operative”.
Se la prima regola è sempre la sicurezza, come ci si raccorda alle FFOO per intervenire su uno scenario che per definizione non è sicuro, anzi è ostile, per diverse ore? Meglio seguire la strada degli equipaggi HART, o quella francese?
“Per quanto riguarda la sicurezza, in Italia, non c’è ancora una completa integrazione con le Forze dell’Ordine, una cosa necessaria. Attualmente pochissimi hanno iniziato la collaborazione con le Forze dell’Ordine in certe situazioni. Il NISS entra in azione quando le FFOO creano una situazione di paravento, con scudi o mezzi blindati, tale per cui ci si può avvicinare senza problematiche ai feriti. Se c’è cooperazione con Polizia e Carabinieri – da cui il sanitario dipende – si può arrivare in una zona protetta all’interno dell’area calda. Ovviamente però è tutto sotto le direttive delle Forze dell’Ordine. Noi abbiamo cercato di aiutare a formare Polizia e Carabinieri a imparare l’auto-medicazione. Il TCCC parla molto della riduzione delle mortalità nei primi sei minuti, con adeguate conoscenze tattiche e da adeguate conoscenze per l’assistenza sanitaria autonoma o da parte dei compagni. Da questo punto di vista l’esperienza francese dei RAID vede nelle squadre di azione anche dei medici, che fanno parte del Gruppo. Questa esperienza ci ha ispirato molto nella creazione dei NISS, ma chiaramente i sanitari non possono eseguire addestramenti militari o essere integrati in queste truppe. Sarebbe una cosa difficile da applicare in questo contesto a livello italiano.Invece rispetto all’esperienza HART inglese c’è una certa vicinanza. Dal 2004 il SUEM ha fatto formazione NBCR nei 118 d’Italia, usando le competenze di Vicenza e di Venezia-Mestre, come l’HART fa. Quindi i DPI utilizzabili in zone colpite da attacchi chimico-batteriologici ci sono, e abbiamo persone formate. Fra l’altro ci è stata utile l’esperienza della quarantena anti-ebola della base USAF di Vicenza”.
Quali sono i presidi che dovrebbero essere presenti nelle ambulanze dedicate a queste attività? tourniquet, agenti emostatici o bende a pressione?
Siamo ben forniti di questi dispositivi. Abbiamo 40 tourniquet, 80 bende israeliane e altri tourniquet con fasce pelviche per fare compressioni esterne sulla iliaco-femorale, che preserva in caso di lesioni a tutta coscia. Poi abbiamo alcuni tourniquet speciali che hanno applicazioni molto rapide, nell’ordine dei 5/6 secondi. Inoltre come NISS ci siamo dotati di watergel in buone quantità, perché chiaramente in zona ostile trovare acqua è estremamente complesso, oltre al fatto che per colmare i primi 15 minuti di una ustione servono 65 litri d’acqua. In un kit piccolo per le ambulanze ma soprattutto per azioni di questo tipo, il watergel è una cosa da usare.
Il protocollo da usare in questi casi è il MARCH, giusto? Che risvolti porta sulla velocità di triage e come si assegnano i compiti successivi?
Il MARCH è utilizzato anche perché prima di tutto devo verificare che non ci sia una emorragia massiva, qualunque altra azione diventa inutile. Anche se gli do liquidi, diluisco il sangue e non ho più di che trasportare ossigeno. Il nostro obiettivo è proprio questo e viene insegnato a tutti i componenti del NISS. Cerchiamo fra l’altro di insegnarlo in lezioni molto approfondite e continuative. Il MARCH inoltre non mi compromette la velocità di triage, anzi è molto rapido. Usiamo la versione inglese del MARCH, il protocollo SEED, se è ferito c’è l’indicazione dell’autosoccorso. Se abbiamo persone in grado di auto-medicarsi, cioè militari o FF.OO, si può procedere. E’ più farraginoso invece se ci sono i civili. Sull’emorragia vitale poi si attiva immediatamente il tourniquet, che spesso è la seconda soluzione dopo una benda emostatica, che però nell’ambiente ostile è meno indicata. Se c’è l’ostilità bisogna bloccare l’emorragia e poi evacuare il paziente. Infine, in zona tranquilla, protetta, si fa altro. Bisogna tenere conto anche delle indicazioni del tourniquet: oggi si arriva fino a 6 ore di mantenimento, con lesioni denunciate solo dal punto di vista nervoso. E’ molto importante il tema del tourniquet perché bisogna poi tenere conto di diverse cose. Prima di tutto applicarlo bene e segnarsi l’ora di applicazione. Poi tenerlo monitorato e cercare di capire quanto dolore ischemico deriva dall’applicazione del tourniquet. Questi – nell’applicazione militare – è assodato che diano un dolore poco sopportabile dopo un determinato periodo di tempo. Qui subentra l’importanza del sanitario formato – minimo un infermiere – che possa somministrare un anestetico. Per il controllo del dolore fra i nostri farmaci abbiamo ketamina e midazolam. La ketamina perché ha un ottimo potere analgesico, mentre il midazolam può bloccare i problemi dissociativi. I dosaggi possono variare. Solitamente stiamo fra 50-100mg di ketamina e 3mg di midazolam per bloccare i fenomeni dissociativi. Cambiamo a seconda se si usa l’endovena o l’intraossea. La morfina in un ambiente ostile dove non c’è sicurezza del controllo delle vie aeree, salvo situazioni importanti, la teniamo per situazioni in aree più sicure.
Il vostro ragionamento NISS si evolve verso la creazione di un nucleo poli-specialistico, dove tutti sono addestrati a tutti gli scenari, oppure è favorevole a un nucleo di multi-specialisti, dove la leadership è affidata a chi è più specializzato in un dato tipo di attacco?
Abbiamo notato che nel gruppo ci sono persone con competenze multi disciplinari, e cerchiamo di incentivare questa strada. Alcuni infermieri sono anche iscritti al CNSAS e sanno usare corde e barelle da recupero speciali. Sono fattori di crescita ulteriori perché fanno conoscere a tutti i membri del gruppo l’uso delle corde, dei moschettoni, dei freni e si possono usare imbraghi o strumenti differenti. E’ ovvio che non puoi avere tutto sul campo operativo, ma è molto positivo avere una persona formata nel gruppo in caso di intervento. Un professionista che conosce i nodi, ed è esperto in questo tema, deve dare indicazioni. Allo stesso modo ci sono persone che possono non gradire operare in certe situazioni, come le azioni con maschera anti-gas, e quindi le sfrutti per situazioni collaterali. Non significa che non vengono formati, ma che ottengono competenze ma magari si usano in altro modo. E’ chiaro che la leadership è affidata a chi ha la competenza in quel frangente di quelle determinate azioni, tenendo sempre presente che il controllo della scena è delle Forze dell’Ordine. Ma la leadership ce l’ha chi ha la responsabilità e la competenza di quell’azione. Se la competenza di una specifica azione (per esempio in una tecniche di recupero) ce l’ha un infermiere, sarei un folle a non lasciare a lui la leadership in quel frangente. Teniamo sempre presente che si affida la vita, in quel frangente operativo. Io ragiono così: se nel mio gruppo c’è uno che è capace di fare una cosa, ben venga! Ma mutuo questa filosofia dai militari, perché bisogna affidare la propria vita a chi in quel momento ha le migliori competenze in quel campo. Il primario non è l’onniscente, deve saper valorizzare le figure che ha a disposizione e saperle gestire correttamente, nell’emergenza. Questa è la mia opinione.
DPI – Dato che il sanitario può essere il bersaglio preferito perché salva vite, si è pensato al tema delle divise e delle protezioni personali? Si è pensato all’armamento per i sanitari con strumenti non letali? Si è pensato ad una formazione sulla conoscenza delle armi potenzialmente presenti su una scena?
“Il problema grosso dell’alta visibilità che hanno i sanitari, viene a cessare davanti a un evento terroristico. La divisa gialla con croce blu è forse il peggiore strumento se sulla scena c’è un cecchino o una persona armata. Il NISS è equipaggiato con un pantalone scuro e la polo nera. Il giubbino è giallo ma può essere rimosso facilmente, per non essere visibile. Se sono su una via trafficata e arriva uno che spara, posso mettermi in sicurezza e togliermi il giubbino, per essere meno visibile. I nostri pile sono neri e le scritte non ci sono davanti, per non costituire bersaglio. Sono sulle spalle, perché così le forze dell’ordine che sono davanti a noi, ci vedono. E se poi le Forze dell’Ordine ci portano dentro alla scena, anche da dietro siamo visibili grazie a una scritta rifrangente. Cerchiamo comunque di non avere cose troppo identificabili, anche i nostri caschi sono neri, e abbiamo dei led gialli o rossi, che attiviamo quando siamo a terra e siamo feriti”.
Per quanto riguarda le attrezzature, cerchiamo di usare un gilet tattico per portare con noi le cose che ci servono immediatamente. Preferiamo il gilet al posto dello zaino perché in caso di fuga o di abbandono della zona, non si rischia di perdere il materiale che potremmo usare per altri feriti in altre zone del teatro. Usiamo poi il cosciale per l’attrezzatura completa dell’intraossea (la più compatta possibile) o un cinturone con borsetta. Il rischio di abbandonare l’attrezzatura è più basso che con lo zaino. Ognuno dei soccorritori NISS è poi dotato di fumogeno, perché in caso di fuga, si può creare una cortina fumogena per non renderti visibile in fase di fuga. Ma anche qui, si rimane sotto il controllo e la tutela delle Forze dell’Ordine. Il sanitario non deve mai trovarsi nella situazione di doversi difendere da solo. Salvo altre situazioni.
Organizzazione dei team e rapporti “esterni” sono fondamentali: che figure professionali dovrebbe avere un team NISS (medici, infermieri, FFOO formate a livello sanitario, ecc) e come si deve rapportare con gli altri operatori del soccorso su una scena calda? Poniamo per esempio il classico intervento dove arriva per prima l’ambulanza convenzionata con soccorritori volontari: se entrano involontariamente dentro alla scena (perché solitamente le ambulanze hanno tempi di intervento più rapidi delle FFOO) come si possono fare uscire o come si possono sfruttare? E se sulla scena sono presenti persone medicalmente formate, è il caso di sfruttarle per gestire meglio i casi più gravi?
Nel NISS i team sono formati dalla coppia infermiere-medico. L’autista non è richiesto ma nei corsi che facciamo, anche loro vengono educati a determinate azioni. Bisogna considerare le mansioni di questo professionista e quello che può fare. Per esempio l’autista è responsabile del telo porta-feriti, che si usa per evacuare dalla zona. Chiaramente è un terzo non sanitario il responsabile di questo strumento e del BOA (una corda speciale per l’evacuazione rapida ndr) perché con il telo ci vogliono sempre 3 persone minimo affinché un ferito sia trasportato lontano correttamente. Tutti questi strumenti vengono poi spiegati anche agli agenti della Polizia, sia essa Mobile, Stradale o UOPI. Spieghiamo le tecniche per controllare i PNX con i Boling Chest Seal, sistemi molto semplici. Poi gli insegniamo l’uso del watergel, l’uso delle steccobende semirigide per immobilizzare piccole fratture, e aiutare così da soli a uscire dalle aree calde. Poi facciamo prendere confidenza alle FF.OO. con i teli, con i BOA o con mezzi di fortuna, come tovaglie o lenzuola. Queste sono le interazioni che necessitiamo. E’ chiaramente obbligatorio poi che il NISS sia inserito nel team delle forze dell’ordine. Quello che vorrei è che l’interazione fra sanitario e FF.OO. diventi buona e valida come quella che oggi c’è fra sanitario e Vigile del Fuoco. Questa è la grande occasione per coinvolgere 118 e Forze dell’Ordine ed è una occasione che non possiamo perdere. Chiaramente
Poi c’è il tema dei volontari che arrivano sulla scena in caso di attacco terroristico. In questa situazione abbiamo deciso di formare i volontari affinché prima di tutto scappino il più velocemente possibile, e secondariamente avvisino dell’attacco terroristico con precisione e dettaglio di dati la centrale del 118. L’obiettivo è fare in modo che non finiscano dentro alla scena ulteriori persone. Ma se questo succede, il volontario deve dare un messaggio critico e poi un messaggio dettagliato: sapere se l’attacco è armato, sapere con precisione il luogo, da dove partono i colpi, capire se ci sono feriti, ostaggi… queste informazioni sono utili e se le fornisce già una persona collegata con la centrale, formata per comunicare senza farsi prendere dal panico, è meglio. Chiaramente però se ci sono le Forze dell’Ordine bisogna rapportarsi con loro e seguire i loro ordini, perché sono loro che gestiscono e garantiscono la sicurezza di una scena di questo tipo”.
Si ringrazia: Paolo Boffa e la Law Enforcement Tactical Operations