Prelievo venoso, una questione di tatto e di sensazioni: dialogo tra infermiere e paziente e corretta esecuzione
Il prelievo venoso è una delle tecniche apparentemente più semplici che facciamo, in realtà la sua complessità è nascosta dalla concentrazione e dalla rapidità dell’operatore, c’è un innescarsi di dinamiche tecnico relazionali.
Non voglio entrare nel dettaglio di procedure compilative, ma propongo una breve riflessione su cosa fa un infermiere durante un prelievo venoso.
L’esecuzione della procedura ha due componenti una tecnica e una relazionale, non sono elementi fissi ma adattativi, a seconda dell’infermiere e del paziente.
Prelievo venoso: la fase della presentazione, il primo contatto
Il buongiorno, può sembrare un pò scontato ma ci consente di presentarci e di iniziare una relazione con il nostro assistito e di verificare in modo informale alcuni aspetti della tecnica di esecuzione del prelievo.
Ad esempio dicendo:
“Buongiorno sig.Rossi sono Franco le devo fare un prelievo venoso per le analisi”, il sig. Rossi ti guarda e dice “prego le do il destro è il migliore…”.
Il buongiorno è seguito dalla spiegazione di cosa mi accingo a fare, di conseguenza il consenso, l’indisposizione o il rifiuto del Sig.Rossi ad eseguire la tecnica.
Il nostro tono di voce e il tono di voce del paziente aggiungono delle informazioni a livello “subliminale” ad esempio, se il signor Rossi accetta di fare il prelievo ma è sfiduciato o peggio, maleducato o scontroso questo può arrivare a turbare la sensibilità tattile e la concentrazione ed avere un effetto sul buon esito del prelievo stesso.
Il sig.Rossi ci ha proposto il braccio preferito ed è il primo da valutare per identificare la vena da forare.
Il fatto che secondo il sig.Rossi tutti abbiano forato con successo non implica che avremo il 100% di successo, nel tempo le vene del braccio si possano essere modificate dagli ultimi prelievi che gli sono stati fatti.
Le vene si modificano a seconda dell’attività fisica, delle terapie, delle condizioni cliniche ecc.: fattori che il sig. Rossi ignora.
Il prelievo venoso: la ricerca della vena
La ricerca della vena la facciamo mettendo il laccio emostatico per creare una pressione sul braccio sufficiente per creare una stasi, attenzione a non stringere troppo, si può far male al paziente, mentre stringendo poco la vena sarà poco turgida.
La prima ricerca è con la vista e dopo ci affidiamo al tatto, la sola vista non offre una completezza delle informazioni.
Obbligatorio usare i guanti ed esercitare il proprio tatto.
La vena preferita è la cubitale mediana nella piega del braccio, molto spesso è ben visibile e di grosso calibro per un tratto modesto, quindi è necessario completare le informazioni con il tatto.
Tocchiamo la vena che a vista ci interessa, in questo modo possiamo sapere:
- turgore
- profondità
- diametro
- direzione
In questo modo possiamo immaginare la vena all’interno del braccio nella sua completezza così da poter forare con più sicurezza.
Il braccio magro ha vene visibili e può essere visibile anche lo stato di fragilità, spesso segnalato dall’aspetto della cute e dalla presenza di altri ematomi.
Il braccio grosso, può non mostrarci vene alla vista, ma sicuramente ci sono e sapendo l’anatomia possiamo identificarle al tatto.
Le difficoltà del prelievo venoso: il braccio senza vene superficiali esiste
Il braccio senza vene superficiali esiste, quando c’è un abuso di stupefacenti o quando si sono rese necessarie terapie irritanti, in questo caso dovrebbe essere disponibile un CVC o dovrà essere dichiarata la necessità di un prelievo arterioso.
Gli step principali del prelievo venoso sono noti a tutti, si disinfetta, lascio il batuffolo in sede (in questo modo aumento il tempo di contatto fra cute e disinfettante ) nel frattempo si prende il butterfly ecc.
Forare, ma quanto forare?
La palpazione della vena ci ha restituito delle informazioni precise e possiamo immaginare di forare, con un movimento unico, fino al centro della vena.
Il foro deve essere deciso, continuo e rapido, non lento e controllato, è necessario ricordarsi che è necessario perfezionarsi sempre nella tecnica per cercare di ridurre il dolore nelle tecniche dolorose, ma ricordarsi che:
il modo migliore per fare male è aver paura di far male.
Bene ho preso la vena, con una mano tengo l’ago e con l’altra collego le provette, prima quella per gli esami sierologici, poi coagulazione ed emocromo.
Il laccio emostatico lo rimuoviamo poco prima di completare l’ultima provetta così da consentire alla vena il recupero della pressione venosa normale, si rimuove l’ago, lo si mette in sicurezza e si invita il sig. Rossi a tener premuto sul foro e a non piegare il braccio altrimenti chissa dove preme.
Se la tecnica è riuscita bene al Sig.Rossi resta un foro piccolo senza ematomi e ti ringrazia e si stupisce di non aver sentito nulla.
Altri fattori da considerare nell’esecuzione di un prelievo venoso:
- La posizione comoda, l’illuminazione, la presenza di altre persone
- La posizione con cui facciamo il prelievo deve essere comoda, se siamo in piedi e chinati a fine lavoro avremo un bel mal di schiena
- L’illuminazione adeguata non necessità di spiegazioni.
- La presenza di altre persone che ti guardano o che parlano durante l’esecuzione di una tecnica che richiede concentrazione favorisce l’errore anche se la vena è palesemente visibile
Quanti prelievi sbagliati sulla stessa persona?
Spesso consideriamo per definizione di non commettere errori e quindi se facciamo un errore, due o tre ci troviamo in un terreno sconosciuto perchè nessuno ci ha preparato.
Io ho scelto di fare al massimo due tentativi, perchè dopo l’aspetto emozionale aumenta la possibilità di errore e poi seguo la regola “non c’è due senza tre” e se ho già sbagliato due volte perchè insistere.
Chiamare il collega è la soluzione, e se ci prende al primo colpo va bene così è prioritario l’interesse dell’assistito e non soddisfare il proprio ego cercando di dimostrare che non esistono persone a cui non si possa non fare un prelievo.
Quando si viene chiamati dal collega e si ha successo? Abbiamo fatto un prelievo partendo avvantaggiati, dato che sappiamo essere un prelievo impegnativo e dove non dobbiamo forare.
Il difficile è chiudere positivamente l’esperienza di un paziente che ha avuto almeno 3 fori cercando di fargli comprendere le difficoltà tecniche. Una tecnica che non mi piace.
Il foro alla cieca che introduce tutto l’ago attraverso la vena fino ai tessuti sottostanti, collega la provetta sottovuoto e ritira lentamente fino a quando non viene aspirato il sangue. I motivi sono:
- il rischio inutile di toccare un tendine o un nervo, dolore e rischio danni,
- i fori sulla vena sono due, rischio di un’ ematoma profondo.
Quando abbiamo fatto un buon prelievo venoso?
Il “buon prelievo” non dipende solo dal sangue nella provetta, ma anche da come ha percepito l’utente il dolore, chiedergli se ha avuto male è equivalente a richiedere un giudizio complessivo, se la risposta è molto e non ci sono stati delle difficoltà tecniche allora dobbiamo rivedere l’addestramento.
Il dolore riferito non è l’unico criterio, in reparto è possibile verificare se il paziente ha ematomi più o meno vistosi post prelievo, se ci sono ematomi vistosi dipendono da elementi, il paziente era sotto terapia anticoagulante, il paziente non ha premuto sul foro, la tecnica è stata sbagliata e dobbiamo rivedere l’addestramento.
Purtroppo ci sono pochi corsi sulle tecniche infermieristiche come i prelievi, riuscire a fare autoanalisi e sapere che si hanno degli spazi di miglioramento è un’ informazione rarissima e utile che deve essere ricercata e apprezzata così da potersi confrontare con i colleghi ed attuare una strategia di miglioramento continuo.
Per approfondire:
Disostruzione cvp occluso: che fare quando un catetere venoso periferico è occluso?
Accesso venoso con catetere periferico – Fra mito e leggenda