8 marzo, Festa della Donna. Ma è festa davvero? Il quadro dipinto dalle “lei” dell’antiviolenza
L’8 marzo è una giornata speciale, e dai contenuti ambivalenti. Da un lato si celebrano le conquiste sociali, economiche e politiche delle donne, dall’altro la “Festa della Donna” risulta essere un naturale momento di riflessione e denuncia di un tema a tutt’oggi intatto e inaccettabile: quello della violenza di genere.
E’ inutile girarci attorno: le donne oggetto di percosse, maltrattamenti e vessazioni sia fisiche che psicologiche, sono tantissime.
8 marzo Festa della Donna: qualche articolo che andrebbe riletto, qualche numero su cui riflettere
I numeri, ahinoi, sono tutti da considerare per difetto. In questi anni Emergency Live ha cercato di affrontare la tematica da svariate angolazioni, offrendo ai propri lettori contenuti che riguardavano gli operatori del 112-118, i soccorritori, gli infermieri ed il personale medico del Pronto Soccorso e via dicendo.
Oggi abbiamo chiesto di dare un proprio contributo ad alcune donne con ruoli apicali nel contrasto della violenza: una ispettrice di polizia municipale a capo di un Nucleo Antiviolenza e due presidentesse di associazioni “di genere”. Tre città diverse, anche come distribuzione sul territorio nazionale, un quadro omogeneo e tutt’altro che allegro.
Una di esse ci ha rivolto un invito che inizialmente ci ha sorpreso, ma che a ben guardare ha una ratio di fondo anche condivisibile: “non mettere nomi o ruoli, non è davvero il caso”. Nessuna paura di ritorsioni o conseguenze: “noi donne – ha risposto una delle nostre interlocutrici, di fronte alla nostra espressione perplessa – dobbiamo arrivare a dare risposte univoche e forti”.
Ok, andata. Inoltriamoci in questo esperimento di “no name analysis”: le risposte hanno diverse fonti, ma diventano a questo punto “una e trina”. Di volta in volta interverrà un’interlocutrice differente.
8 marzo Festa della Donna: che fare di fronte ad una violenza di genere?
“ Partiamo da una considerazione semplice: nella maggior parte dei casi la violenza di genere ci coglie impreparati, anche solo mentalmente. Sei lì per i fatti tuoi, esci da una pizzeria in seno ad una serata normalissima, e ti trovi di fronte ad un uomo che minaccia o malmena una donna: qual è la serie di azioni corrette da compiere? Facendo cosa, da normale cittadino, sei assolutamente certo di essere di aiuto?”
“Naturalmente le situazioni cambiano da caso a caso, non c’è una ricetta valida aprioristicamente. Ma, nel caso che hai posto tu, la soluzione più efficace è proprio quella cui si tende a non pensare. L’esperienza insegna che questa gente, quel genere di maschio, non si aspetta che qualcuno intervenga: li si coglie di sorpresa mettendosi ad urlare, per esempio. Frasi del tipo “guarda che ho chiamato la polizia” possono sembrare delle scemate, invece ottengono l’effetto desiderato: l’aggressore si rende conto di avere degli spettatori. E’ davvero sconsigliabile intervenire fisicamente in prima persona: un aggressore di cui non conosciamo né la capacità fisica né l’eventuale afferenza ad armi rappresenta un’incognita. Se il nostro obiettivo è essere di aiuto ad una donna maltrattata, farla passare da dei cazzotti ai colpi d’arma da fuoco rappresenta un rischio che non è bene correre. E’ invece provato che il richiamare l’attenzione sia di un’efficacia insospettabile. E soprattutto coinvolgere il maggior numero di persone: se siete fuori da un locale pubblico, urlare “guardate, guardate cosa sta facendo quell’uomo” è decisamente il metodo statisticamente più rapido per indurlo a smettere e allontanarsi”.
8 marzo Festa della Donna: azioni di fronte alla violenza domestica
“Un’altra situazione tipica è tornare a casa dal lavoro e sentire i vicini, che spesso nemmeno ormai si conoscono, urlare e tirarsi oggetti. A quel punto, che fare? Come capire se è una banale, magari animata, discussione di coppia tra due persone “fumentine” o se invece quei rumori indistinti e difficili da codificare sono la testimonianza di un maschio che sta agendo violentemente su una donna?”
“Anche in questo caso la risposta è variabile. Dipende dal grado di confidenza col vicino, ma in linea di principio l’idea migliore è comunque di chiamare la polizia, perché per quanto si possa conoscere qualcuno, spesso non abbiamo gli strumenti per sapere se in quel momento ha varcato una soglia di comportamenti che non andava varcata. Una parete non dà la possibilità di comprendere davvero se la discussione sia per una bolletta non pagata o per un desiderio di possesso e di sottomissione violenta in atto”.
“E dall’altra parte chi abbiamo? Intendo dire: anni ed anni di campagne sociali e di comunicazione sulla violenza di genere ha comportato una specializzazione dei vari corpi di pubblica sicurezza in materia di violenza alle donne?”
“Sicuramente vi è, almeno a parole, una maggiore attenzione alla tematica. Nei fatti non è patrimonio di tutti. Ancora oggi si sentono rappresentanti di vari corpi uscire con frasi tipo “tra moglie e marito non mettere il dito” o “bé, se son arrivati a quel punto lì, qualcosa sarà successo” ed è innegabile che dia ben più che fastidio. Racconta che c’è ancora scarso senso della solidarietà”.
“Una remora delle persone comuni ad intervenire è la prospettiva di passare le mattinate in un Comando per le deposizioni e le denunce del caso…”.
“Purtroppo il rischio c’è. Non tanto il giorno dopo ma nei mesi successivi. Quindi di essere richiamati, di ripetere diciotto volte le stesse cose. E a questo punto però scatta l’altra parte della preparazione “di genere”: come fare perché il cittadino che si espone in queste situazioni se la cavi nel minor tempo possibile? La risposta è che bisogna saper fare le domande giuste. Ci vuole senso del sacrificio: hai trovato una persona che se la prende tanto a cuore da dedicare il suo tempo ad una situazione del genere? E allora, tu rappresentante delle forze dell’ordine, devi dedicarne del tuo per formare te stesso e lavorare in modo appropriato”.
“Ma la denuncia è obbligatoria? Quand’è che le denunce partono d’ufficio?”
“ La denuncia parte d’ufficio quando le lesioni sono tali da giustificare l’intervento d’ufficio. Più spesso però si parte su segnalazione se le lesioni sono “inferiori”, cioé con solo alcuni giorni di prognosi.
Capita però spesso che chi sta al Pronto Soccorso faccia notare che “una persona (una donna) è afferita alle nostre strutture con prognosi di tre giorni (quattro giorni, cinque giorni, sei giorni) in quattro occasioni diverse. Vai a vedere cosa sta succedendo?”.
Se la “signora Rossi” presenta tre o quattro certificati con prognosi di pochi giorni, le antenne vengono alzate”.
Violenza di genere, quando al Pronto Soccorso ti accompagna il marito
“Un intervento che viene svolto “nonostante il marito”: come si può ovviare ad un problema di approfondimento e di indagine?”
“Ecco, qui si tocca un tema tra i più sentiti per chi fa assistenza sanitaria e psicologica alle donne. Il fatto è che molto spesso a perpetrare la violenza è il marito, e questi tende, in quanto coniuge, ad accompagnare la moglie al Pronto Soccorso. Essenzialmente per indagare, per controllare che la donna dica “le cose giuste” (naturalmente dal suo punto di vista). Chiede anche di visionare il referto: teoricamente per sapere cos’ha la moglie, per la quale si mostra preoccupato e affranto, nella realtà per leggere se si faccia cenno a percosse o dinamiche violente. Il persecutore che cerca di garantirsi l’impunità.
In molti ospedali dell’Emilia-Romagna e di altre regioni, per questa ragione, è iniziata da tempo la pratica del referto temporaneo: esso consiste in una refertazione sommaria, per completare la quale si chiede alla sospetta vittima di tornare nei giorni successivi. La speranza è naturalmente che essa torni senza il marito potenzialmente violento, per poter completare tutte le indagini del caso e magari favorirla nell’aprirsi”.
“Come funziona la rete di intervento? I nuclei antiviolenza, per esempio, sono collegati fra di loro?”
“Magari! Innanzitutto i nuclei antiviolenza non sono, purtroppo, così tanti. Esistono nuclei tutela minori, donne-minori, ma i Nav…non sono così tanti. Quello di Milano è stato uno dei primi, se non il primo, e di lì in poi la strada è stata molta. Perché Milano ha poi “aperto al strada” ad altri centri della Lombardia. In Emilia-Romagna ce ne sono sei. C’è qualcosa a Roma ed in altre città, ma non una rete strutturata. Forse perché per occuparsi di una tematica specifica bisognerebbe dotarsi poi di una preparazione specifica?”
“La questione delle denunce: l’anonimato è garantito?”
“No, e questo è davvero opinabile. Molte procure ti ricordano che le denunce anonime non hanno valore, ma nella pratica se uno ti chiama per dirti che sente piatti volare e bambini piangere tu ci vai. Intervieni. Fa pensare però che se uno segnala che un vicino di casa abbandona dei rifiuti basta la segnalazione, mentre se picchia la moglie teoricamente servirebbe nome e cognome. E’ davvero molto ipocrita. Spesso, direi praticamente sempre, l’umanità degli operatori va oltre, va a compensare…ma il dettato sarebbe diverso”.
“Una strada per affrontare seriamente il problema della violenza di genere?”
“Da qualche anno prestiamo attenzione a situazioni molto marginali, in termini di educazione ai nostri giovani: cominciamo ad insegnare loro il rispetto. Il rispetto a 360°. E questo collega vari aspetti di uno stesso problema, che va dal bullismo nelle scuole ad appunto il rispetto di genere. O l’aggressività nei confronti di chi interviene per soccorrere”.
“Cinque cose che andrebbero fatte immediatamente per migliorare radicalmente la situazione? Quali azioni dovrebbero essere intraprese volendo davvero affrontare il tema della violenza sulla donna?”
“Negli ospedali sicuramente velocizzare le procedure: da poco si sono introdotte delle procedure da codice rosso, è necessario che ciò diventi pratica comune in tutti gli ospedali, applicata in maniera coesa su tutto il territorio nazionale. Ovviamente velocizzare in maniera analoga tutta la parte dopo, quella successiva all’ anamnesi e alla raccolta delle testimonianze da parte delle donne. Velocizzare gli aiuti, perché spesso le persone in questione hanno un bisogno primario che è andarsene da quell’abitazione.
Perciò diminuire la burocrazia e migliorare la comunicazione con la donna che ha subito violenza di genere diventa una strada obbligata persino in un paese come l’Italia, che vive di burocrazia. Vista da fuori, la violenza di genere lascia ancora margini per sperare. Vista da dentro ci si rende conto che le lungaggini, la burocrazia, le difficoltà continue…lasciano minore spazio ad un sentimento positivo. Il nostro è un codice penale al maschile, e veniamo da quella cosa lì: è sciocco nascondercelo, e non ci aiuta a cambiare prospettiva”.
Quindi ecco il quadro che ci definiscono queste tre donne, che diventano voce di un po’ tutte le donne: intervenire di fronte ad una violenza di genere, in Italia, significa esporsi in prima persona alle lungaggini del sistema giudiziario. Spesso essere poco o nulla tutelati nel proprio sforzo. Senza essere certi che tale sforzo determinerà un vero e proprio miglioramento della condizione della donna che si vorrebbe tutelare.
8 marzo, Festa della Donna…ma anche no. Non quanto ci si sarebbe potuti aspettare prima delle interviste.
E quindi…perché intervenire? “Perché se tutti interveniamo e facciamo la nostra parte possiamo gettare le basi per un futuro diverso. Perché il quadro è quello che è stato definito, ma anche perché è stato consentito che diventasse questo proprio dalle tante persone che avrebbero potuto fare di più e non l’hanno fatto. Le nostre figlie meritano di crescere in un mondo che le vedrà più tutelate e rispettate. Il quadro di oggi è meno importante di quello che dobbiamo ancora dipingere”.
8 marzo, buona Festa della Donna a tutte le nostre lettrici, da tutti noi di Emergency Live.