Aggressione al soccorritore di Imperia: intervista al presidente della Croce Bianca
Violenza su soccorritore ad Imperia: a far arrabbiare, a ferire profondamente, è il contesto in cui avvengono queste incredibili aggressioni.
Violenza su soccorritore: picchiare qualcuno che, per vocazione, salva la vita degli altri
Un essere umano termina le proprie faccende: esce dal lavoro, conclude la giornata di studi e quant’altro. Si cambia, mangia un boccone, e invece che pensare a se stesso si dedica agli altri.
Indossa una divisa e monta su un’ambulanza. E lo fa così frequentemente che la sirena dell’ambulanza diventa un sottofondo naturale ad una parte della propria quotidianità.
Oppure, in maniera percentualmente molto meno rilevante ma ugualmente importante, ama così tanto aiutare il prossimo, soprattutto quello che rischia di morire, da farne un lavoro.
Spesso pagato in modo inadeguato, spesso dal valore riconosciuto dalle istituzioni solo in periodo elettorale, o quando le emergenze moltiplicano le conferenze stampa.
Gli “angeli del soccorso”, almeno per un po’. Un’espressione che irrita soprattutto i diretti interessati, che si sentono semplici esseri umano.
Ecco, gente così, sia essa volontaria o lavoratrice, in Italia picchiarla è da tempo una consuetudine.
A raccontare interamente una fase storica, quella nella quale viviamo.
L’ultimo esempio di una troppo lunga sequenza, la Croce Bianca di Imperia.
Tredici lavoratori dipendenti, cento volontari, durante l’emergenza – Covid-19 la Croce Bianca di Imperia ha effettuato 430 servizi specifici. Che in soldoni significano equipaggi disposti, per motivazioni interiori riconducibili all’etica, ad entrare consapevolmente in contatto con il virus più aggressivo della storia recente dell’umanità pur di essere d’aiuto.
Ecco, uno di essi, un ragazzo di appena 20 anni, qualche giorno fa è stato picchiato da tre giovani.
Abbiamo chiesto al presidente della Croce Bianca di Imperia, Roberto Trincheri, di rispondere a qualche domanda, e questi ha gentilmente acconsentito.
VIOLENZA SU SOCCORRITORE, L’INTERVISTA:
1) Prima di ogni cosa: come sta il vostro volontario?
“Il nostro volontario per fortuna sta bene, un grande spavento un occhio nero, ma sono felice di comunicare che già oggi pomeriggio era di nuovo di turno, a fare quello che gli piace tanto aiutare gli altri… un bellissimo segnale forse più significativo di qualsiasi parola.
Il giorno dopo l’aggressione mi ha telefonato e mi ha detto: “Presidente c’è bisogno di me? In Pronto soccorso mi hanno detto che posso fare servizio attivo. Pensavo di segnarmi di turno domani se sei d’accordo”..
Che altro potevo rispondere se non “ok, visto che il medico ha detto che non devi stare a riposo”?”
2) Appena 20 anni: come spiega, un Presidente, ad un giovane (e agli altri volontari) quanti giusti motivi esistano per continuare a spendersi per il prossimo?
“Premesso che sono un presidente abbastanza giovane, ho solo 20 anni più del nostro volontario, e quindi tra me ed i volontari c’è un vero rapporto di amicizia, è una delle cose che ci invidiano, il clima, la vera idea di famiglia che viviamo quotidianamente.
Riuscire a creare un clima giusto, in un’associazione di soccorso, è quello che a mio avviso può fare la differenza.
Credo che tutti quelli che si avvicinano al nostro mondo sappiano già il perché lo fanno, prima di tutto la voglia di aiutare gli altri,o voglia di rendersi utile.
Io 25 anni fa, quando ho iniziato in Croce Bianca Imperia, avevo conosciuto amici che mi avevano raccontato di quanto era bello poter aiutare gli altri. Poi una volta che inizi e conosci gli altri volontari capisci che è la scelta giusta.
Molti pensano che sia un ambiente triste perché abbiamo tutti i giorni a che fare con i malati, ma non è così: ci sono anche momenti bellissimi. Potrei dire intervenire sulla nascita di un bambino, o vedere la gioia nelle persone quando magari riporti a casa un loro caro dall’ospedale, e i tanti grazie sinceri delle persone che aiutiamo”.
3) Da “angeli del soccorso” a persone oggetto di violenza: il Covid non ha quindi insegnato nulla?
“In questi giorni siamo stati etichettati come angeli del soccorso, eroi, persone spettacolari.
La verità è che noi siamo sempre gli stessi, abbiamo solo sostituto la nostra divisa colorata e appariscente con una scomoda e calda ma SOPRATTUTTO Anonima tuta bianca.
Questo episodio di violenza non è il primo e purtroppo non sarà l’ultimo, ma non si può generalizzare. Sono state tantissime le persone che hanno dimostrato la vicinanza alla nostra associazione, è stata una cosa bellissima sentire che telefonavano in sede semplicemente per dirci di stare attenti.
La gente comune è quella che ci ha permesso di andare avanti, di non mollare: in un momento in cui la testa ed il fisico iniziavano a vacillare, quei grazie sono stati la nostra iniezione di energia.
Questo episodio vergognoso è opera di tre sbandati come ce ne sono tanti al mondo.
Ma anche in questa occasione sono state tantissime le manifestazioni di solidarietà della gente. Purtroppo che i soccorritori siano spesso oggetto di violenza, così come i medici e gli infermieri fa parte della nostra missione. Così come gli atti vandalici a beni di pubblica utilità”.
Violenza verso il soccorritore, quando il covid finirà:
“Credo che il covid, quando finirà, e spero presto, avrà insegnato meglio alla gente quello che facciamo, chi siamo realmente.
La soddisfazione più grande ricevere telefonate di persone estranee alla nostra associazione che mi chiedevano come potevano fare per venire in battaglia con noi per sconfiggere questo Virus…credo che questo Covid insegnerà soprattutto tanto a noi volontari: abbiamo infatti imparato quanto sia importante il contatto con il paziente, che in queste tipologie di interventi è messo in secondo piano.
Ho scritto volutamente prima un’ “anonima tuta bianca”, che ci rende alla faccia del paziente tutti uguali….e l’approccio di ogni soccorritore, che è quasi sempre diverso l’uno dall’altro, in questo caso è uguale per tutti.
Entrare in casa delle persone vestiti da astronauti, dire la solita frase “andrà tutto bene”, portare via un familiare, sapendo che quello è l’ultimo momento di contatto fisico tra i congiunti, ci fa sentire un po’ come dei rapitori ed è mentalmente devastante.
Specie quando queste persone magari si conoscono, e quella tuta anonima in certi casi allora diventava uno scudo, un mezzo di difesa che ci permette di nasconderci alla vista di quelle stesse persone”.
4) Un fatto di cronaca che si inserisce in così tanti altri episodi da poter ormai parlare di comportamento sociale: quali sono, per la sua esperienza, i motivi che spingono a considerare “picchiabili” i volontari del 118?
“Non credo esista un motivo sensato per spingere una persona ad avere un gesto di violenza nei confronti di qualcuno che sta cercando di aiutarti.
Purtroppo i volontari sono picchiabili, così come le forze dell’ordine, perché queste persone sono instabili, e certe volte non sono in se.
Sarebbe una bella cosa se le nostre sigle di riferimento, nel mio caso Anpas, organizzassero dei corsi di auto difesa personale, o delle convenzioni con qualche scuola per permettere ai volontari di difendersi.
Questa volta è toccato ad un ragazzo di vent’anni, ma l’estate scorsa ad Imperia a prendere un pugno in faccia è stata una nostra volontaria con conseguenze ancora più gravi”.
5) Avete deciso di perseguire i responsabili di quella scellerata aggressione?
“Sì, io ho sporto denuncia per i danni al mezzo di soccorso ed il volontario per lesioni: è stato veramente bello vedere la parte “umana” dei militari dell’arma della radiomobile di Imperia, che hanno dimostrato una vera vicinanza al nostro giovane volontario. Inoltre, grazie alla loro celere indagine, sono già riusciti ad individuare gli artefici di questo bruttissimo gesto”.
6) Com’è l’umore in sede? Quali strascichi ha lasciato questa negativa esperienza?
“Inutile dire che siamo arrabbiati, è andata bene che in quella occasione molti volontari un po’ più anziani non erano presenti: credo che sarebbero sicuramente intervenuti in difesa del nostro volontario, e non sarebbe finita bene per gli aggressori.
È un periodo nel quale siamo stanchi e arrabbiati: ci siamo ritrovati in questa battaglia con il covid, un lasciati un po’ soli, il nervosismo è alto e una situazione come quella di ieri sera non avrebbe aiutato e sarebbe potuta degenerare.
Come ho detto più volte ai nostri ragazzi, lasciamo lavorare le forze dell’ordine, e continuiamo ad aiutare gli altri: il nostro compito è questo.
Ma non nego che anche io quando ho saputo del fatto mi sono subito arrabbiato: per fortuna sapere che il nostro volontario stava bene mi ha subito calmato.
In fatti come questi, l’aspetto umano ha la meglio: l’ho detto all’inizio, hanno picchiato uno di famiglia. Quale sarebbe la reazione se qualcuno picchiasse un vostro famigliare? Siamo soccorritori si, ma siamo soprattutto esseri umani.
Spero di cuore che questi sbandati non vogliano riprovarci, lo spero per loro”.
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