Coronavirus, falsi tamponi con esito negativo: giro d'affari creato da medico 118
Medico 118 protagonista a Napoli di una mega-truffa sui tamponi Covid smascherata dai carabinieri del Nas e portata alla luce dalla giornalista Amalia De Simone
Un’organizzazione, al momento ci sono 17 indagati, che effettuava tamponi per la ricerca del coronavirus senza avere i macchinari adatti a processare i campioni, né il personale specializzato.
Migliaia i test eseguiti, come venuto fuori dalle intercettazioni.
E persone lasciate libere di andare in giro forti di un esito negativo assolutamente fasullo.
Questo il cuore dell’inchiesta su una mega-truffa sui tamponi Covid smascherata dai carabinieri del Nas di Napoli e portata alla luce dalla giornalista Amalia De Simone, pubblicata oggi da Tpi.
Tamponi falsi a Napoli: “mente” dell’operazione un medico 118, “braccio” un infermiere
A mettere su il giro d’affari un medico del 118, con lui, tra i pochissimi ad avere un titolo sanitario, un infermiere che in una intercettazione diceva: “Io gli facevo il tampone e lo mettevo su una striscetta già usata e non gli dicevo niente.
Non attendevo nemmeno i 20 minuti e dicevo: è negativo guaglio’, tutto a posto!
Capito? Tanto io già so che quella striscetta è negativa quindi non tengo il rischio. (…) Che me ne fotte… Nella sua testa lui è negativo. Se pure fosse stato positivo già avrebbe fatto i guai… Che me ne fotte a me”.
Vittime inconsapevoli ma c’è anche chi di qualcosa si era accorto, e si era lamentato della scarsa professionalità del servizio, dopo aver ripetuto il tampone all’Asl con esito questa volta positivo.
L’organizzazione poteva contare sul supporto di una azienda specializzata in protesi acustiche che metteva a disposizione il suo parco clienti, i locali della sua struttura e un macchinario per processare i tamponi, nello specifico una macchinetta per l’esecuzione e l’analisi dei tamponi nata per la ricerca dei virus negli animali e in particolare della brucellosi nelle vacche e che invece era stata modificata per l’occasione e quindi non era nemmeno omologata, nè testata.
I risultati non potevano avere alcuna evidenza scientifica e probabilmente per le analisi venivano utilizzati kit diversi da quelli prescritti normalmente.
Per ogni test venivano rilasciati anche dei certificati firmati proprio dal medico che coordinava le prestazioni.
L’attività, inoltre, era stata avviata ben prima che la Regione Campania autorizzasse i laboratori privati ad eseguire i test per la ricerca del virus.
Per approfondire:
COVID-19, protesta contro il lockdown regionale: guerriglia sul lungomare di Napoli