Covid: “Antinfiammatorio per cure domiciliari non è profilassi”
L’antinfiammatorio irrompe nelle cure domiciliari al Covid: “Di fronte all’allarme di molte persone che hanno contratto il virus e sono a casa, bisogna ricordare che questa malattia si risolve in modo autonomo e senza l’assunzione di farmaci specifici, se non sintomatici”
“Non esiste una profilassi e non c’è bisogno di andare in ospedale, la progressione può essere rapida ma non così tanto da non fare in tempo ad essere ricoverati.
Nel caso manchi un saturimetro in casa, il conteggio degli atti respiratori al minuto è un buon sostituto dello strumento.
Mentre il concetto di vigile attesa, che a molti non piace, significa in realtà osservare i sintomi e valutare i farmaci da assumere, dietro prescrizione medica, considerando che la maggior parte guarirà spontaneamente.
É una strategia fattibile, diversamente se compare della fatica respiratoria e il paziente desatura, allora è opportuno andare in ospedale per essere valutati attraverso una Tac.
Un paziente a casa con il Covid è normale, serve un po’ di autovigilanza”.
Covid e antinfiammatorio nella cura domiciliare: è il Prof. Massimo Andreoni a spiegare come gestire la malattia in casa, senza scivolare nel panico della ‘vigile attesa’
Andreoni, che è ordinario di Infettivologia all’università di Tor Vergata e primario nell’ospedale universitario, passa in rassegna tutte le possibilità di cura, sia domiciliare che ospedaliere, che possono essere assunte nel trattamento del Sars-Cov-2, come ha fatto anche per la Società italiana di malattie infettive e tropicali, di cui è direttore scientifico, con un paper appena pubblicato su Clinical Microbiology and infection.
“Ad oggi abbiamo definito meglio quali strategie terapeutiche mettere in campo nella gestione dei pazienti Covid, e dico oggi perché c’è stata molta confusione e pochi dati prima di arrivare a questo punto“, sottolinea il primario.
“Sappiamo che nelle fasi iniziali della malattia e fino al quinto giorno, per i pazienti ad alto rischio e con progressione della malattia, l’uso degli antivirali e dei monoclonali può ridurre nel 70-90% il rischio di progressione dell’infezione e la somministrazione viene fatta in ospedale sul paziente domiciliare e non ospedalizzato, vale a dire che una volta fatta la terapia la persona può tornare a casa.
Questa è una prima eccezionale arma per impedire sia l’infezione grave che la pressione sulle strutture sanitarie.
In questa fase iniziale abbiamo altresì compreso che non vanno somministrati antibiotici, azitromicina nello specifico, e cortisone, che invece continuano ad essere prescritti in molti casi, sbagliando perchè sono inutili- avverte Andreoni- nel caso dell’antibiotico e controproducente nel caso del cortisone, che può contribuire al rischio morte.
Sempre nella fase iniziale, quando il paziente può essere gestito con cure domiciliari, possiamo usare il paracetamolo accompagnato talvolta da un antinfiammatorio come l’ibuprofene: questi medicinali migliorano disturbi e dolori, ma riducono anche lo stato infiammatorio.
Il terzo farmaco è l’eparina che però viene indicata in funzione del rischio trombotico del paziente, che può essere legato ad altra causa.
Sono farmaci sintomatici, non specifici per la cura della malattia”, tiene a precisare ancora il professore.
Discorso che cambia invece sul paziente ospedalizzato e con progressiva insufficienza respiratoria: “Si possono fare interventi mirati con il cortisone e l’eparina, che è utilizzata nella stragrande maggioranza dei casi, e ancora con un antivirale come il remdevisir, che recentemente è stato inserito anche nei medicinali per i pazienti domiciliari, quindi in una fase precoce, con tre assunzioni al giorno.
Diversamente, per il paziente ricoverato- specifica Andreoni- dobbiamo procedere con una somministrazione 5 volte al giorno.
In alcuni casi ci può essere ancora l’indicazione di somministrare l’anticorpo monoclonale, laddove non fosse stato dato precedentemente e il paziente non sia vaccinato.
Nella fase subito successiva, salendo nel rischio del quadro di insufficienza respiratoria, può essere somministrato un inibitore dell’interleuchina 1 e che interviene nel processo infiammatorio.
In una fase ulteriore ed estrema dell’insufficienza respiratoria, si può utilizzare il tocilizumab che è un inibitore dell’interleuchina 6 che può controllare la tempesta citochimica”.
In ogni caso, mette in guardia Andreoni, “per le cure domiciliari che riguardano molti più pazienti, ricordiamo che l’assunzione di farmaci come gli antinfiammatori non deve essere fatta senza attenzione: non si prende un antibiotico per timore che un raffreddore diventi bronchite, non è una profilassi e non previene alcun decorso, la cura deve iniziare quando la malattia deve essere curata”, conclude Andreoni.
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