Infermiere di Famiglia e di Comunità, obiettivo Sipps: 2 per ogni 100mila abitanti dedicati alla pediatria
Infermiere di Famiglia e di Comunità: “Due infermieri di comunita’ ogni 100.000 abitanti interamente dedicati alla pediatria”, che ricostituiscano un collegamento essenziale tra il bambino nei suoi primi 1.000 giorni, il suo nucleo, il pediatra di famiglia e tutti quei “servizi territoriali predisposti che cambiano da Comune a Comune. Un servizio che generi un’alleanza di piu’ figure professionali per la risoluzione dei problemi della fragilita’ familiare”.
Ecco la nuova proposta targata Societa’ Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale (Sipps), che mira a “raggiungere e intercettare l’intero universo della diade mamma-bambino attraverso il monitoraggio dei nuovi nati fin dalla loro iscrizione all’anagrafe comunale”.
Infermiere di Famiglia e di Comunità, il progetto SIPPS per la pediatria del territorio
A illustrarla e’ Leo Venturelli, pediatra e responsabile SIPPS per l’Educazione alla Salute e per la Comunicazione, anche garante cittadino dell’Infanzia e dell’Adolescenza per il comune di Bergamo.
L’iniziativa prende vita in un momento “tragico per l’Italia, dove la pandemia ha generato nuovi tipi di poverta’.
Non soltanto una poverta’ economica, quanto formativa e anche in termini di accoglienza”.
Percio’ la Sipps, a contrasto dell’attuale inasprimento delle fragilita’ familiari, propone di ripartire dai fatidici “1.000 giorni in cui si crea l’organismo di un bambino, perche’ e’ in quella fase- spiega Venturelli- che il suo cervello e’ ancora plasmabile e cio’ che puo’ rappresentare un danno puo’ divenire facilmente un beneficio, se si opera un intervento nel momento e nelle modalita’ piu’ adatte”.
Una figura poliedrica, “un case manager tanto con competenze sanitarie quanto sociali” che, proprio seguendo il modello sanitario britannico ‘dell’home visiting’, abbia 5 capacita’ fondamentali: “L’ascolto, l’osservazione, il porre domande al genitore, l’informare sui servizi disponibili sul territorio e, infine, il consigliare buone prassi perseguibili in termini di genitorialita’ efficace e responsabile”.
Le opzioni che la figura professionale potrebbe trovarsi di fronte, durante le visite domiciliari, sono diverse: dalla famiglia autorevole e senza rischi di tipo sociale, alle “mamme con rapporti di trascuratezza, difficolta’ nell’allattamento o assenza paterna”.
Dal “possibile affidamento a servizi di comunita’, come gruppi di ostetricia domiciliari o centri famiglie”, fino alla piu’ “drammatica situazione familiare che richiede un intervento dei servizi sociali e delle istituzioni comunali”.
Il modello dell’infermiere di comunita’, tra l’altro, ha persino matrice governativa.
Il pediatra ricorda, infatti, come nel Decreto Rilancio del maggio scorso si prevedesse “la presenza di 8 infermieri di comunita’ ogni 50.000 persone.
Il che significa- riflette- che in comune di 100.000 abitanti potrei avere fino a 16 infermieri di comunita'”.
La nuova figura dell’infermiere di comunità tra geriatria e pediatria
Da qui l’idea di destinarne alcuni, nello specifico, “non soltanto alla senilita’ legata alla medicina territoriale, quant’anche alla pediatria di famiglia”.
Il momento “e’ opportuno e potrebbe essere propizio- ribadisce- soprattutto in vista del Recovery Fund che potrebbe aprire la strada a fondi e interventi di sostegno alle famiglie, che vanno programmati e precisati proprio in questa fase”.
Una proposta che rappresenterebbe anche un passo in avanti nel contrastare la denatalita’ italiana: “Una famiglia che si sente tutelata dallo Stato, dagli specialisti e dalle associazioni di riferimento- aggiunge il pediatra- e’ una famiglia che puo’ decidere di fare famiglia, con meno paura del futuro”.
Il ruolo dell’infermiere domiciliare deve poi connettersi, “tramite report e analisi degli indicatori di fragilita’, al pediatra che prendera’ in carico la famiglia e il bambino, attraverso le visite filtro e i bilanci di salute”, elemento centrale per volgere la societa’ verso “una medicina che non sia di attesa bensi’ di iniziativa”.
L’input dell’infermiere, in questo senso, facilitera’ “il passaggio di consegne e la gestione sanitaria e sociale del bambino, nella sua crescita, alimentazione e nel suo sviluppo neuromotorio ed educativo”.
Sicuramente, un progetto di questo tipo deve partire “dalla mappatura delle reti di servizi sul territorio: le aziende sanitarie, i pediatri, i comuni, le istituzioni- enumera l’esperto- e non solo”.
I gruppi di lavoro devono poter contare sui “servizi di comunita’, come l’Sos Mamme, l’assistenza sociale, il terzo settore e il volontariato.
Ma anche la parrocchia o la Caritas, che funzionano e possono essere di grande utilita’ nell’affiancamento all’istituzione pubblica”.
Da non dimenticare, infine, il ruolo dei Punti nascita e dei Centri di neuropsichiatria infantile, “ultimamente lasciati piuttosto a loro stessi, con reparti pieni, ora come ora, di adolescenti con difficolta'”.
Poli che, nella proposta Sipps, potrebbero “aiutare la comunita’ a costruire buoni rapporti con la psicologia, con i fenomeni di depressione familiare o materna”.
Una comunita’ “accogliente da rinforzare”, allargata “alla Neonatologia e ai centri di neuropsichiatria infantile, che faccia gioco di squadra per nutrire il bambino in tutti i suoi aspetti, pure in quelli psicologici, nel supporto ai rischi ambientali e a una genitorialita’ che sia effettivamente efficace”.
Per approfondire:
L’infermiere di famiglia e di comunità ai tempi di Covid: etica e deontologia. Rapporto Istisan