La rivolta dei pronto soccorso: “Se siamo intasati è colpa dei medici di base”
Articolo di Elisa Barberis
Se l’assistenza sul territorio funzionasse davvero, forse non saremmo arrivati a questa situazione ormai insostenibile in tutti i pronto soccorso della città». Parola di Franco Aprà, presidente regionale della Società italiana di medicina di emergenza urgenza e responsabile della gestione dei posti letto al San Giovanni Bosco. Detto fuori dai denti: con gli studi dei medici di famiglia chiusi per ferie e il servizio di guardia medica che funziona a singhiozzo, nelle vacanze natalizie sono stati gli ospedali a pagare interamente il conto, accogliendo anche chi, di norma, si sarebbe rivolto al proprio dottore. «L’affollamento cronico è la cartina al tornasole del fallimento del servizio sanitario locale», accusa Aprà.
All’impossibilità di far defluire pazienti verso reparti o posti di continuità assistenziale, a realtà di pronto soccorso piccole, vecchie e male organizzate, si aggiunge la drammatica carenza di personale: «Siamo anche stati penalizzati dalla decisione di spostare, poco prima di Natale, un gran numero di infermieri al servizio di 118, professionalità che non si sostituiscono da un giorno all’altro», continua il medico. Nei dipartimenti d’urgenza il turnover è elevatissimo: «Senza incentivi, con stress alle stelle e carichi di lavoro eccessivi, in tanti chiedono il trasferimento ed è più complicato trovare stabilità se l’organico cambia di continuo».
E anche la guardia medica conta su un organico insufficiente. Nessuna tregua per i medici, con più di 15 visite domiciliari consecutive a testa nelle 12 ore di turno, e i centralini del 5747 costantemente intasati, che più di una volta hanno raggiunto il limite delle telefonate in attesa supportate dal sistema. Con la conseguenza che i pazienti scelgono di rivolgersi altrove. Ecco, allora, che il pronto soccorso diventa l’ultima spiaggia, l’unica sempre accessibile e in grado di dare una risposta. «L’80% di chi arriva forse non ne avrebbe davvero bisogno, ma sa che solo qui può ricevere comunque un aiuto – dice Aprà –. Da quello che lamenta dolori allo stomaco e ha bisogno di un’ecografia all’anziano influenzato, non possiamo certo rimandarli a casa».
Senza provvedimenti immediati e risolutivi, la frattura tra territorio e ospedale continuerà a crescere. «O i medici di famiglia ci verranno incontro – conclude il medico – oppure, se continueranno a delegarci il loro lavoro, le nostre risorse economiche e fisiche si esauriranno in fretta».
Fonte: LaStampa.it