Libia tra guerra e coronavirus. A Yefren l’ong berbera At Yefren consegna aiuti e sogna la democrazia
Se il covid-19 ha picchiato duro nei paesi con economia stabile e pace, possiamo ben immaginare cosa abbia determinato nelle aree di conflitto, come per esempio la Libia.
LIBIA E COVID-19, GLI EFFETTI DELLA GUERRA E DEL LOCKDOWN SULLE PERSONE:
E’ in tal senso molto chiaro, Hussein Kafo, presidente dell’associazione At Yefren: “oltre alla guerra e al coronavirus, a nella cittadina di Yefren la vera sfida è la povertà”-
La città si trova a 130 km a sud di Tripoli, sull’estremità settentrionale dell’altopiano di Gebel Nefusa, a circa 700 metri s.l.m..
La popolazione è amazigh-berbera, e chiaramente vive come il resto del mondo il problema della pandemia da coronavirus.
“Il primo caso di contagio è stato individuato solo tre giorni fa, è un cittadino rientrato dalla Turchia – riferisce Hussein Kafo -: il problema qui però è il lockdown, che ha lasciato senza lavoro tante persone”.
At Yefren è nata nel 2012, all’indomani dei moti popolari che invocavano riforme democratiche, a cui poi è seguito un conflitto non ancora terminata.
L’obiettivo dell’ong è mettere a disposizione osservatori elettorali facendo rete con altre organizzazioni locali e internazionali.
Come sottolinea Kafo, lo scopo è “favorire il cambiamento democratico” e con i colleghi, circa una trentina, sono state seguite elezioni amministrative in tutta la Libia e anche le legislative dello scorso anno in Tunisia.
LIBIA, GLI AIUTI ALLE FAMIGLIE COLPITE DALLE CONSEGUENZE DEL COVID-19:
Il recente blocco ai trasporti e alle attività commerciali imposto da Tripoli per limitare i contagi da Covid-19 ha costretto però l’organizzazione a rivedere la propria missione.
“Abbiamo dovuto fare appello a donazioni private – dice il presidente – e oggi siamo riusciti a consegnare pacchi alimentari e denaro a oltre 300 famiglie in difficoltà”.
All’attivismo solidale Kafo ha unito l’impegno politico.
E’ stato eletto sindaco di Yefren, e da quella carica spiega i problemi della sua città: “Qui sono arrivate circa 180 famiglie da Tripoli, scappate a causa del conflitto tra il Governo di accordo nazionale e il generale Khalifa Haftar, iniziato ad aprile 2019.
Molte di loro non hanno una casa o un lavoro e così il Comune le aiuta a pagare l’affitto o a trovare un impiego.
Ma ora, a causa del lockdown, si è fermato tutto“.
Tante, le famiglie raggiunte dagli aiuti offerti della ong. Tra i beneficiari ci sono anche i residenti di Yefren e gli stranieri: “Tanti africani si sono stabiliti qui per lavorare – dice Kafo, che tiene a chiarire che non si tratta di profughi -, a loro provvede l’Organizzazione internazionale per le migrazioni”.
Ci sono la pandemia e il conflitto libico ma il presidente di At Yefren chiarisce: “Qui le bombe non arrivano.
Inoltre abbiamo un ottimo ospedale e siamo gli unici nella zona ad effettuare i test per il coronavirus”.
La vera minaccia quindi sarebbe la povertà: “Abbiamo chiesto alla gente di restare in casa per contenere il virus, ma tanti non ce la fanno ad andare avanti.
Così portiamo i pacchi alimentari a domicilio”.
Sull’offensiva di Haftar, Kafo è netto: “E’ stato un atto inutile e ingiusto; invece di sedersi al tavolo dei negoziati e discutere come risolvere i problemi, Haftar ha preferito attaccarci, uccidendo tanta gente”.
La Libia al contrario, secondo il presidente di At Yefren, “si aggiusta solo lavorando tutti insieme”.
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