Lotta al Covid e mente umana, serve equilibrio. Studio Università del Maryland su suicidi e depressione
Covid e depressione, coronavirus e suicidi: gli effetti della pandemia sulle persone con fragilità mentale sono ormai molti e assodati.
Da Singapore, lo “Stato delle sanzioni”, dove anche masticare chewing gum in strada si traduce in pesanti sanzioni, ai coffe shop di Amsterdam dove fumare marijuana e’ pratica lecita e quotidiana: l’esplorazione del mondo condotta da Michele Gelfand, psicologa interculturale e professore all’Universita’ del Maryland, mostra come le societa’ esprimano diversi livelli di rigidita’ o permissivismo, secondo il dualismo “tightness/looseness” al centro da anni delle sue ricerche.
L’intervento di Michele Gelfand, professoressa all’Università del Maryland, al Festival della Scienza Medica
Intervenuta al Festival della Scienza Medica di Bologna, online fino al prossimo sabato, Gelfand ha parlato delle conseguenze dell’alternanza tra rigidita’ e lassismo nella gestione della pandemia.
“La cultura e’ un interessante mistero che condiziona, spesso inconsapevolmente, ogni aspetto della nostra vita, sia dei singoli che delle collettivita’.
Come un pesce non si chiede cosa diamine sia l’acqua, tutti noi nasciamo immersi in contesti culturali che informano di se’ ogni nostra azione”.
Ma cosa determina la differenza tra culture piu’ o meno rigide?
“Non si tratta ne’ del Pil, ne’ di un particolare tipo di religione o lingua: dalle ricerche che ho pubblicato negli ultimi anni (condotte in 6 continenti, 33 nazioni e che hanno coinvolto piu’ di 6mila intervistati e pubblicate sulla rivista Science) e’ emerso che a fare la differenza sono le minacce collettive cui quel territorio e’ ed e’ stato sottoposto nella storia, piu’ o meno cronicamente, dalle catastrofi climatiche ai terremoti alle carestie, fino a guerre e invasioni.
Anche la densita’ abitativa alta e’ un parametro che si riscontra nelle societa’ piu’ restrittive, perche’ tende a generare maggior caos”.
La mappa degli Stati Uniti delineata dalla professoressa dell’Università del Maryland
Una mappa degli Stati Uniti ridisegnata su criteri di “tightness/looseness” mostra la perfetta corrispondenza: gli stati piu’ rigidi sono quelli sud-orientali, che hanno sperimentato nel passato catastrofi naturali.
In presenza di minacce la necessita’ e’ di coordinare al meglio le collettivita’ attraverso norme, sociali o codificate che siano.
“Quando, come nel caso del Covid-19, la minaccia e’ di ordine sanitario, la necessita’ diventa quella di un irrigidimento, anche se temporaneo”, dice Gelfand.
Una consuetudine cui i Paesi “tight” sono piu’ abituati dei paesi “loose”: “Le culture piu’ rigide sono caratterizzate da un maggior ordine, controllo, minor criminalita’ e un piu’ alto grado di conformismo- spiega la docente universitaria- al contrario quelle piu’ permissive lottano con l’ordine ma al contempo sono piu’ tolleranti, creative, aperte.
Ma la minaccia cambia la percezione: si pensi a come i leader populisti facciano leva sulla paura e sull’esistenza di minacce – vere o presunte che siano – per solleticare la richiesta da parte dell’elettorato del leader forte”.
Nel caso del Coronavirus, Gelfand ha dimostrato come le culture piu’ rigide siano riuscite con piu’ facilita’ nel contenimento dei contagi e dei morti, tramite sistemi di controllo che risultano pero’ inaccettabili all’interno di contesti democratici che salvaguardano, ad esempio, il diritto alla privacy.
Università del Maryland: non esiste un modello migliore dell’altro
“In realta’ pero’ non esiste un modello migliore dell’altro: piuttosto possiamo parlare di compromesso tra necessita’ di ordine e apertura, perche’ il concetto rigidita’/permissivismo e’ un costrutto dinamico, da modulare di volta in volta.
Occorre insomma identificare i contesti come nel caso di una pandemia, in cui bisogna rendere piu’ restrittive norme lasse, e viceversa.
I miei studi hanno mostrato infatti come agli estremi delle due modalita’ i problemi siano gli stessi, come tassi di suicidi o depressione piu’ marcati”.
E poiche’ i gruppi meno rigidi hanno maggior difficolta’ di coordinamento di fronte a una minaccia collettiva, occorre discutere del livello di minaccia: “Abbiamo bisogno di segnali chiari da parte dei nostri governanti, che devono saper alternare inasprimento e allentamento delle regole, sperimentare modalita’ diverse a seconda delle circostanze e negoziarle quotidianamente.
Quando si vira verso una maggior rigidita’ le persone si sentono minacciate nella loro liberta’, ma deve passare il concetto che l’inasprimento e’ solo temporaneo: e’ una grossa sfida per il legislatore, ma e’ il solo modo per convivere con la grave situazione nella quale ci troviamo e superarla”, ha concluso la Gelfand.