Marinangeli (Siaarti): “Il Covid ha acuito la carenza di anestesisti rianimatori”
Carenza di anestesisti rianimatori: ‘Durante il Congresso è emersa soprattutto la presa di coscienza dell’importanza della figura dell’anestesista rianimatore quale algologo, figura ormai ben definita anche dalla norma’
Si mostra estremamente soddisfatto il professor Franco Marinangeli, coordinatore scientifico del XIX congresso ACD (area culturale dolore e cure palliative) della Società italiana di anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva (SIAARTI).
Gli anestesisti rianimatori e la terapia del dolore
‘In questo evento- spiega Marinangeli, primario del reparto di anestesia e rianimazione dell’ospedale San Salvatore dell’Aquila e Professore Ordinario dell’Università dell’Aquila- abbiamo trattato tutte le principali tematiche della terapia del dolore, avendo bene a mente che noi siamo il riferimento della disciplina e che quindi dobbiamo approfondire al massimo tutti gli argomenti, specialmente i più innovativi.
Un aspetto sul quale abbiamo puntato è quello della ricerca, alla quale è fondamentale avvicinare sempre di più i giovani colleghi.
Da questo punto di vista l’Italia è avanti, ci sono innumerevoli lavori pubblicati da italiani su riviste di caratura internazionale, e questo è un motivo in più per impegnarci ulteriormente.
Siamo con ACD SIAARTI un riferimento scientifico/culturale sul dolore, e quindi è giusto e opportuno investire per mantenere e difendere questo ruolo’.
A circa dieci anni dalla Legge 38.2010, quella relativa alle ‘Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore’, è cambiato davvero molto.
‘La Legge è stata rivoluzionaria- conferma l’esperto- proprio perché ha sancito il diritto a non soffrire dei pazienti.
Fin dall’inizio abbiamo assistito a uno sviluppo differenziato delle cure palliative e della terapia del dolore, hanno preso due vie distinte”.
“Da un punto di vista normativo le cure palliative possono essere svolte e portate avanti da ben 8 specialisti diversi, tra cui gli anestesisti rianimatori, mentre invece la terapia del dolore è prerogativa specifica dell’anestesista rianimatore”
“Se vogliamo, le cure palliative sono andate molto più velocemente, con la realizzazione degli hospices in tutte le regioni già dopo 3 o 4 anni dalla promulgazione della legge stessa.
E avere una struttura di riferimento è molto importante.
Anche se ancora oggi le reti territoriali in molte aree d’Italia stentano ad essere completate, il percorso si può definire a buon punto’.
La terapia del dolore, afferma Marinangeli, ha invece sofferto alcune e più importanti problematiche.
‘Il codice della terapia del dolore, con cui si riconosce un valore economico alla prestazione fatta in ospedale, è recentissimo, è infatti il Codice 96 dello scorso anno.
Questo significa che fino al 2020 tutte le procedure di terapia del dolore effettuate in ospedale di fatto non venivano riconosciute come procedure di terapia del dolore nei flussi economici e informatici di un nosocomio, con grande difficoltà alla tracciabilità.
Così come i criteri di accreditamento della rete di terapia del dolore, i criteri organizzativi di un hub e di uno spoke, le cosiddette reti regionali: tutte cose emerse grazie alla Legge 38 e che però hanno avuto un impulso importante solo nell’ultimissimo periodo’.
Sullo stesso argomento: Il Censimento della terapia del dolore in Italia, l’analisi di SIAARTI
LA CARENZA DI ANESTESISTI RIANIMATORI
Qualche ostacolo, dunque, c’è stato.
‘Già prima del covid- dice Marinangeli- vi era una carenza di anestesisti rianimatori, che con il covid si è acuita enormemente.
Se la pandemia ha avuto un impatto generale sui professionisti l’ha avuta innanzitutto sugli anestesisti rianimatori, impegnati in terapie intensive moltiplicate nel loro numero.
Dunque gli Anestesisti che lavorano sul covid non possono lavorare in altre aree come l’anestesia e come la terapia del dolore.
Nonostante tutto, dal punto di vista organizzativo e normativo siamo andati avanti e oggi i centri di terapia del dolore sono molto più riconoscibili.
Oggi di fatto esiste una rete dei centri di terapia del dolore SIAARTI’.
LE PROPOSTE DI SIAARTI PER AFFRONTARE IL COVID
Numerose sono state le proposte presentate da SIAARTI per affrontare al meglio il covid.
‘Come SIAARTI abbiamo lavorato in diversi ambiti- continua Marinangeli- perché la società è stata una delle più interessate alla gestione del coronavirus.
Abbiamo un aspetto prettamente legato alle terapie intensive, che non è stato argomento dell’evento, durante il quale, invece, abbiamo dato spazio alla palliazione all’interno delle terapie intensive’.
Fin dall’inizio della pandemia uno dei temi è stato proprio quello dell’accompagnamento alla morte, argomento molto dibattuto quando si parlò di triage e di scelta del paziente da curare.
‘Noi però- sottolinea- siamo andati oltre questi aspetti, lavorando anche sulla definizione di linee guida che riguardano la sedazione terminale, tema molto forte che rientra nel discorso covid ma anche in tante altre problematiche di fine vita.
È un tema che certamente tornerà, è uno di quelli ad alto contenuto etico, tra l’altro molto ben legato alla Legge 219 del 2017, quella sul biotestamento, una legge che desta molto interesse nell’opinione pubblica’.
Altri due i temi fondamentali, secondo il professor Marinangeli, toccati nel corso della tre giorni di lavori congressuali in modalità on line.
‘Un aspetto riguarda certamente la tecnologia– informa- con una giornata dedicata alle tecniche invasive della medicina del dolore, durante la quale si è parlato di evoluzione tecnologica che ci può aiutare nella gestione del paziente con dolore.
Ci siamo poi soffermati sulla farmaceutica, con una evoluzione nella ricerca di farmaci innovativi che possano aiutarci ancora di più nella gestione dei pazienti cronici, considerando che l’età media della popolazione avanza e e con essa le patologie croniche che sono spesso caratterizzate da dolore.
Abbiamo una popolazione molto anziana, siamo secondi solo al Giappone e quindi ci portiamo dietro tutte le patologie caratterizzate da dolore cronico.
Un aspetto molto importante sul quale ci siamo soffermati è stato quello della telemedicina, intesa come sistema di controllo dei pazienti a domicilio.
Un tema che accomuna le patologie croniche invalidanti con il covid, perché se ne è parlato molto sui media anche per il monitoraggio dei pazienti affetti da coronavirus.
Ma la terapia del dolore e le cure palliative si prestano molto bene a questo tipo di gestione e credo pertanto che un tema su cui lavoreremo in futuro in maniera importante sarà proprio questo, e su questo cercheremo di essere all’avanguardia’.
DOLORE CRONICO ONCOLOGICO E NON ONCOLOGICO
Marinangeli fa poi chiarezza sulla differenza tra dolore cronico oncologico e dolore cronico non oncologico.
‘Il dolore cronico è qualsiasi dolore che abbia una durata superiore ai tre mesi, che sia da cancro o non da cancro. In passato per il dolore da cancro si utilizzava la morfina, mentre per quello non da cancro non si usava perché ritenuta pericolosa, per paura di dipendenza, tolleranza, assuefazione’.
Oggi, invece, questa distinzione non ha più alcun senso ‘perché- aggiunge- per noi il dolore cronico è il dolore cronico e il nostro obiettivo è quello di trattarlo in maniera molto incisiva e molto precoce in entrambi i casi.
La sopravvivenza del paziente con cancro oggi, peraltro, è fortunatamente molto lunga, e fare un distinguo sul tipo di analgesico da utilizzare non è corretto.
Un’altissima percentuale dei pazienti affetti da cancro sono lungo sopravviventi, probabilmente non moriranno nemmeno di tumore e quindi li consideriamo come gli altri affetti da dolore cronico ma che non hanno una neoplasia.
La differenza, dunque, non deve esistere in termini di approccio farmacologico e si tratta di un tema molto importante anche dal punto di vista della sensibilizzazione della classe medica e della popolazione in generale’.
LA DIPENDENZA DA OPPIOIDI
Un altro argomento che ha fatto molto discutere gli esperti è stato quello dell’opioid epidemics, la dipendenza da oppioidi.
‘Noi medici italiani siamo stati accomunati ai colleghi degli Stati Uniti ma lì sono accaduti fatti gravi perché i pazienti non sono adeguatamente seguiti, diversamente da quanto accade in Italia.
È chiaro che la dipendenza da oppioidi può verificarsi, cosi come può verificarsi una dipendenza da ansiolitici, da antidepressivi e da tanti altri farmaci.
Qui il tema è se e come controlliamo i pazienti. I centri di terapia del dolore esistono proprio per svolgere questa funzione, sono centri nei quali vengono svolti controlli continui dei pazienti, in cui avviene una rotazione periodica dei farmaci, evitando in questa maniera la tolleranza, cioè la necessità di dosaggi più alti, e la dipendenza.
Se i pazienti sono ben gestiti, il problema della dipendenza non esiste.
Ovviamente c’è bisogno dell’attenzione del medico e, soprattutto, c’è bisogno di sapere che esistono i centri di terapia del dolore a cui ci si può rivolgere per avere gli opportuni consigli, anche se i farmaci sono stati inizialmente prescritti da uno specialista ortopedico o neurologo’.
Per approfondire:
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