Non sono gli infermieri che pretendono i protocolli. Ma i pazienti
Alla fine Sergio Venturi aveva ragione: i protocolli infermieristici della Regione Emilia-Romagna sono legittimi, e nei guai finiranno i medici dell’Ordine. Cosa impariamo da tutto ciò?
Quando ho letto dell’assoluzione di Sergio Venturi da parte della Corte Costituzionale (deposito della sentenza del 6 dicembre, cercala qui), e le chiare motivazione di inconsistenza sollevate davanti alla radiazione dell’ordine di Bologna, ho avuto come un lampo. La storia di questa battaglia che contrappone medici a infermieri è quasi identica a quella che contrappose nel 1325 Modena a Bologna.
La famosa, inutile e dispendiosa guerra della “secchia rapita”
Ebbene si, il Comune Guelfo di Bologna attaccò con ventimila soldati il Comune ghibellino di Modena per impossessarsi di un secchio di legno rubato da alcuni soldati ubriachi, nel quindicesimo giorno di novembre mandato in terra dal Signore nel 1325. La guerra si risolve in un solo giorno, nella violenta e massacrante battaglia di Zappolino. In grandi forze (si stimano 32 mila soldati guelfi, spalleggiati dal papato, contro 7 mila modenesi) Bologna attaccò Modena, ma fu una malparata perché dalla Ghirlandina i modenesi avanzarono rompendo le righe degli avversari e ricacciandoli fin dentro le mura del capoluogo Emiliano. Una disfatta totale, per i Felsinei. Nel frattempo però, morirono duemila persone. In tempo di piazze e sardine, fatevi un’idea del numero di giovani che da un giorno all’altro non ebbero più futuro.
Ecco, la battaglia che i medici stanno scatenando contro gli infermeri per i protocolli del 118 mi è apparsa esattamente come la guerra intrapresa da Bologna contro Modena per il possesso di una proprietà inutile, mai utilizzata, e soprattutto capace di fare solo dei morti, perché alla fine è di questo che parliamo. Quanto sarebbe efficace il 118 se – come in tutto il resto del mondo – ci fossero infermieri con protocolli internazionali attivi? Quante persone si potrebbero salvare, quanti pazienti potrebbero essere risparmiati dal dolore e della sofferenza, quante cure potrebbero essere portate in modo più efficace da un servizio 118 con infermieri preparati e skillati, protocolli di intervento infermieristici avanzati, e medici di emergenza urgenza attivati quando è necessario?
Quanto meglio funzionerebbe il 118 con più protocolli?
La domanda non è retorica.Una soluzione c’è e si possono mettere a confronto diversi modelli, sullo stesso suolo nazionale. In nessuna realtà sarebbe possibile farlo, ma in Italia, grazie ad una legislazione schizofrenica, lo è. Oggi, grazie al nostro sistema politico, possiamo vedere i dati di efficienza economica, sanitaria e sociale dei sistemi delle Regioni del nord Italia, delle regioni del Centro Italia e di quelle del Sud. Oggi è possibile tirare fuori i dati e discutere di quale può essere il percorso di servizio extra-ospedaliero più efficace, basandosi sui numeri. Numeri che però non arrivano mai. Numeri che spesso sono ben nascosti nei cassetti, oppure sbandierati secondo logiche di conteggio che non possono stare una affianco all’altra. Ne è un chiaro esempio il 112/118, ma spostandoci sulle competenze, la sinfonia non cambia.
La nostra preghiera per il 2020 è di avere un sistema di emergenza che si arrenda all’evidenza
Il mondo è cambiato. Il sistema con cui bisogna soccorrere i cittadini è cambiato. Tecnologie, protocolli, volontari, medici, tecnici, competenze… tutto deve essere usato in modo sapiente sfruttando algoritmi e meccaniche che hanno un solo e unico obiettivo. Far soffrire di meno le persone e rendere anche un pelo più contenti i pazienti, e consapevoli. La nostra preghiera per il 2020 è che non ci siano più guerre per il secchio e per l’onore. E’ necessario trovare un posto, e un momento, dove chiarirsi e capire che direzione prendere nei prossimi 10 anni. Nei quali, purtroppo, il paziente che i soccorritori andranno a trovare sarà sempre più complesso da trattare, e in numeri sempre maggiori.