Orari di lavoro, i medici Assomed vogliono il risarcimento per il mancato riposo
Il diritto al riposo e la determinazione di un tempo massimo di lavoro settimanale per i dirigenti medici, sanitari e dipendenti del Servizio Sanitario Nazionale è una vittoria recente nel mondo medicale italiano, conquistata con l’articolo 14 della legge 161/2014, che fa rientrare in vigore – anche in Italia – la direttiva europea CE 104/1993.
Si tratta di un pilastro basilare nella regolamentazione degli orari di lavoro, che però in Italia è stato cancellato nel 2007, rendendo di fatto il mondo medicale in balia di regole assurde, che potevano – in teoria – rendere possibile turni di lavoro da 48 ore consecutive. Oggi la Anaao Assomed – associazione dei medici dirigenti – sta preparando una maxi causa per il ripristino del diritto al riposo per i medici, che è stato reintrodotto proprio grazie alle sollecitazioni presso l’Unione Europea.
Dopo 8 anni sono stati accertati e “certificati” dalla Comunità Europea i diritti dei medici e dirigenti sanitari italiani alle 48 ore di lavoro medie settimanali ed al riposo minimo garantito di 11 ore ininterrotte ogni 24 e, quindi, la violazione di tali diritti e l’illecito di chi, per il ruolo rivestito, avrebbe dovuto applicare la direttiva, e non lo ha fatto anche allo scopo di ottenerne un vantaggio.
Ecco la spiegazione di questa battaglia che Anaao Assomed ha pubblicato su Quotidiano Sanità online.
“Decorsi dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono abrogati il comma 13 dell’articolo 41 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e il comma 6-bis dell’articolo 17 del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66”. Questa disposizione contenuta nell’art. 14 della Legge 161/2104 conclude una lunga battaglia condotta, vittoriosamente, dall’ Anaao Assomed a difesa del diritto al riposo e alla determinazione di un tempo massimo di lavoro settimanale per i dirigenti medici e sanitari dipendenti del SSN.
La storia
L’Unione europea dispone dal 1993 (Direttiva 104/1993 CE) di standard comuni che disciplinano l’orario di lavoro, applicati dal 2000 (Direttiva 34/2000 CE) a tutti i settori dell’economia. La direttiva sull’orario di lavoro è una pietra miliare dell’Europa sociale, poiché assicura una protezione minima a tutti i lavoratori contro orari di lavoro eccessivi e contro il mancato rispetto di periodi minimi di riposo. Nel novembre 2003 la Direttiva 88/2003 CE, una sorta di testo unico sull’organizzazione dell’orario di lavoro, raccoglie i criteri “minimi” relativi a riposi, pause, ferie, orario massimo di lavoro, lavoro notturno. Per il riposo giornaliero la misura considerata “minima” dalla CE è quella di 11 ore consecutive nell’arco di 24 ore, partendo dall’inizio dell’ attività, mentre il tempo di lavoro massimo settimanale è individuato in 48 ore, comprendenti anche le quote di lavoro straordinario
In Italia le Direttive 104/1993 e 34/2000 sono state recepite nell’aprile del 2003 come D.Lgs. 66.
La direttiva europea dà fondamenta giuridiche alla evidenza che periodi lavorativi prolungati producono effetti negativi sulla salute degli interessati ed aumentano il rischio d’errore. Il D.Lgs 66/2003 all’art. 1 definisce riposo adeguato: “Il fatto che i lavoratori dispongano di periodi di riposo regolari, la cui durata è espressa in unità di tempo, e sufficientemente lunghi e continui per evitare che essi, a causa della stanchezza, della fatica o di altri fattori che perturbano la organizzazione del lavoro, causino lesioni a se stessi, ad altri lavoratori o a terzi o danneggino la loro salute a breve o a lungo termine”.
Nel dicembre 2007, con la Legge Finanziaria 2008, per questioni di natura economica, è stata decisa a tavolino, e concordata tra le diverse forze politiche, una deregulation totale degli orari di lavoro del personale medico e sanitario. In alcune fasi del suo iter questa idea ha raggiunto aberrazioni tali che i medici avrebbero potuto lavorare anche due giorni di fila senza che ciò fosse illecito. Sono stati quindi creati supporti legislativi impropri per modificare l’art. 7 (riposo giornaliero) e l’art. 4 (durata massima dell’orario di lavoro settimanale) del D.Lgs 66/2003 con cui si era stata recepita in Italia la direttiva europea sulla organizzazione dell’orario di lavoro. I governi allora in carica (prima Prodi, poi Berlusconi) negavano ai medici e ai dirigenti sanitari quel diritto alla salute che è inalienabile e costituzionalmente garantito, a dispetto della palese illegittimità delle modifiche alla direttiva europea, di non pochi dubbi di co-stituzionalità e degli effetti nefasti di tale decisione sulla salute dei lavoratori e su quella dei pazienti.
Mentre in ambienti lavorativi come quello dei trasporti, del volo e dell’industria nucleare, il problema del rischio legato alla fatica degli addetti è stato affrontato molti anni fa, nel campo della sanità ospedaliera il calo della performance o l’errore in campo clinico sono stati considerati come episodi sporadici anche quando vere e proprie catastrofi sono state attribuite a stanchezza derivante da turni di lavoro prolungati. Ma la letteratura scientifica internazionale collega direttamente la deprivazione del riposo e gli orari prolungati di lavoro dei medici ad un netto incremento degli eventi avversi e del rischio clinico per i pazienti, coinvolgendo il tema della sicurezza delle cure e quindi la tutela della salute dei cittadini che si rivolgono alle strutture ospedaliere.
L’intervento dell’Unione Europea (2012/2014)
Dopo ripetute sollecitazioni da parte dell’ Anaao Assomed e della FEMS, la CE ha chiesto all’Italia le motivazioni del non rispetto della direttiva (2012). La difesa del governo si è basata essenzialmente sul ruolo dirigenziale dei medici del SSN. Ma i medici attivi nel SSN, ancorché classificati quali “dirigenti”, non sempre godono delle prerogative o dell’autonomia dirigenziale, ben specificate dalla CE, durante il loro lavoro. Anzi, nella stragrande maggioranza dei casi (i cosiddetti professionals) tali prerogative non sussistono, in presenza di un rapporto di lavoro contrattualizzato basato sugli orari di lavoro e non solo sui risultati, per cui non possono essere tenuti fuori dalle tutele relative ai riposi e ai tempi massimi di lavoro.
Non ritenendo valide le giustificazioni addotte, la CE nei primi mesi del 2014 ha aperto una procedura di infrazione presso la Corte di Giustizia Europea. Solo a questo punto il Governo italiano, per evitare la condanna, e le pesanti penalizzazioni economiche derivanti, con l’art. 14 della Legge 161/2014 ha finalmente cancellato “errori” reiteratamente sostenuti dai vari governi in carica, rinviando, però, l’applicazione delle norme comunitarie sull’orario di lavoro di un altro anno.
In conclusione, dopo 8 anni sono stati accertati e “certificati” dalla Comunità europea i diritti dei medici e dirigenti sanitari italiani alle 48 ore di lavoro medie settimanali ed al riposo minimo garantito di 11 ore ininterrotte ogni 24 e, quindi, la violazione di tali diritti e l’illecito di chi, per il ruolo rivestito, avrebbe dovuto applicare la direttiva, e non lo ha fatto anche allo scopo di ottenerne un vantaggio.
Ora molti vorrebbero mettere il “cappello” su questa indubbia vittoria Anaao, raccontando senza pudore palesi bugie, anche quelli che nel 2007/2008, come provano documenti epistolari, hanno ritenuto opportuno non impegnarsi nell’impresa negandone addirittura i fondamenti giuridici.
Le prospettive
Se, come è precisato nella stessa Direttiva 88/2003 CE, e in numerose sentenze delle Corte di Giustizia (vedi in particolare le sentenze SIMAP e Jaeger), è valido il suo automatico adeguamento nel corpo delle leggi del singolo Stato, indipendentemente dall’atto formale del recepimento, vengono a cadere le leggi dello Stato, sia antecedenti che successive ad essa, che ne ostacolino la corretta applicazione. Allora, anche il rinvio previsto dall’articolo 14 della Legge 161 del 2014 deve essere considerato nullo e, sulla scorta delle due sentenze Fuss della Corte di Giustizia, i medici stessi hanno diritto sia al risarcimento economico per i turni non rispettosi del riposo minimo e per le ore effettuate oltre il dovuto (Fuss 1) sia ad un indennizzo per la mancata osservanza in sé della Direttiva da parte dello Stato (Fuss 2).
Anaao sta strutturando un sistema di azione legale che chieda, al governo e/o alle amministrazioni, il giusto risarcimento, utilizzando i tabellini orari mensili mai contestati per dimostrare sia l’orario eccedente settimanale sia il mancato rispetto del riposo minimo giornaliero o settimanale ed il mancato godimento delle ferie annuali.
L’azione è diretta ad ottenere il riconoscimento del diritto ad una indennità:
– per ciascuna ora di superamento del limite delle 48 ore di lavoro settimanale (compresi gli straordinari);
– per le ore di mancato riposo: su base giornaliera (minimo 11 ore obbligatorie tra la fine di un turno e l’inizio del successivo);; su base settimanale (24 ore di riposo settimanale a cui si aggiungono le 11 ore di riposo del giorno lavorativo precedente); su base annuale (almeno quattro settimane di ferie).
La richiesta può essere effettuata anche per i riposi non goduti negli ultimi dieci anni, anche se il lasso temporale considerato dipenderà da come il Giudice qualificherà l’azione proposta. In sede di giudizio potrebbero infatti essere riconosciuti i compensi per i riposi non goduti negli ultimi 6 anni.
Il dato culturale ed organizzativo importante è che Medici e Dirigenti sanitari si riprendono il tempo perduto, mettendolo a disposizione del proprio benessere psicofisico o alla vita familiare, contro l’abuso fatto del loro lavoro professionale stressando oltre ogni legittimità orari e tempi di lavoro. E mettendo a rischio la sicurezza delle cure.
Carlo Palermo
Vice Segretario Nazionale Vicario Anaao Assomed
Sergio Costantino
Segretario Anaao Assomed Azienda Policlinico Milano