Climate change e crisi idrica, cosa fare quando manca l'acqua
Climate change e vita quotidiana: come funziona una struttura per gestire l’emergenza idrica? Quale piano di emergenza per la distribuzione o il contingentamento dell’acqua può essere utilizzato in casi eccezionali?
L’emergenza idrica è una delle situazioni più difficili da gestire per mantenere in sicurezza e in stato di benessere un’ecosistema. In Italia stiamo iniziando a vivere sempre più spesso momenti difficili sia per l’agricoltura che per l’industria. Fortunatamente le crisi idriche gravi che comportano razionamenti per grandi centri abitati sono rare. Persistono però situazioni, specialmente in zone difficili da raggiungere soggette a smottamenti e frane, dove il razionamento dell’acqua è ciclico. La siccità degli ultimi mesi e le piogge sempre più torrenziali, incapaci di penetrare nel terreno e di alimentare le riserve sotterranee a cui attingono i nostri acquedotti, aumentano la gravità delle situazioni. Per questo motivo le amministrazioni pubbliche hanno organizzato strutture precise per gestire i servizi idrici in emergenza.
Quando si parla di emergenza idrica?
Quando quantità e qualità dell’acqua potabile non rispettano standard minimi, si parla di emergenza idrica. I piani di azione in questi casi sono diretti a soddisfare due bisogni. Da un lato garantire il livello minimo di acqua per la popolazione, per l’agricoltura e per le aziende. Dall’altro invece ripristinare al più presto livelli basilari di fornitura. Per questo motivo, in Italia, i piani di azione prevedono il coinvolgimenti dei soggetti pubblici incaricati di gestire gli acquedotti, i consorzi di bonifica incaricati di gestire canali, quantità e stoccaggio delle acque presenti in superficie, e in casi eccezionali anche la Protezione Civile e le associazioni locali, che possono procedere al supporto per la distribuzione dell’acqua ove necessario. Nei piani preparati dai vari enti territoriali si accenna anche a situazioni di emergenza terroristica, quando cioè l’acqua viene contaminata da agenti esterni per causare un danno grave alla popolazione. Spesso è il gestore dell’acquedotto che si fa da promotore della stesura dei piani, coinvolgendo si agli attori pubblici che altri attori privati.
Il piano di emergenza deve pertanto prevedere tutte le azioni da intraprendere ai diversi livelli di intervento dell’organizzazione aziendale, sia in termini di personale che di mezzi e attrezzature necessari, stabilendo in dettaglio le procedure di intervento. Il piano di emergenza è suddiviso in tre capitoli, il primo che descrive la struttura aziendale dedicata alle emergenze idriche, in termini di ruoli, personale, mezzi e attrezzature;gli altri due capitoli sono dedicati all’analisi dei rischi e alle procedure da adottare, a seconda del tipo di intervento, a livello di crisi idrica nei territori dei Comuni dove l’Azienda gestisce il servizio di distribuzione di acqua potabile, o a livello di interventi esterni di partecipazione a attività di protezione civile.
Quali sono i rischi idrici che possono accadere?
Rischio 1 – Acquedotti alimentati da un numero di fonti limitato, senza portate significative di scorta, o senza collegamenti di interconnessione con altri sistemi limitrofi. Possibili effetti: carenze idriche a seguito di avaria anche di una sola pompa, o di mancanza di energia elettrica.
Rischio 2 – Acquedotti alimentati da pozzi a rischio di inquinamento, sia sulla base delle caratteristiche idrogeologiche delle opere (captazioni in falda vulnerabile), che in considerazione delle condizioni ambientali del territorio (aree a potenziale inquinamento). Possibili effetti: non potabilità dell’acqua a seguito di contaminazione di uno o più pozzi.
Rischio 3 – Acquedotti alimentati da impianti centralizzati strategici, o a servizio di più Comuni. Possibili effetti: carenze idriche a seguito di avarie, o di mancanza di energia elettrica.
Rischio 4 – Rischio di rottura di tubazioni. Possibili effetti: interruzione per tempi medio-lunghi del servizio, per interventi complessi di riparazione.
Rischio 5 – Rischio di sabotaggio o attentato. Possibili effetti: interruzione per tempi lunghi del servizio, non potabilità dell’acqua a seguito di contaminazione di pozzi, serbatoi o rete idrica
L’ente pubblico o privato che si occupa della gestione dell’acqua crea una “Squadra Emergenze Idriche”. Si tratta di un gruppo di tecnici con strumenti e supporto logistico adeguato, che deve operare quotidianamente per le situazioni di manutenzione straordinaria, riducendo eventuali disservizi alla popolazione. Ma sono anche quelli che devono coordinare gli interventi di maggiore spessore, quando la crisi idrica raggiunge picchi da vera emergenza. Quando grandi calamità – come una frana o per l’appunto prolungati periodi siccitosi – causano disservizi alla cittadinanza, con lunghi tempi di ripristino, deve intervenire un’organizzazione più forte e ampia. Il gestore dell’acqua a quel punto coinvolge competenze e disponibilità a livello superiore, partendo dagli enti provinciali, dalla collaborazione degli enti di bacino limitrofi, fino alla Protezione Civile. Fra le iniziative più importanti dei piani di emergenza c’è sicuramente anche la formazione alla popolazione in “tempo di pace” affinché sappiano tutti preservare al meglio l’acqua e ridurre sprechi, consumi e perdite delle tubazioni.
In emergenza idrica come funziona la catena di comando?
Quando poi ci si trova realmente in emergenza, si apre un tavolo di crisi istituzionale, presso la Prefettura, e si opera con le classiche metodologie della Protezione Civile. Il centro di coordinamento dei soccorsi per l’area di crisi elabora il quadro determinato dalla calamità, riceve le richieste di soccorso e intervento proveniente dalle strutture operatore ed elabora le strategie di intervento operativo e di supporto logistico necessarie a superare l’emergenza. Solitamente quando si parla di emergenza idrica più comuni vengono colpiti, magari sul versante di una montagna o di una zona senza acqua. In questo caso si attivano i COM (centro operativo misto), strutture decentrate capaci di coordinare le attività di aree vaste, a supporto dei sindaci e con disponibilità di soccorritori più grandi. Pensando alle emergenze idriche è necessario capire che proprio gli stessi comuni, quando strutturati in rete o gestiti con sistemi integrati, possono essere un grande aiuto all’organizzazione dei soccorsi e dei sistemi di emergenza. Dal COM – come in ogni emergenza- sarà dato mandato ai COC (Centri operativi Comunali) di assicurare la direzione e il coordinamento dei servizi di soccorso e assistenza alla popolazione. E’ quasi sempre all’interno degli uffici del Comune che si trova il COC, perché in situazioni di crisi idrica non esistono problematiche sismiche o alluvionali.
Senza acqua quali azioni di supporto e di sensibilizzazione nella popolazione?
Le associazioni e le realtà di protezione civile in ambito locale saranno sempre coordinate dai vari COC. Bisogna però ricordare che è necessario svolgere anche funzioni di supporto secondarie, ovvero funzioni tecniche di pianificazione, di assistenza sociale, sanitaria e veterinaria. Il volontariato quindi potrà essere un valido aiuto anche in fase di tranquillità affinché le analisi, le pianificazioni relative all’impatto sul territorio di una crisi idrica o le localizzazioni più adeguate per sostenere l’emergenza vengano fatte nel miglior modo possibile. Le aziende che gestiscono l’acqua quindi devono entrare nell’ottica di un sistema di supporto funzionale e forte, integrato con il volontariato. Anche in fase di non emergenza infatti, preparare al meglio la popolazione per sopportare disagi e problemi è fondamentale. Bisogna in ogni modo tutelare il bene più prezioso che abbiamo, e il volontariato può essere un valido aiuto in tutto questo.