La Protezione Civile si chiamava Giuseppe Zamberletti
La Protezione Civile è stata generata da Giuseppe Zamberletti, da quel senso di comunità e appartenenza che lo ha permeato come uomo dello Stato. Un racconto “a freddo” dell’uomo e del politico che ha dato all’Italia un sistema all’avanguardia per gestire le emergenze.
Si chiamava Giuseppe Zamberletti, era nato a Varese nel 1933 e di lui possiamo dire tante cose. Una di queste, forse la più grande e granitica, è che sia stato un uomo dello Stato. Una vita, umana e professionale, al servizio della collettività in diverse declinazioni diverse.
Entrato in Parlamento nel 1968 con la Democrazia Cristiana, ha da subito affrontato nel suo lavoro temi riguardanti la sicurezza: dalla Pubblica Sicurezza fino al lavoro nelle grandi emergenze della seconda metà del secolo scorso, che hanno fatto nascere e maturare nel nostro Paese il concetto di Protezione Civile. Tra il 1981 e il 1982 lavora fattivamente alla costituzione del dipartimento che sarà in quegli anni creato, dapprima come commissario e poi come capo dipartimento. Le sue fatiche culmineranno nel 1992 con la famosa legge 225, che al contempo rappresenta un grande inizio per tutto il lavoro che da quel momento riguarderà tanti attori diversi, nei più svariati enti dello Stato e delle Associazioni di volontariato.
Ho rivolto tre domande ad Alberto A. A. Bruno, oggi funzionario della Protezione Civile di Regione Lombardia e già Presidente del Comitato Provinciale della Croce Rossa Italiana di Milano, per cercare nell’eredità dell’On. Zamberletti qualche spunto per il presente.
Cos’era la risposta alle emergenze e ai disastri prima della nascita della Protezione Civile nel nostro Paese?
Fino al 1970 non esisteva nessuna norma generale in merito alla Protezione Civile. Le singole amministrazioni dello Stato, operavano in caso di eventi, disponendo i soccorsi su base gestionale del Ministero dell’Interno con il concorso della Difesa. Questo si traduceva in una sorta di “chiamata alle armi” in primis delle FFAA (allora dotate di grandi risorse umane) poi dei VVF, CRI e alcuni Comuni principali che mettevano a disposizione vigili e risorse del territorio.
Il Friuli nel ‘76 diede un’idea irreale del sistema di Protezione civile. La risposta della Stato fu immediata, ma solo perché in Friuli e nel Triveneto – causa Guerra Fredda – era schierata una forza composta dai 2/3 delle Forze Armate. Era rivolta a far da “bastione” del sistema NATO in caso di invasione dei carri armati del patto di Varsavia. Ovviamente nel momento in cui il terremoto colpì, la presenza dei militari – per quanto terremotati anche loro – permise una linea di comando e direzione immediata e dotata di grandi risorse.
Fu in Friuli che Zamberletti assunse poi la direzione unitaria dei soccorsi. In quel caso rilevò e usò una rete forte ed efficiente, che non trovò invece tre anni dopo in Irpinia, quando il terremoto la distrusse. In Irpinia l’unico baluardo dello Stato era rappresentato dall’Arma dei Carabinieri, dalla Scuole e dalle Poste, e la popolazione civile era composta prevalentemente da anziani e ragazzini. La maggioranza della popolazione attiva era migrata anni prima verso il nord industriale. Quella piccola e debole infrastruttura dello Stato fu spazzata via e ci si rese conto che la Legge del ‘70 era una banale enunciazione di principi, tra l’altro sprovvista di regolamento attuativo. In Irpinia il coordinamento dei soccorsi, ma anche la semplice definizione dell’area d’intervento, fu complicata e imprecisa e in alcuni luoghi lo Stato giunse veramente tardi.
Proprio in questa fase matura la necessità di costruire una rete, un Sistema che con altri accadimenti successivi purtroppo tragici, si riuscì a rendere realtà.
Dell’On. Zamberletti ricordiamo, tra le altre cose, la grande spinta verso una concezione dell’emergenza che comprendesse oltre alla fase acuta anche quella di ricostruzione e superamento della crisi. Mi sembra un cambiamento chiave di punto di vista, è d’accordo? Come si traduce questo, al giorno d’oggi?
Ritengo che l’attenzione maggiore dell’On. Zamberletti, non sia stata quella di legata alla ricostruzione e al superamento della crisi, ma quella che guardava alla previsione e prevenzione, ovvero a ridurre preventivamente il fattore di rischio e comunque a prepararsi al suo accadimento in modo organizzato. Già con la L. 225/1992 (norma attesa e “sudata”) che istituì il Servizio Nazionale di Protezione Civile la parte sulla Previsione e Prevenzione era molto bene focalizzata. Si erano definiti finalmente ruoli e competenze, che oggi si sono ancor più sviluppato con la promulgazione del nuovo Codice di Protezione Civile (D.Lgs n.1/2018).
L’attività volta al superamento della crisi e alla ricostruzione o rigenerazione del territorio, è un fattore sicuramente importante, ma che deve si trovare in una gestione progettuale e di governo che non si sposa con i criteri di gestione straordinaria propri del sistema di Protezione Civile. L’insegnamento di Zamberletti era appunto quella di agire prima e non dopo.
Ricordo uno stralcio di intervista all’On. Zamberletti in cui, parlando della situazione precedente all’istituzione della PC, disse che: “qui siamo soliti organizzare il Ministero della Guerra quando la guerra è già scoppiata”. Un riferimento storico alla guerra vera, e anche alle difficoltà che in più emergenze ci sono state anche nel dopoguerra: come giudica oggi complessivamente il nostro Sistema di PC? Servirebbero forse un’organizzazione e una preparazione ancora migliori?
Grazie al lavoro iniziato negli anni settanta e concretizzato nei successivi anni ottanta proprio dall’Onorevole questo Paese ha sicuramente saputo costruire e organizzare un’ottima ed efficiente macchina dei soccorsi. Oggi ci sono centinaia di migliaia di persone, con uniformi di foggia e colori differenti o senza uniformi ma operanti in enti differenti che sanno “fare sistema nel momento in cui suona la campana” (un immagine evocativa tanto forte quanto chiara cara a Zaberletti). Un Sistema che viene invidiato in tanti Paesi moderni anche Europei. Tuttavia, e su questo invece siamo indietro, poco riusciamo ancora a fare nel campo della Previsione e Prevenzione. Per molti – anzi per troppi – un’azione efficiente di previsione e prevenzione pone seri vincoli e crea alti costi, tanto è vero che una parte delle infrastrutture risultano essere oggi “fragili” se non precarie e finiscono col collassare al momento dell’evento (ponte Morandi docet).
La prevenzione, che esce dal controllo diretto del sistema di protezione civile, ma che produce tanto lavoro alla stessa e sofferenza al Paese è sicuramente il “ventre molle” italiano. Questa criticità non è risolvibile dal Sistema di Protezione Civile, perché deve prevedere una maturazione collettiva della politica, ma anche molto della popolazione stessa, poiché molti degli eventi che ci colpiscono, sono prodotti da noi stessi, dalle nostre sottovalutazioni, dalle nostre omissioni e a volte dalle nostre speculazioni.