Adesso serve una legge per diffondere ancora di più la defibrillazione
Tanti casi di arresto cardiaco non trattato potrebbero essere superati con semplicità: basta una legge che tolga l’obbligo di avere una certificazione per saper usare il defibrillatore, e bisogna portare a termine il progetto per insegnare subito, nelle scuole, le manovre salvavita.
PAVIA – Ci sono sessantamila persone che possiamo salvare ogni anno, eppure la legge oggi non ci consentirebbe di farlo. Da mesi è ferma in parlamento la proposta per cancellare l’obbligo di certificazione per usare un defibrillatore. Eppure c’è uno studio realizzato dallo specializzando in cardiologia dell’Università di Pavia Enrico Baldi che spiega come i tassi di sopravvivenza a seguito di un arresto cardiaco potrebbero essere incrementati – parecchio – dalla attivazione precoce della defibrillazione e del massaggio cardiaco. L’appello ad una apertura delle maglie burocratiche è stato lanciato da Baldi durante il congresso sulle terapie acute cardiovascolari, organizzato dalla società Europea di Cardiologia a Milano. “Indipendentemente da chi lo usi, l’impiego del defibrillatore prima dell’arrivo dei soccorsi svolge un ruolo chiave nel migliorare la sopravvivenza delle persone colpite da un arresto cardiaco al di fuori di un ospedale”.
Il dato sollevato è estremamente chiaro e preciso, nonché circostanziato. Nello studio presentato e realizzato sulla provincia pavese, dal registro provinciale degli arresti cardiaci (attivato già nel 2014) e curato dal dott. Simone Savastano emerge con grande evidenza che quando è stato usato il defibrillatore prima dell’arrivo del 118, il tasso di sopravvivenza è aumentato. Il report ha evidenziato come i first responder “laici” siano intervenuti soltanto in nove casi su 140, un numero pari al 6,4 per cento.
E’ un dato «estremamente basso» rispetto a quei Paesi in cui tutti i cittadini possono utilizzare il defibrillatore, se necessario. In queste realtà, in media, l’intervento di un semplice cittadino prima dell’arrivo dei soccorsi si registra almeno nel 15 per cento dei casi. Perché? Perché ci sono più defibrillatori, e perché c’è meno paura nell’utilizzarli.
Bisogna quindi andare avanti con forza nei progetti educativi, ma anche nella riduzione delle pastoie burocratiche che bloccano la stessa installazione di defibrillatori.
Abbiamo più e più evidenze di situazioni in cui le amministrazioni comunali si rifiutano di installare defibrillatori nelle palestre o nelle strutture comunali, perché sarebbero costrette a formare i custodi affinché possano usare i dispositivi ed effettuare le manovre di primo soccorso. Abbiamo atteso settimane prima di evidenziare queste situazioni, ma adesso che il problema è sul banco degli imputati riprenderemo con grande attenzione tutte le realtà dove sono stati acquistati dei defibrillatori e non sono stati messi a disposizione del pubblico, per l’impossibilità di effettuare formazione o per l’incapacità di spendere i pochi soldi necessari ad installare i DAE, che sono stati a volte donati da privati o associazioni.
Diffondere il defibrillatore e migliorare la legge, subito!
Ci sono dei dati chiari che dicono che defibrillare è fondamentale. Gli autori del lavoro di ricerca presentato al congresso milanese della ESC hanno comparato la sopravvivenza di chi era stato assistito subito con quella di chi aveva invece dovuto attendere l’arrivo dei soccorsi. A trenta giorni dall’arresto cardiaco, era vivo il sessanta per cento dei pazienti del primo gruppo: a fronte del 24 per cento di quelli rianimati dai medici del 118. Il merito, in questo caso, è da ascrivere al tempismo dei soccorsi: cinque minuti in media nel primo caso, dodici nel secondo.
L’impatto positivo sulla sopravvivenza legato all’uso del defibrillatore automatico esterno prima dell’arrivo dei medici è evidente. Come spiega il dottor Baldi: “i passanti possono essere decisivi nel determinare se un paziente supererà o meno un arresto cardiaco, tre o quattro minuti possono fare la differenza tra la vita e la morte”.
Fate una cosa sola: agite, agite, agite!
Non possiamo che concludere questo articolo chiedendo a tutte le persone – laici, soccorritori certificati, medici, infermeri – di condividere un messaggio: se necessario, qualsiasi sia il vostro livello di conoscenza, usate il defibrillatore. Accendetelo e vi dirà lui esattemente quello che dovete fare, in modo chiaro, con voce estremamente calma, e con passaggi che non possono essere sbagliati perché semplici ed efficaci.
Quando attaccate un defibrillatore ad una persona esanime a terra, non dovete preoccuparvi del rischio di fare male alla persona in arresto, per un semplice il motivo: se non c’è necessità di scossa, il defibrillatore non scarica. “le caratteristiche tecniche del defibrillatore esterno, che fornisce automaticamente la diagnosi e la terapia più indicata, non lasciano alcun margine di discrezionalità all’operatore”. Significa che comunque non potete sbagliare, nè essere imputati di un errore o di una azione lesiva. In altri termini, «l’atto medico non scaturisce dall’operatore, ma dalla macchina». Non sussite quindi il rischio di compiere un atto medico abusivo, sanzionabile dall’articolo 348 del codice penale. Di conseguenza «la defibrillazione praticata in situazioni di obiettiva urgenza o di urgenza, con l’impiego di un defibrillatore esterno automatico da parte di persona estranea al settore sanitario, non costituisce reato e rappresenta attività lecita».
Per questo l’appello di Baldi – e di la comunità scientifica – è uno solo: condividete il vostro sapere sulle manovre salvavita, fate partecipare più persone possibile ai corsi di primo soccorso che insegnano ad effettuare il massaggio cardiaco, ma soprattutto, insegnate ad agire quando c’è una persona in arresto cardiaco a terra, che non respira, non ha circolo e non si muove. Si potrebbero davvero salvare tante vite in più.