Angioplastica Coronarica Percutanea Transluminale (PTCA): di cosa si tratta?
L’Angioplastica Coronarica Percutanea Transluminale (PTCA) è una tecnica di cardiologia interventistica effettuata per la prima volta nel 1977 da un medico tedesco, il dottor Andreas Gruentzing
Si calcola che attualmente nel mondo si effettuino fra 500.000 e 600.000 angioplastiche ogni anno e che negli Stati Uniti, a partire dal 1990, con 300.000 procedure l’anno, l’angioplastica abbia superato il numero degli interventi di bypass.
In Italia l’espansione della metodica ha visto una crescita più lenta dovuta a motivi organizzativi: per far fronte a possibili complicanze acute legate alla procedura, l’angioplastica deve essere necessariamente eseguita in presenza di uno standby cardiochirurgico, con una sala operatoria cardiochirurgica pronta all’occorrenza per l’immediata esecuzione di un intervento ripartivo d’urgenza; ovviamente questo limita le possibilità operative dei vari centri.
In che cosa consiste l’angioplastica coronarica percutanea transluminale
ll primo tempo dell’esecuzione dell’angioplastica coronarica percutanea transluminale è la visualizzazione delle coronarie mediante la coronarografia.
Una volta evidenziato il tratto stenotico del vaso coronario si fa avanzare fino a quel punto un catetere munito alla sua estremità di un piccolo palloncino gonfiabile.
Il gonfiaggio del palloncino alla pressione di diverse atmosfere induce un barotrauma, che schiaccia lungo le pareti del vaso la placca aterosclerotica che ne ostruisce il lume, eliminando quindi la Stenosi del vaso e ripristinando un buon flusso a valle.
Si tratta di una tecnica molto elegante e sofisticata, che richiede grande perizia da parte degli operatori e rappresenta il frutto di un’altissima tecnologia bioingegneristica nella progettazione e costruzione dei cateteri, strumenti di alta precisione, molto sofisticati e molto costosi.
Inizialmente, l’angioplastica veniva eseguita in casi selezionati, che davano le maggiori garanzie di successo: su un solo vaso, quando questo fosse facilmente raggiungibile dal catetere, ed in presenza di stenosi non lunghe e non serrate.
In seguito, con il perfezionamento della tecnica e il miglioramento dei materiali, la metodica è stata sempre più frequentemente impiegata anche in situazioni complesse, ad esempio contemporaneamente su più vasi.
Quando possibile, l’angioplastica viene utilmente impiegata anche nel trattamento dell’occlusione dei Bypass venosi.
Come prepararsi all’angioplastica coronarica percutanea transluminale
La procedura si effettua in sala di emodinamica, non richiede l’uso della narcosi, e comporta una degenza di sole 24-48 ore.
In generale, le percentuali di successo immediato della dilatazione sono molto alte, superando nel complesso il 90% dei casi trattati; tuttavia, l’angioplastica presenta un grosso problema, tuttora irrisolto: in una percentuale che si aggira fra il 30% ed il 40% dei casi il risultato ottenuto inizialmente scompare nel tempo, per cui la dilatazione ottenuta si annulla e ricompare nuovamente la stenosi.
La più alta incidenza di restenosi si verifica in genere abbastanza precocemente, entro i primi sei mesi dalla dilatazione
Oltre alle cure farmacologiche, che si sono nel complesso dimostrate scarsamente efficaci, per evitare o limitare l’incidenza di restenosi si sono tentate altre vie interventistiche.
I risultati migliori, sotto questo aspetto, si sono ottenuti con l’impiego di impianti protesici come gli stent, che sono piccole gabbiette o tubicini fenestrati metallici e molto elastici che, sempre guidati dal catetere, vengono introdotti nel vaso fino a raggiungere la stenosi ed ivi posizionati, dilatati e lasciati in situ.
L’impiego degli stent ha indotto una riduzione dell’incidenza di restenosi ad un tasso inferiore al 20%; inoltre, gli stent si sono dimostrati molto efficaci sia per ottenere risultati più soddisfacenti e stabili dopo la dilatazione col palloncino, sia e soprattutto, per ovviare all’occlusione acuta del vaso subito dopo l’angioplastica, complicanza, questa, assai rischiosa e temibile.
A prescindere dall’eventuale impiego degli stent, in caso di restenosi è generalmente possibile anche la ripetizione della procedura di dilatazione
I rischi in caso di angioplastica coronarica percutanea transluminale sono nel complesso abbastanza bassi ed accettabili: si calcola recentemente che il rischio di morte legato alla procedura si aggiri intorno allo 0,3%, quello d’infarto intorno allo 0,9% e quello di dover presentare ricorso al bypass d’urgenza è di circa l’1,8%.
La scelta, nel singolo paziente, va fatta sulla base di un’esatta previsione dei migliori risultati e dei vantaggi attesi con ciascuna delle opzioni terapeutiche.
Sull’altro piatto della bilancia vanno messe le difficoltà ed i rischi specifici di ognuna delle scelte terapeutiche, come ad esempio: inefficacia della terapia medica o impossibilità di eseguirla per grave intolleranza; condizioni proibitive per il bypass a causa dell’età molto avanzata o gravi patologie concomitanti; alto rischio connesso con l’angioplastica o prevedibili gravi difficoltà nella sua esecuzione.
Al giorno d’oggi, non si può prescindere anche da valutazioni di ordine economico: il bypass è certamente più costoso dell’angioplastica, tuttavia, l’eventuale necessità di ripetere la procedura di dilatazione o l’uso degli stent possono portare a costi molto vicini all’equiparazione.
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