Asl Bari: “Trattare tutti i pazienti con epatite C senza distinzioni di età o altri fattori”
Contagio da Epatite C: “Lasciare un soggetto HCV positivo all’interno della popolazione può determinare l’infezione di altri soggetti”
“L’impegno del nostro Paese deve essere quello di non lasciare indietro nessuno, dobbiamo trattare tutti i pazienti indipendentemente dalla loro età o da altri fattori.
Il concetto, infatti, è quello di non lasciare neppure un soggetto HCV positivo all’interno della popolazione, perchè anche un solo un paziente infetto può determinare l’infezione di altri soggetti”.
Così Pietro Gatti, direttore della UOC Medicina Interna (Asl Br), intervenendo al corso di formazione ECM sulla gestione dei tossicodipendenti con epatite C, organizzato dal provider Letscom E3 con il contributo non condizionante di AbbVie.
LE BUONE PRASSI E NETWORKING NELLA GESTIONE DELL’EPATITE C
Dopo Pozzuoli e Alessandria, la terza tappa è stata a Brindisi, dove oggi si è svolto l’incontro dal titolo ‘Buone prassi e networking nella gestione dell’epatite C in soggetti con disturbo da Addiction, al tempo del Coronavirus’.
I corsi di educazione continua in medicina (che saranno in totale 17 su tutto il territorio nazionale) rientrano nell’ambito del progetto ‘HAND – Hepatitis in Addiction Network Delivery’, il primo progetto pilota di networking a livello nazionale patrocinato da quattro società scientifiche (SIMIT, FeDer-SerD, SIPaD e SITD), che coinvolge i Servizi per le Dipendenze e i relativi Centri di cura per l’HCV afferenti a diverse città italiane.
È fondamentale tornare a diagnosticare e a curare questi pazienti perchè rischiano un’evoluzione della malattia, soprattutto quelli che hanno anche comorbidità- ha proseguito Gatti- bisogna evitare un’evoluzione verso una cirrosi avanzata o, peggio ancora, verso un epatocarcinoma.
Ma è molto importante anche ricominciare a ‘scovare’ il sommerso, andando a cercare coloro che non sanno di essere HCV positivi”.
Tra i punti di forza del progetto HAND, secondo l’esperto, c’è proprio quello di “riconoscere il ‘sommerso’ che esiste anche all’interno dei Ser.D.” e di “convincere i pazienti difficili, come appunto quelli che afferiscono ai Servizi per le Dipendenze, a fare un trattamento innocuo che non crea assolutamente alcuna problematica”, ha concluso.
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