Bronchiectasie: cosa sono e quali sono i sintomi
Le bronchiectasie non si sentono nominare spesso quando si parla di malattie respiratorie croniche, eppure sono più comuni di quanto si pensi: interessano infatti circa 400 individui adulti ogni 100.000
Le bronchiectasie sono caratterizzate da una dilatazione abnorme e permanente di parte dell’albero bronchiale che provoca un accumulo di catarro e il frequente sviluppo di bronchiti e polmoniti.
Che cosa sono le bronchiectasie
I bronchi sono quei “tubi” che conducono l’aria all’interno dei polmoni: normalmente i bronchi hanno un diametro standard, quando però questo aumenta di ampiezza i bronchi si dilatano e si sviluppano le cosiddette bronchiectasie.
Queste dilatazioni dei bronchi, dunque, provocano una sindrome clinica caratterizzata da un accumulo di catarro, che viene espulso dai pazienti quasi tutti i giorni, con tosse e frequenti episodi di bronchiti o di polmoniti.
La chiave della patologia, insomma, verte nella coesistenza di una sindrome clinica di produzione di catarro, tosse, frequenti infezioni e una dilatazione abnorme permanente di parte dell’albero bronchiale.
I campanelli d’allarme
La tosse, l’espulsione di catarro e le infezioni sono i sintomi che colpiscono la maggior parte dei pazienti interessati da questa malattia.
Tuttavia bisogna ricordare anche la presenza di altre manifestazioni, come la presenza di sangue nello sputo (emottisi o emoftoe), ma anche la mancanza di fiato, la stanchezza continua, le sudorazioni notturne e la febbricola.
Si tratta di sintomi che vengono definiti “accessori”, secondari dunque alla produzione quotidiana di catarro, alla tosse e alle frequenti infezioni.
Ma vanno tenuti comunque in considerazione perché si verificano spesso in associazione a questi tre sintomi principali.
TAC del torace: lo strumento per la diagnosi
La diagnosi passa innanzitutto per la TAC del torace ad alta risoluzione, che è oggi lo standard per individuare la presenza di bronchiectasie.
I pazienti, dunque, giungono all’attenzione dello specialista pneumologo durante la visita pneumologica o perché durante una TAC del torace eseguita per altre indagini sono state identificate bronchiectasie, oppure perché presentano una sintomatologia specifica.
In questo secondo caso sarà lo pneumologo a richiedere direttamente una TAC del torace ad alta risoluzione, per diagnosticare la malattia e valutare se le bronchiectasie sono clinicamente significative.
Congenite o acquisite: le cause delle bronchiectasie
Le bronchiectasie possono avere diverse cause che vengono distinte in congenite o acquisite.
Vi sono infatti alcune patologie genetiche o sistemiche che possono portare allo sviluppo di bronchiectasie a livello del polmone, come la fibrosi cistica, la discinesia ciliare primitiva, una patologia che colpisce le ciglia dei bronchi, o il deficit di una proteina chiamata alfa 1 antitripsina.
Gli immunodeficit, primitivi o secondari, possono infatti portare all’instaurarsi di un circolo vizioso di infezioni ricorrenti che, a loro volta, conducono a un’alterazione anatomica del bronco che è portato ad allargarsi.
Vi sono poi una serie di altre associazioni, per esempio con la malattia di Crohn, la colite ulcerosa, l’artrite reumatoide o altre patologie del connettivo o autoimmuni.
E ancora bronchiectasie nel contesto di altre patologie respiratorie croniche come asma o broncopneumopatia cronica ostruttiva.
Va però segnalato un dato: oggi, nonostante le tecnologie diagnostiche a disposizione, circa il 40-50% dei pazienti hanno delle bronchiectasie idiopatiche, ossia di cui non è possibile identificare una causa.
Nel work up diagnostico resta in ogni caso di grande importanza valutare con attenzione tutte le possibili cause, poiché molte di queste sono trattabili e magari necessitano una gestione multidisciplinare o una presa in carico in centri di riferimento.
Come si curano le bronchiectasie
La molteplicità di cause rende la manifestazione clinica e radiologica di malattia molto eterogenea.
Anche la risposta ai diversi trattamenti, dunque, deve esserlo. Il compito dello specialista è identificare nel malato quelli che vengono definiti “tratti trattabili di malattia”.
Il primo tra questi è la produzione di muco: più catarro il paziente riesce ad espellere più si riduce il rischio di infiammazione polmonare e infezione cronica.
La fisioterapia respiratoria è quindi il trattamento più importante di questa malattia: per questo motivo nel team multidisciplinare di specialisti che prende in carico il paziente con bronchiectasie, riveste grande importanza, oltre allo pneumologo, anche il fisioterapista respiratorio.
Altri tratti trattabili sono inerenti alla gestione dell’infezione: si utilizzano antibiotici per cercare di estirpare i patogeni dalle bronchiectasie dei malati o per cercare di tenere sotto controllo le infezioni croniche.
In questo caso vengono usati dal paziente antibiotici per via nebulizzata, dunque via aerosol, per settimane, mesi o anche anni a seconda della severità della patologia.
Ma possono anche rivelarsi necessari interventi antinfiammatori, interventi con farmaci immunomodulanti come i macrolidi.
Vengono poi usati i broncodilatatori in caso di mancanza di fiato o di ostruzione.
È infine importante gestire le complicanze, dal sangue nello sputo alle frequenti bronchiti.
Approccio multidisciplinare: fondamentale per il trattamento della patologia
L’approccio multidisciplinare nella gestione delle bronchiectasie è di grande importanza: la molteplicità di cause e manifestazioni, infatti, comporta la necessità della collaborazione tra differenti specialisti.
Oltre allo pneumologo e al fisioterapista respiratorio si interessano alla gestione della malattia anche il microbiologo, che identifica l’eventuale presenza di batteri, funghi o micobatteri non tubercolari per proseguire la cura con un trattamento specifico; il radiologo, che subentra sia in fase di diagnosi sia nelle valutazioni legate alla presenza di sangue nello sputo; o ancora l’otorinolaringoiatra, perché la sinusite cronica è una comorbidità molto frequente nei pazienti con bronchiectasie.
Importante anche la presenza del gastroenterologo, sia in presenza di Malattia di Crohn o colite ulcerosa, sia di comorbidità come il reflusso gastroesofageo.
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