Colite pseudomembranosa: cause, sintomi, diagnosi, terapia, complicanze, prognosi, mortalità
La “colite pseudomembranosa” (anche chiamata “enterocolite pseudomembranosa“, da cui gli acronimi “CPM” e “ECPM“; in inglese “pseudomembranous colitis“) è un’infiammazione del colon (da cui il termine “colite”) caratterizzata da placche bianco-gialle in rilievo che si uniscono per formare pseudomembrane sulla mucosa
L’infiammazione del colon si verifica quando, in determinate circostanze, il batterio Clostridioides difficile (una volta conosciuto come “Clostridium difficile“), danneggia l’organo attraverso la sua tossina.
Compare quasi sempre nelle persone precedentemente trattate con antibiotici e per questo viene spesso chiamata anche “colite associata ad antibiotici“.
Si verifica più frequentemente anche nelle persone debilitate ricoverate in ospedali o case di cura.
Il batterio Clostridioides difficile causa la maggior parte delle coliti pseudomembranose, ma non è l’unico possibile agente eziologico.
La colite pseudomembranosa colpisce soprattutto gli adulti, ma può interessare anche bambini e anziani
Colpisce elettivamente la parte più terminale del colo: il colon discendente, il sigma ed retto sono colpiti nel 77-80% dei casi; il colon cieco, ascendente e trasverso sono interessati nel 5-19% dei casi.
La malattia è caratterizzata da diarrea, talvolta con odore fetido, febbre, dolori addominali e leucocitosi, e può essere grave e in alcuni casi fatale.
Nella diagnosi e trattamento della malattia, possono essere coinvolte varie figure professionali, tra cui: gastroenterologo, infettivologo, dietologo e chirurgo generale.
Cause e fattori di rischio
La colite pseudomembranosa è spesso causata dalle tossine prodotte dal batterio Clostridioides difficile (una volta noto come Clostridium difficile).
Tale batterio che fa normalmente parte del microbiota umano.
Il microbiota umano (erroneamente detto anche flora intestinale) è l’insieme di microorganismi simbiontici che convivono con l’organismo umano senza danneggiarlo.
La presenza di Clostridioides difficile non rappresenta quindi un problema, almeno fin quando certe circostanze non lo rendono pericoloso per il colon che lo accoglie.
L’uso di quasi tutti gli antibiotici, ma soprattutto di antibiotici ad ampio spettro come chinoloni, clindamicina e cefalosporine, è uno dei fattori di rischio che porta il batterio ad essere temibile per la salute: gli antibiotici provocano infatti la modifica degli equilibri della normale flora batterica dell’intestino, favorendo una sua diffusione anomala.
In particolare, quando l’antibiotico distrugge i batteri competitivi nell’intestino, quindi tutti gli organismi rimanenti avranno meno competizione per lo spazio e le sostanze nutritive nel colon: l’effetto netto è quello di consentire una crescita più estesa di alcuni batteri normalmente presenti nel microbiota, tra cui appunto il Clostridioides difficile.
Tale batterio prolifera in modo anormale e ciò determina un aumento della tossina da lui prodotto, tossina responsabile della diarrea e di altri sintomi e segni che caratterizzano la colite pseudomembranosa.
Una colite pseudomembranosa è causata da Clostridioides difficile nel 90-95% dei casi.
Altre cause
Il Clostridioides difficile non è l’unico agente eziologico della colite pseudomembranosa: in circa il 5-10% essa è determinata da altre cause, che possono essere: la malattia di Behçet, la colite collagenosa, la malattia infiammatoria intestinale, la colite ischemica, altri organismi infettivi (batteri, parassiti e virus) ed alcuni farmaci e tossine.
Tra i batteri causa di colite pseudomembranosa, oltre al Clostridioides difficile, ricordiamo:
- Escherichia coli;
- Klebsiella oxytoca;
- Clostridium ramosum;
- Clostridium perfringens;
- Plesiomonas shigelloides
- Salmonella enterica;
- Shigella;
- Staphylococcus aureus;
- Yersinia enterocolitica.
Tra i parassiti, ricordiamo:
- Entamoeba histolytica;
- Schistosoma mansoni;
- Strongyloides stercoralis.
Tra i virus, una possibile causa è il Citomegalovirus.
Sintomi e segni
Sintomi e segni di una colite pseudomembranosa possono variare molto in base a numerosi fattori, tra cui: età e stato di salute generale del paziente, causa specifica, modalità di insorgenza, parte del colon interessata, gravità delle alterazioni della flora batterica intestinale e qualità della risposta immunitaria del paziente.
La colite pseudomembranosa determina comunque quasi sempre:
- diarrea acuta o cronica, spesso con la presenza di tracce ematiche e con odore fetido;
- dolori e/o crampi all’addome;
- febbre anche alta;
- muco o pus nelle feci;
- nausea;
- disidratazione;
- malessere generale.
Sintomi e segni della forma fulminante
I pazienti molto anziani e/o immunodepressi (ad esempio con AIDS) possono incorrere nella forma fulminante della colite pseudomembranosa che può mostrare, oltre ai sintomi e segni elencati precedentemente, anche:
- ipotensione arteriosa (pressione sanguigna bassa);
- iperazotemia;
- disidratazione;
- febbre alta;
- leucocitosi elevata anche con un numero di globuli bianchi superiore a 40 000/mm3;
- coma e morte nei casi più gravi e non trattati tempestivamente.
Diagnosi
La diagnosi si raggiunge grazie a diversi strumenti: per prima cosa è importante l’anamnesi, in cui il paziente descrive al medico i suoi sintomi ed elenca una serie di informazioni utili, come eventuale presenza di altre malattie, esami e interventi effettuati, eventuale presenza di condizioni che causano uno stato di immunosoppressione, precedenti degenze ospedaliere e tipo di alimentazione.
Durante l’anamnesi, il medico dovrebbe veder squillare un campanello d’allarme qualora il paziente descriva un esteso uso di antibiotici associato a diarrea con muco e sangue e dolori addominali.
L’esame obiettivo si concentrerà in particolare sull’addome: il medico cercherà segni di patologia ad esempio osservandolo e palpandolo.
Il dubbio diagnostico troverà conferma nella maggioranza dei casi grazie alla medicina di laboratorio: il paziente raccoglie le proprie feci ed il tecnico di laboratorio identificherà in esse la presenza delle tossine del Clostridioides difficile.
In assenza di tali tossine ed esclusa la più probabile infezione da Clostridioides difficile, si esegue una colonscopia che rileva endoscopicamente le pseudomembrane tipiche della malattia.
A questo punto la diagnosi deve discriminare le possibili cause, ricercando patogeni che, meno frequentemente del Clostridioides difficile, possono determinare questo tipo di colite.
Grazie alla colonscopia può essere effettuata una biopsia, che permette di inviare un campione istologico al laboratorio.
Per la diagnosi differenziale, potrebbero essere utili vari esami, tra cui esami del sangue, esami delle urine, ecografia addominale, radiografie e TC.
La diagnosi differenziale si pone nei confronti di patologie e condizioni che determinano sintomi e segni più o meno similari, tra cui:
- colite da chemioterapia;
- infezione da HIV;
- malattia di Crohn;
- cancro del colon;
- malattia diverticolare;
- celiachia;
- indigestione;
- calcolosi biliare;
- sindrome post-colecistectomia;
- malattie endocrine non gastrointestinali;
- intolleranze alimentari;
- colite ischemica;
- colite ulcerosa;
- altri tipi di colite.
Complicanze della colite
Le complicanze possibili sono costituite da:
- perdita massiva di liquidi;
- disidratazione;
- distruzione della mucosa intestinale colpita;
- ipovolemia e ipotensione arteriosa con possibile shock ipovolemico;
- deplezione degli elettroliti;
- sepsi;
- megacolon tossico;
- perforazione intestinale;
- emorragia intestinale;
- decesso.
In questi casi sono necessari trattamenti rapidissimi, in quanto tali complicanze potrebbero portare rapidamente a morte (colite fulminante) soprattutto in soggetti debilitati e fragili.
Terapia
In presenza di numerosi indizi diagnostici (uso di antibiotici, dolore addominale, diarrea grave con muco e sangue), il trattamento empirico dovrebbe essere iniziato prima che dal laboratorio arrivino i risultati della ricerca delle tossine di Clostridioides difficile.
Il trattamento consiste nella sospensione, se possibile, della terapia antibiotica che il paziente stia eventualmente assumendo e nella somministrazione di un antibiotico specifico contro Clostridioides difficile, generalmente metronidazolo, vancomicina, linezolid o bacitracina, per via orale.
Più recentemente sono disponibili anche la rifaximina e la fidaxomicina.
La terapia deve essere inoltre tesa al rapido ristabilimento dell’equilibrio idro-elettrolitico e alla correzione di eventuali alterazioni ioniche, con reintegro dei liquidi per evitare ipovolemia ed ipotensione grave.
In concomitanza alla terapia antibiotica e poi prolungati per un lungo periodo seguente alle cure, occorre assumere fermenti lattici e/o altre formulazioni orali (compresse, sospensioni e/o polveri) contenenti spore, batteri o lieviti al fine di ristabilire il normale microbiota umano.
Nelle forme gravi non è esclusa la necessità di un intervento chirurgico d’urgenza, ad esempio in caso di perforazione del colon con emorragia.
Negli ultimi anni si sta sempre più diffondendo l’uso del “trapianto di microbiota fecale” (noto anche come “trapianto di feci“) per ripristinare i normali equilibri batterici del colon.
Se dovessero risultare negativi i test per il Clostridioides difficile (5-10% dei casi) e persistendo i sintomi nonostante il trattamento empirico, si deve accertare urgentemente la causa sottostante (con coloscopia, biopsia ed altri possibili esami) e modellare su essa la terapia.
Colite, l’alimentazione consigliata
Alcuni alimenti possono aumentare i sintomi e segni di qualsiasi tipo di colite, quindi – anche nel caso di colite pseudomembranosa – potrebbe essere consigliato evitarli o almeno limitarne l’assunzione.
Tra essi, ricordiamo:
- caffè;
- cioccolato;
- bevande contenenti caffeina;
- alcolici e superalcolici;
- bevande gassate;
- latticini (se presente intolleranza al lattosio);
- cibi contenenti glutine in caso di celiachia (pasta, pane, grissini, crackers, fette biscottate, pan carré, focacce, pizza, gnocchi, dolci biscotti…);
- fagioli, piselli, fave e in generale legumi secchi;
- frutta secca, di bosco, con polpa o semi;
- cibi contenenti zolfo o solfati;
- cibi con molta fibra, inclusi i prodotti in grano integrale;
- noci e frutta secca, gli oli e i burri che se ne estraggono;
- prodotti contenenti sorbitolo (gomme e caramelle senza zucchero);
- peperoncino.
Potrebbe essere al contrario utile assumere alcuni alimenti, tra cui:
- carne bianca cucinata al vapore;
- pesce lesso;
- patate lesse;
- carote lesse;
- yogurt ricco di fermenti lattici;
- frutta cotta;
- minestre di avena, orzo e riso;
- brodo di verdure;
- formaggi non fermentati.
Prognosi e recidive
La prognosi varia in base alla causa.
Se la colite pseudomembranosa è associata alla somministrazione o esposizione di specifici agenti causali, ad esempio farmaci antibiotici che alterano gli equilibri della flora batteri intestinale, cessando l’esposizione può emergere una rapida remissione, specie in soggetti altrimenti sani, giovani ed immunocompetenti.
Il trattamento a base di metronidazolo e vancomicina in genere è risolutivo, anche se si osservano recidive in circa il 20-25% dei casi.
Se la colite è causata dal Clostridioides difficile, il rischio di ulteriore recidiva, dopo la prima recidiva, aumenta anche fino al 60%
La prognosi riferita al rischio di recidive di colite pseudomembranosa da Clostridioides difficile è legata alla presenza o meno dell’appendice, poiché questa probabilmente svolge un ruolo attivo nel ripristino della normale microflora intestinale dopo un ciclo di terapia con antibiotici.
La probabilità di infettarsi con un Clostridioides difficile è dell’11% nei pazienti con appendice, contro il 48% dei soggetti appendicectomizzati.
Mortalità
La malattia può essere grave e in alcuni casi fatale (alcune stime citano una mortalità che oscilla tra il 6 ed il 30%).
La mortalità aumenta soprattutto all’aumentare del ritardo diagnostico e terapeutico, ed è correlata in genere a megacolon, perforazione intestinale ed emorragia interna massiva.
Sepsi e shock ipovolemico sono possibili cause di decesso.
Il più alto rischio si verifica nei casi fulminanti, che spesso si verifica in soggetti fragili (persone che hanno subito trapianti, anziane, immunodepresse…).
La presenza dell’appendice diminuisce il rischio di morte, mentre la sua assenza (appendicectomia) lo aumenta.
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