Complicanze della cirrosi epatica: quali sono?

Solitamente la cirrosi epatica non presenta segni evidenti e può essere asintomatica per diversi anni. Con l’avanzare del processo di fibrosi, la malattia può portare a una serie di complicanze. Ecco quali

Le principali complicanze della cirrosi epatica sono:

  • l’emorragia digestiva per rottura di dilatazioni venose (varici) dell’esofago o dello stomaco o per perdita di sangue diffusa dalla mucosa dello stomaco (gastropatia congestizia);
  • l’accumulo di liquidi nell’organismo (ritenzione idrosalina) che si localizzano prevalentemente alle estremità inferiori (edema alle caviglie) e all’interno dell’addome (ascite);
  • l’encefalopatia epatica (che, attraverso vari gradi, può giungere fino al coma epatico).
  • il cancro (epatocarcinoma) del fegato.

L’emorragia digestiva si manifesta con vomito di sangue rosso vivo o scuro (“a posa di caffè”) e, più frequentemente, con emissione di feci di colore nero (melena).

Una delle concause importanti nello scatenare una emorragia digestiva è l’uso di farmaci antinfiammatori (aspirina, antireumatici) che devono pertanto essere vietati a pazienti che soffrono di cirrosi epatica.

L’encefalopatia epatica si manifesta negli stadi iniziali con modificazioni del comportamento (insonnia notturna e sonnolenza durante le ore diurne, facile irritabilità, modificazione della scrittura, incapacità ad eseguire semplici gesti o comportamento irrazionale) ed un particolare tremore alle mani a larghe scosse (tremore “a battito d’ali” o flapping tremor).

Un segno impiegato dai vecchi clinici è l’odore agliaceo dell’alito (foetor hepaticus)

La progressione dell’encefalopatia epatica può poi indurre a profonda sonnolenza, stati di grande agitazione e infine a coma non risvegliabile.

Il ricovero ospedaliero urgente quando si verificano una o più di tali complicanze è obbligatorio in quasi tutti i casi.

È sempre necessario il ricovero in caso di emorragia digestiva.

È inoltre necessario il ricovero alla prima comparsa dell’ascite al fine di effettuare una diagnosi precisa e della valutazione per eventuale inserimento in lista d’attesa per trapianto epatico se si ritiene che l’insufficienza epatica sia di grado elevato.

Ovviamente è utile il ricovero anche breve (day hospital) nei casi di ascite che mal rispondono alla terapia.

Infine, è importante rivolgersi ad un centro specialistico alla prima comparsa dei segni premonitori di encefalopatia al fine di valutare la necessità del ricovero ospedaliero.

L’emorragia digestiva nel paziente con cirrosi epatica

Tra le possibili complicanze della cirrosi epatica, l’emorragia digestiva (ED) è senza dubbio l’evento in assoluto più drammatico, sia per il modo acuto in cui si presenta, sia perché ogni episodio è potenzialmente gravato da una discreta mortalità.

L’evento chiave nel determinismo delle maggiori complicanze della cirrosi epatica è lo sviluppo della cosiddetta ipertensione portale, ovvero una pressione eccessivamente elevata nella vena porta.

Quando, nel corso della malattia, l’ipertensione portale raggiunge e supera un determinato livello (12 mmHg), vi è la seria possibilità che si presenti improvvisamente un episodio di emorragia digestiva per rottura delle varici esofagee o gastriche (dilatazione delle vene dell’esofago o del fondo dello stomaco) o gastropatia congestizia (imbibizione delle pareti dello stomaco).

L’evento emorragico può essere manifesto, presentandosi con ematemesi (vomito ematico) e/o melena (emissioni di feci scure, “picee” come la posa del caffè per la presenza di sangue digerito), o, in alternativa, può essere fortemente sospettato quando si abbia una anemizzazione più o meno acuta in un paziente cirrotico.

In Italia (dati ISTAT riferiti al 2014) muoiono ancora circa 21.000 pazienti l’anno per complicanze della cirrosi epatica

Di questi, circa un quinto (tremila pazienti) muoiono a seguito di un episodio di emorragia digestiva.

Grazie ai recenti progressi in campo terapeutico, negli ultimi anni si è ottenuta una sensibile riduzione della mortalità per ogni singolo episodio di emorragia, mortalità che attualmente si è attestata intorno al 20-25% entro sei settimane (8% nelle prime 24 ore).

Nei cinque anni successivi alla diagnosi di cirrosi, il 40% dei pazienti sviluppa varici, ma solo un terzo di questi presenterà nel corso della propria esistenza un episodio di emorragia digestiva.

Le cause dell’emorragia digestiva nel paziente cirrotico nel 60-70% dei casi è causata dalla rottura di una varice esofagea, nel 20% da una gastropatia congestizia, nel 5% dalla rottura di una varice gastrica e nel 5-10% da altre cause (in particolare ulcere gastriche o duodenali).

Complessivamente dunque l’ipertensione portale determina oltre il 90% delle emorragie digestive nel paziente cirrotico.

Attualmente per la prevenzione dell’emorragie digestiva nei pazienti con marcata ipertensione portale vengono utilizzate due categorie di farmaci, che agiscono riducendo la pressione nella vena porta: i beta-bloccanti o, in alternativa, i nitroderivati.

Entrambi i farmaci, assunti quotidianamente, si sono dimostrati efficaci, riducendo del 20-30% le possibilità dell’evento emorragico.

Il fatto stesso che solo parte dei pazienti con varici più o meno grosse presentino prima o poi un episodio emorragico rende conto del perché non vi sia indicazione alla terapia sclerosante o a derivazioni chirurgiche nella prevenzione del primo episodio di emorragie digestive.

Dal punto di vista terapeutico, la drammaticità e l’impossibilità di prevedere durata ed entità della emorragia digestiva impongono sempre la ospedalizzazione del paziente, non essendo assolutamente prospettabile il trattamento domiciliare.

Cirrosi biliare primitiva

La cirrosi biliare primitiva è una malattia cronica che colpisce i piccoli dotti biliari (quelli che trasportano la bile dal fegato alla cistifellea e all’intestino) che interessa maggiormente le donne di media età, tra i 40 e i 60 anni.

È una malattia su base autoimmune, nella quale i linfociti, che sono cellule deputate alla difesa dell’organismo dalle infezioni, aggrediscono per errore le cellule dei dotti biliari, provocandone la progressiva infiammazione e cicatrizzazione.

Una parte dei pazienti presenta una evoluzione della malattia in cirrosi, quando l’infiammazione dei dotti si estende al fegato portando alla cicatrizzazione dell’organo e a danni permanenti.

Non si conosce ancora in modo chiaro il meccanismo che determina la malattia.

Verosimilmente per un difetto genetico i linfociti T che dovrebbero difendere l’organismo solo dalle infezioni, agiscono contro le cellule dei dotti biliari come se fossero elementi estranei all’organismo attivando un processo infiammatorio cronico che in una percentuale variabile di casi porta alla cirrosi.

In una prima fase la malattia non dà luogo a sintomi, ma con il progredire del processo infiammatorio si manifestano i sintomi caratteristici quali il prurito, la stanchezza, la diarrea con feci grasse, secchezza alla bocca, ittero, gonfiore ai piedi ed alle caviglie, ascite.

Nelle fasi più avanzate si evidenziano depositi di grassi (lipidi) nella pelle, intorno agli occhi e sotto le palpebre (xantelasmi), nelle mani e nei piedi, a livello dei gomiti e delle ginocchia (xantomi) e quindi infezioni batteriche, insufficienza epatica, cirrosi epatica, ipertensione portale, varici esofagee con sanguinamento, denutrizione, osteoporosi, cancro del fegato, cancro del colon.

La diagnosi si attua mediante l’esecuzione dei seguenti esami: esami del sangue per la funzionalità del fegato, fosfatasi alcalina, gammaGT, e per la ricerca di anticorpi specifici (gli anticorpi anti-mitocondriali – AMA e alcuni sottotipi di anticorpi anti-nucleari – ANA).

Inoltre, l’ecografia addominale, la Risonanza magnetica, la TAC addominale, una biopsia epatica, per la valutazione in laboratorio dello stato di cellule e tessuti.

Al momento l’unica terapia riconosciuta come attiva è quella dell’acido ursodesossicolico.

Altri farmaci vengono impiegati con attività immunosoppressiva (Cortisone, Ciclosporina, Methotrexate), altri con proprietà antifibrotiche (Colchicina) in associazione a vari trattamenti per alleviare sintomi, in particolare il prurito, causato dal deposito di sali biliari nella cute (colestiramina) e al supplemento alimentare di vitamina D, per evitare che si riduca la densità minerale ossea a causa della malattie del fegato.

Nelle fasi più avanzate della malattia si deve ricorrere al trapianto di fegato.

L’epatocarcinoma

La complicanza più grave e tardiva della cirrosi è l’epatocarcinoma. Insorge in genere dopo 20-30 anni dall’aggressione della malattia virale, dall’abuso alcolico o da alterazioni metaboliche (steatoepatite).

L’epatocarcinoma rappresenta circa il 2 per cento di tutti i tipi di tumore.

La sua incidenza a livello europeo è di 7 casi annuali ogni 100 mila abitanti tra i maschi e 2 ogni 100 mila tra le femmine.

La prevenzione da questo tumore si attua attraverso la riduzione dell’esposizione ai fattori di rischio della malattia (epatite B, C, Cirrosi biliare, alcol e alterazioni metaboliche).

Generalmente questo tumore ha una crescita lenta e nella maggior parte dei casi si presenta in stadio avanzato.

I tumori di piccole dimensioni spesso non danno sintomi e vengono solitamente individuati nell’ambito di programmi di screening o in maniera casuale, durante esami di diagnostica per immagini effettuati per altri fini.

Le forme più grandi presentano sintomi quali il dolore a livello del quadrante addominale superiore destro, la presenza di una massa palpabile con calo ponderale associata spesso a febbre, ascite ed ittero.

Nelle fasi più avanzate si presenta anche splenomegalia, emorragia da varici esofagee o da gastropatia ed encefalopatia.

Dal punto di vista diagnostico e nella stadi azione del tumore un ruolo centrale è occupato dalla ecografia epatica, dalla TAC con mezzo di contrasto, dalla Risonanza magnetica ed infine dalla biopsia epatica.

Per quanto concerne il trattamento, questo ha un approccio multidisciplinare e dipendente dallo stadio del tumore, dal grado di compromissione epatica e dalle condizioni generali del paziente.

Sulla base di questi parametri viene scelto il trattamento più indicato, quali la terapia chirurgica, la terapia loco regionale (termo ablazione per via ecografica transcutanea o laparoscopica, la chemioembolizzazione per via radiologica ed infine il trapianto di fegato.

Se la malattia si trova in stadio avanzato, il trattamento in grado di prolungare significativamente la sopravvivenza del paziente è la terapia sistemica con Sorafenib.

La cirrosi da steatopatite non alcolica

La steatoepatite non alcolica è una patologia del fegato caratterizzata da processi di infiammazione, cicatrizzazione e morte dei tessuti dovuta a disfunzioni metaboliche e all’eccessiva presenza di grasso all’interno delle sue cellule, non dovuta al consumo di alcolici.

Il grasso, infatti, può accumularsi negli organi interni (grasso viscerale) ed è particolarmente pericoloso per la salute.

Quando i trigliceridi sono presenti in più del 5% delle cellule del fegato si parla di steatosi epatica (fegato grasso).

In una piccola percentuale di soggetti questa condizione evolve nella steatoepatite non alcolica, che comporta un alto rischio di progressione verso malattie del fegato importanti quali la fibrosi e il carcinoma epatico.

Tale condizione riguarda almeno il 25% degli italiani, (un italiano su quattro ha il fegato grasso) e tale percentuale aumenta con l’età e soprattutto aumenta tra le persone in sovrappeso e diabetiche, per arrivare al 50% (una su due) nelle persone obese.

Anche le persone normopeso possono essere affette da questa malattia come anche i bambini.

Si stima infatti che nel 2030, circa il 30% degli italiani avrà il fegato grasso.

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