Complicanze d'organo dell'ipertensione
Le lesioni vascolari legate all’ipertensione: la maggior parte delle lesioni vascolari dei pazienti ipertesi è direttamente dipendente dalla gravità dell’ipertensione
Tali lesioni possono indurre lo sviluppo di danni tissutali, sia emorragici che ischemici.
Le alterazioni vascolari dell’iperteso sono: ispessimento arteriolare, arteriosclerosi, necrosi arteriolare, aneurismi arteriosi e microvascolari, iperplasia fibromuscolare della media.
L’ispessimento arteriolare è alla base dell’aumento delle resistenze vascolari periferiche, caratteristico dell’ipertensione.
Attraverso questa modificazione strutturale vascolare lo stress esercitato sulla singola miocellula diminuisce, rimane capacità di ulteriore vasocostrizione, che protegge il tessuto dal rischio di iperperfusione spostando verso livelli più alti il limite superiore della autoregolazione, ma espone al rischio di ipoperfusione per brusche cadute pressorie al di sotto del limite inferiore di autoregolazione.
L’arteriosclerosi è favorita dall’ipertensione attraverso meccanismi diversi, tanto più se coesistono altri fattori di rischio, mentre la necrosi arteriolare è tipica della fase maligna.
Gli aneurismi dell’aorta espongono al rischio di dissezione mortale, mentre i piccoli aneurismi delle arterie cerebrali sono sede di rottura e causa di emorragie cerebrali. La documentazione dell’esistenza di vasculopatiaarteriosclerotica è utile ai fini della stratificazione del rischio, oltre che a fini terapeutici e si avvale delle comuni metodiche ultrasonografiche e radiologiche.
Ipertensione e ipertrofia ventricolare sinistra
Nell’ipertensione essenziale il cuore può inizialmente apparire normale all’esame obiettivo, ed alle indagini strumentali (l’ECG, l’ecocardiogramma e la radiografia del torace).
Con il passare del tempo, il cronico sovraccarico emodinamico determinato dall’ipertensione arteriosa favorisce un aumento del volume e del numero dei miocardiociti, attraverso l’aumento dello stress parietale del ventricolo sinistro.
Oltre al sovraccarico emodinamico, anche l’attivazione del sistema nervoso simpatico, del sistema renina – angiotensina circolante e tissutale, fattori di crescita e genetici contribuiscono alla patogenesi dell’ipertrofia.
L’aumento della massa miocardica normalizza lo stress sulla singola cellula.
Un’ipertrofia del ventricolo sinistro è di frequente riscontro autoptico nel paziente iperteso.
L’ecocardiogramma è l’esame più preciso per documentare in vivo l’esistenza di ipertrofia ventricolare sinistra.
Essa è arbitrariamente definita come un aumento della massa del ventricolo sinistro superiore a 131 g/m2 nel maschio e 100 nella femmina.
La massa del ventricolo sinistro si correla ai livelli tensivi, sia “casuali” che “ambulatori”.
La presenza di ipertrofia ventricolare sinistra si accompagna a prognosi più grave, per il maggior rischio di aritmie, infarto miocardico, ictus, morte improvvisa ed arteriopatia obliterante agli arti inferiori.
L’ipertrofia del ventricolo sinistro è in parte corretta dalla terapia antiipertensiva, condotta per lunghi periodi.
Retinopatia ipertensiva
La retina è l’unica parte del corpo nella quale è possibile osservare direttamente le arteriole di resistenze.
L’esame del fundus oculi è perciò di fondamentale importanza nell’iperteso per documentare gli effetti della malattia sul letto vascolare.
La prima classificazione della retinopatia ipertensiva è quella di Keith, Wagener e Baker (1939).
Essa ha il merito storico di aver identificato alcune lesioni elementari, ma è attualmente superata dalla descrizione delle lesioni stesse, poichè alcune di esse sono comuni sia all’ipertensione che all’arteriosclerosi e perchè spesso lesioni diverse coesistono e non sono espressione di diversi stadi della malattia.
Le alterazioni che si riscontrano negli ipertesi sono: aumentata tortuosità arteriosa, aumento del riflesso assiale con arterie “a filo d’argento”, incroci o compressioni artero-venose, emorragie “a fiamma”, essudati soffici o cotonosi, essudati duri e lucidi, papilledema.
L’aumento della tortuosità arteriosa e le arterie “a filo d’argento” sono legati sia all’ipertensione che all’invecchiamento. L’aumento del riflesso assiale è espressione di ispessimento della parete vasale.
Gli incroci tra arterie e vene sono di comune riscontro nella retina normale, ma quando la parete arteriolare è ispessita, le vene sono compresse ed appaiono occluse.
Gli essudati soffici sono espressione di infarti retinici, mentre quelli duri sono costituiti da depositi lipidici.
L’edema della papilla è un gonfiore del disco ottico associato ad edema cerebrale.
Le alterazioni specifiche dell’ipertensione sono: alterazioni di calibro (vasospasmi alternati a vasodilatazione, vasospasmo diffuso con aumento del rapporto tra calibro delle vene e delle arterie), essudati cotonosi ed emorragie a fiamma, edema della papilla e rigonfiamento del disco ottico. La classificazione di Keith, Wagener e Baker identifica i seguenti gradi:
- Grado I: modesti cambiamenti vascolari
- Grado II: alterazioni a filo d’argento, tortuosità e compressioni artero-venose
- Grado III: emorragie retiniche e macchie cotonose e/o essudati duri e lucidi
- Grado IV: emorragie retiniche, essudati e papilledema.
In un paziente iperteso le alterazioni retiniche di grado più avanzato compaiono solo in presenza di pressione diastolica superiore a 125 mmHg, che si mantenga da tempo o che sia aumentata rapidamente.
La diagnosi di retinopatia ipertensiva avanzata, con emorragie ed essudati, edema della papilla, richiede la pronta instaurazione di terapia antiipertensiva.
Nefropatia ipertensiva: l’ipertensione è causa e conseguenza di molte malattie renali
L’ipertensione arteriosa sistemica è probabilmente il più importante fattore di rischio per il progressivo declino della funzione renale, che si manifesta a causa della continua perdita di nefroni.
D’altro canto, la maggior parte dei pazienti normotesi che presenta una malattia renale sviluppa un’ipertensione che si aggrava con il progressivo declino della funzione renale.
La sclerosi glomerulare progressiva è l’evento finale comune a molte malattie renali senza che si possano distinguere aspetti anatomopatologici macroscopici e microscopici caratteristici.
Ne consegue che una volta che il rene è in fase di insufficienza terminale, la causa primitiva è irriconoscibile sia dal punto di vista anatomopatologico che clinico.
Per tale motivo in fase terminale è spesso difficile se non impossibile distinguere la nefropatia ipertensiva dall’ipertensione conseguente ad una malattia renale.
L’incidenza della nefropatia ipertensiva, definita come l’insufficienza renale terminale nella quale l’ipertensione di lunga data è l’unico agente eziologico, è sconosciuta.
La maggior parte dei pazienti ipertesi oggigiorno non presenta comunque gravi complicanze renali.
Cionostante si ritiene attualmente che l’ipertensione sia, dopo il diabete, la seconda causa di insufficienza renale terminale e che renda ragione di quasi 50 nuovi casi di insufficienza renale terminale all’anno per milione di abitanti.
Il numero degli ipertesi che arrivano alla dialisi o al trapianto è in continua ascesa, soprattutto a seguito della riduzione della mortalità cardiaca e cerebrovascolare.
Dal punto di vista anatomopatologico, la nefrosclerosi ipertensiva si caratterizza per reni raggrinziti, a superficie irregolare e grossolanamente granulare.
Le arteriole presentano ispessimento e fibrosi, sdoppiamento della lamina elastica interna e jalinizzazione.
Il danno glomerulare è focale e si manifesta con collabimento dei glomeruli e sclerosi; il tubulo è atrofico.
La nefropatia ipertensiva è causata verosimilmente da meccanismi multipli comprendenti l’ischemia con ipoperfusione glomerulare (particolarmente nei pazienti con ipertensione nefrovascolare), l’ipertensione glomerulare (conseguente a inappropriata vasocostrizione della arteriola afferente), ipercolesterolemia, disfunzione endoteliale con trombosi intracapillare, aumento del passaggio di macromolecole nel mesangio e nella capsula di Bowman, che stimola la sintesi di componenti della matrice ed il danno tubulare.
Dal punto di vista clinico, la diagnosi di nefropatia ipertensiva è per lo più presuntiva
L’esame delle urine consente di escludere altre cause di nefropatia: la presenza di una modesta proteinuria (1.5-2 g/die) senza cilindruria è però frequente.
Alcuni ipertesi presentano un’escrezione urinaria di albumina superiore al normale (15 mg/min), ma non evidenziabile con l’esame standard mediante stick.
La presenza di microalbuminuria (range 30-300 mg/min) si accompagna ad aumento del rischio cardiovascolare ed è probabilmente espressione di un danno endoteliale pluridistrettuale.
La diagnostica radiologia non è di aiuto nella definizione della nefropatia ipertensiva ma consente di escludere altre cause di malattia renale.
L’esame bioptico è spesso di scarsa utilità. La diagnosi di nefropatia ipertensiva è perciò spesso presuntiva e solo un adeguato follow up dei pazienti ipertesi consentirà di documentare la sua reale incidenza nella popolazione e gli effetti a lungo termine della terapia antiipertensiva.
Le complicanze cerebrali legati all’ipertensione
Il rischio di morte e danni neurologici permanenti da malattie cerebrovascolari aumenta progressivamente con l’età e nell’anziano gli accidenti cerebrovascolari sono il 20% delle cause di morte.
Nei sopravvissuti all’ictus, i danni neurologici permanenti rappresentano un costo individuale e sociale difficilmente calcolabile.
L’ipertensione è il principale fattore di rischio per le cerebropatie vascolari ma la terapia dell’ipertensione, così come è stata condotta finora, ha ridotto solo del 40% il numero degli accidenti cerebrovascolari nella popolazione.
Ciò suggerisce che il controllo dell’ipertensione sia ancora inadeguato, che i farmaci antiipertensivi utilizzati finora abbiano degli effetti indesiderati che ne attenuano i potenziali vantaggi e che non si conoscono ancora completamente tutti i fattori di rischio cardiovascolare.
Le malattie cerebrali associate all’ipertensione arteriosa sono: infarto cerebrale aterotrombotico, tromboembolia cerebrale, emorragia cerebrale, emorragia subaracnoidea, attacco ischemico transitorio.
L’infarto è la più frequente lesione cerebrale degli ipertesi di razza bianca con ipertensione di grado moderato e lieve.
Il rischio complessivo di ictus cerebrale di un iperteso è però circa la metà di quello di infarto miocardico.
L’incidenza è circa del 2% per anno nei pazienti con ipertensione di grado moderato e del 0.5% nei pazienti con ipertensione lieve.
Gli accidenti cerebrovascolari più frequenti sono gli infarti cerebrali.
Essi originano da aterotrombosi dei grossi vasi intracranici e si manifestano clinicamente con ictus conclamati, infarti lacunari ed attacchi ischemici transitori.
Pur avendo un’origine multifattoriale, l’infarto cerebrale aterotrombotico è tre volte più frequente negli ipertesi rispetto ai normotesi, in entrambi i sessi ed a tutte le età.
Il rischio cresce sia con l’aumentare della pressione sistolica che della diastolica.
La tromboembolia origina da trombi del ventricolo sinistro o dell’atrio sinistro, se coesiste fibrillazione atriale.
Un’altra fonte di embolo è una placca ulcerata delle arterie carotidi extracraniche.
Il quadro clinico è quello di un ictus conclamato o di un attacco ischemico cerebrale transitorio.
L’emorragia cerebrale è una complicanza frequente dell’ipertensione grave, soprattutto nella razza nera.
E’ causata per lo più da rottura di microaneurismi intracerebrali.
L’emorragia subaracnoidea è dovuta a rottura di aneurismi sacciformi del poligono del Willis, su base per lo più malformativa.
Non vi sono documentazioni certe del ruolo dell’ipertensione nella patogenesi della rottura, ma la terapia dell’ipertensione ne previene le recidive.
La diagnostica delle complicanze cerebrovascolari dell’ipertensione è principalamente anamnestica e clinica ma si giova anche delle metodiche neuroradiologica ed ultrasonografica.
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