Correlazioni tra disfunzione cardiaca e Covid-19: uno studio Humanitas per stimare in anticipo i fattori di rischio
Disfunzione cardiaca e Covid-19, uno studio di particolare rilevanza. Esso è frutto di una collaborazione tra l’équipe di Cardiologia clinica e interventistica di Humanitas e gli specialisti del gruppo ospedaliero Mount Sinai di New York e del Policlinico di Milano lo studio intitolato Characterization of Myocardial Injury in Patients With COVID-19 che uscirà sul numero del 3 Novembre 2020 sul Journal of the American College of Cardiology, incentrato sulle correlazioni tra disfunzioni cardiache e Covid-19.
Approfondiamo l’argomento con il professor Giulio Stefanini, cardiologo in Humanitas e docente di Humanitas University, coordinatore italiano dello studio.
Leggi lo studio su disfunzione cardiaca e covid-19 nella versione integrale:
Humanitas studio disfunzione cardiaca e covid-19 j.jacc.2020.08.069Disfunzione cardiaca e COVID-19, l’importanza dell’ecocardiogramma nella valutazione del danno miocardico
“Prima di lavorare a questo studio, avevamo già rilevato come una quota dei pazienti ricoverati per Covid-19 presentassero un danno miocardico individuato dal rilascio di troponina e come questo si associasse a una prognosi peggiore per il paziente.
Lo studio, dunque, ci ha permesso di rispondere a uno specifico interrogativo: il danno miocardico nei pazienti con Sars-Cov-2 è sintomo di un deterioramento complessivo dell’organismo, o si associa a una specifica alterazione della funzione del cuore?
Il rilascio di troponina, infatti, può essere anche indice di una disfunzione multiorgano, non specifica del cuore”, spiega il professor Stefanini.
“Lo studio ha coinvolto 305 pazienti ricoverati tra marzo e aprile per Covid-19 in Humanitas, Policlinico e Mount Sinai, e sottoposti a elettrocardiogramma ed ecocardiogramma.
Dall’analisi è risultato che un livello elevato di troponina è effettivamente indice di una disfunzione cardiaca.
Inoltre, gli stessi pazienti con disfunzione cardiaca associata al rialzo degli enzimi cardiaci, sono anche quelli per cui la prognosi è risultata infausta.
In conclusione, si tratta del primo studio che dimostra l’utilità del monitoraggio degli enzimi cardiaci e dell’utilizzo dell’ecocardiogramma per valutare se l’aumento degli enzimi cardiaci si associ o meno a una disfunzione del cuore, in modo tale da identificare i pazienti con la prognosi peggiore e un elevato rischio di mortalità.
Grazie all’utilizzo combinato di esami di laboratorio ed ecocardiogramma possiamo dunque avere delle informazioni prognostiche di rilevanza immediata e stimare in anticipo il rischio del paziente”, conclude il professore.
Per approfondire:
Studio pubblicato su JACC Journals