COVID-19 e morbo di Parkinson, un nuovo studio dall'Australia: “sarà la terza ondata della pandemia”
Morbo di Parkinson. COVID-19 lascia profonde cicatrici nei pazienti che lo hanno subito. E non solo al sistema respiratorio: anche il sistema nervoso è spesso intaccato dai danni provocati dal coronavirus.
L’insieme di questi “strascichi”sono ormai noti come “sindrome post Covid”.
Tra i segni più evidenti della sindrome post covid si annoverano mancanza di energie, difficoltà respiratorie, perdita nella capacità di memoria e in generale una più o meno marcata confusione mentale.
Meno frequenti sono ageusia (perdita del gusto), anosmia (perdita dell’olfatto) e rush cutanei.
COVID-19 e morbo di Parkinson:
Sulle manifestazioni della Sindrome Post Covid si stanno accavallando gli studi in tutto il mondo.
E questo è un bene: una precoce conoscenza del danno potenziale comporterà un tempestivo e più efficace trattamento del paziente affetto da coronavirus.
Dall’Australia giunge un forte monito dal noto istituto australiano di neuroscienze e salute mentale, il Florey, rispetto al potenziale rischio Parkinson dei pazienti sopravvissuti a COVID-19.
Su Journal of Parkinson’s Disease, Leah Beauchamp ed i ricercatori che guida hanno pubblicato un articolo scientifico che parla espressamente di conseguenza degenerativa sul cervello per i pazienti.
Un problema tanto grave da spingerli a definire questo fattore di sindrome post Covid come “la terza ondata della pandemia COVID-19”, interessando il danno cerebrale tre pazienti su quattro.
Danni che vanno dalla perdita di olfatto all’encefalite.
Morbo di Parkinson rischio per tre pazienti COVID-19 su quattro: necessario screening di massa per soggetti a rischio
Da questa constatazione, su pazienti in Australia (ma sono esseri umani biologicamente identici agli italiani, quindi occorre grande attenzione, pur mantenendo vive le distinzioni di ceppo di coronavirus), la forte raccomandazione rispetto ad un protocollo di screening di massa che miri ad identificare le persone a rischio Parkinson.
Esse poi possono essere curate con terapie farmacologiche adatte, in grado di rallentare o fermare l’evolversi del morbo.
“Dobbiamo cambiare il pensiero della comunità che il Parkinson non sia una malattia della vecchiaia. Come abbiamo sentito più e più volte, il coronavirus non discrimina, e nemmeno il Parkinson”, ha dichiarato a tal proposito il professor Kevin Barnham, Florey Institute of Neuroscience & Mental Health .
“Possiamo comprendere le conseguenze neurologiche che seguirono la pandemia di influenza spagnola nel 1918, dove il rischio di sviluppare il morbo di Parkinson aumentò da due a tre volte.
Dato che la popolazione mondiale è stata nuovamente colpita da una pandemia virale, è davvero molto preoccupante considerare il potenziale aumento globale di malattie neurologiche che potrebbero svilupparsi lungo il percorso “.
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