Demenze neurodegenerative: la “catena leggera dei neurofilamenti” è un nuovo potenziale strumento di diagnosi precoce
Demenze neurodegenerative: pubblicati sulle riviste scientifiche Nature Communication e Neurology due studi di gruppi internazionali, dei quali fa parte Daniela Galimberti, ricercatrice del Centro Dino Ferrari, Università Statale di Milano – Ospedale Policlinico di Milano, che hanno identificato nel plasma di pazienti con diversi tipi di demenza un marcatore in grado di predire lo sviluppo dei sintomi: si tratta della catena leggera dei neurofilamenti
Questa proteina era già nota per essere parte dello scheletro costitutivo delle cellule del cervello. Quando queste ultime sono danneggiate, la proteina viene liberata ed è estremamente aumentata a livello periferico prima dell’insorgenza del decadimento cognitivo.
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Generalmente, i sintomi progrediscono lentamente e peggiorano con il passare del tempo, diventando talmente gravi da interferire con le attività quotidiane.
La diagnosi, anche in fase precoce, viene oggi effettuata grazie ad esami sul liquido cerebro-spinale e con la PET, esami che però sono costosi o invasivi, ed il cui utilizzo non è a disposizione di tutte le strutture ospedaliere.
Per questo i ricercatori sono da tempo impegnati a scoprire dei ‘marcatori periferici’, ovvero delle molecole che possono essere identificate con un semplice prelievo di sangue.
Lo stesso concetto vale per altre malattie neurodegenerative non-Alzheimer, fra cui la demenza frontotemporale
Al di là della diversa patogenesi delle demenze, è importante sottolineare che i processi patologici che avvengono nel cervello iniziano 10-15 anni prima dello sviluppo della demenza conclamata.
Sarebbe dunque necessario uno screening nel tempo della popolazione a rischio, nell’ottica di selezionare precocemente (ai primi sintomi, o addirittura in assenza di sintomi) quali persone dovrebbero essere sottoposte ad ulteriori approfondimenti.
Questo potenziale biomarcatore periferico è stato studiato in una coorte molto vasta di pazienti in uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Nature Communications, a cui ha partecipato la dott.ssa Daniela Galimberti, ricercatrice del gruppo del prof. Elio Scarpini del Centro Dino Ferrari, Università Statale di Milano –Ospedale Policlinico di Milano.
“L’identificazione di questo biomarcatore di prossimità allo sviluppo dei sintomi – spiega la ricercatrice – potrebbe avere un impiego pratico come screening nella popolazione anziana, essendo effettuato su un semplice prelievo di sangue e con costi contenuti, per avviare i soggetti ad altro rischio, in fase presintomatica, ad un centro di secondo livello per analisi più approfondite”.
La stessa molecola è stata studiata anche in famiglie che hanno forme ereditarie di demenza frontotemporale, ancora una volta confermando come l’aumento dei livelli plasmatici avvenga poco tempo prima dello sviluppo del deficit cognitivo.
L’articolo, frutto di una ampia collaborazione internazionale, è stato pubblicato sulla rivista Neurology
‘Questa ricerca – aggiunge Daniela Galimberti – è frutto di una proficua collaborazione e ha permesso di studiare un’ampia casistica di forme di demenza frontotemporale piuttosto rare.
Per queste forme genetiche esistono potenziali nuovi farmaci innovativi che verranno studiati in sperimentazioni cliniche.
L’utilizzo di questo biomarcatore permetterà l’inclusione di soggetti non ancora sintomatici, anticipando il trattamento in fase preclinica’.
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