Due accoltellati critici, in un unico DEA: analisi dell'intervento [CASE REPORT]
Sono circa le 2.30 del mattino di una domenica d’agosto, il telefono squilla e la centrale mi invia, con un’ambulanza di base (infermiere, autista e barelliere tutti dipendenti), nei giardini al centro di una famosa piazza romana dove ci sarebbe un ferito a seguito di una lite.
Nessun altra informazione, codice verde. Complice lo scarso traffico di quell’ora, giungiamo sul posto in 7 minuti anche senza sirena e, ad una prima sommaria osservazione della scena, ancor prima di scendere dall’ambulanza, mi accorgo che la situazione è peggiore del previsto. Tre volanti della Polizia sono sul posto ed in terra, in una pozza di sangue c’è un ragazzo di una ventina d’anni. Quando mi avvicino scopro che il sangue proviene in parte da una ferita in ipocondrio sinistro (che ha tutta l’aria di essere il risultato di una coltellata), e in parte dalla bocca del paziente, ematemesi (forse frutto della coltellata che ha raggiunto lo stomaco?).
SITUAZIONE – Paziente tachipnoico, non sembrava avere segni di pnx, 92% di sat.O2, tachicardico, pallido, sudato, risvegliabile al comando vocale, conferma la coltellata. Applichiamo Ossigeno al 100% in maschera con reservoir, bendaggio compressivo sulla ferita, un accesso venoso periferico (16G) e colloide in infusione rapida. Lo carichiamo in ambulanza, mentre i colleghi si preoccupavano di chiudere i portelloni e prepararsi a partire, io tento di prendere una pressione arteriosa (operazione procrastinata rispetto alla valutazione iniziale perchè il bracciale elettronico del monitor non funziona e farlo a mano fa perdere tempo prezioso), ma vengo interrotto: un poliziotto arriva con un altro ragazzo che dichiara di essere ferito anche lui e alzandosi la maglietta mostra una vasta flc di una quindicina di centimetri nell’emitorace sinistro in corrispondenza della linea emiascellare. Io e i colleghi lo facciamo sedere in ambulanza e subito dichiara di sentirsi male e di avere difficoltà a respirare. Subito Ossigeno al 100%, il polmone sinistro, all’auscultazione, non sembra ventilare, ma non ci sono segni di pnx iperteso. Il sanguinamento dalla ferita è modesto, provvediamo, togliendo la maglietta, a tamponare la ferita. Il paziente è pallido e sudato, FC 140 b/min, si guadagna anche lui il suo accesso venoso periferico (16G) e soluzione fisiologica in infusione rapida. Intanto sono passati quasi 10 minuti e ora i pazienti gravi sono, a sorpresa, 2, ed anche il secondo paziente inizia ad essere soporoso e a perdere punti di GCS. Il DEA di secondo livello dista solo 5 minuti di strada, attivare un’altro mezzo, medicalizzato o di base, signica attendere almeno 15 minuti. Decido quindi di partire alla volta del DEA, allertando via radio l’arrivo di 2 codici rossi chirurgici.
ARRIVO AL DEA – Al DEA sono presenti in sala rossa 2 colleghi infermieri, un’altro accore in ausilio dalla sala medica, un solo chirurgo e l’anestesista arriverà dopo una decina di minuti. Ovviamente sono rimasto ad aiutarli nella stabilizzazione per circa mezz’ora vista la situazione di emergenza. Il primo paziente finisce dritto in sala operatoria e il secondo,leggermente più stabile, finisce in tac. Prima di andar via ovviamente mi sono dovuto sorbire le energiche lamentele dei colleghi del Pronto Soccorso per aver portato 2 codici rossi chirurgici contemporaneamente nello stesso ospedale invece di attivare un secondo mezzo e dirottare un ferito presso un’altro DEA di II livello, distante circa 15 minuti. Ho spiegato la situazione particolare in cui mi sono trovato e difeso le mie scelte, un triage di centrale sbagliato, un secondo paziente comparso all’improvviso, la vicinanza del loro ospedale e le condizioni di shock dei pazienti che avrebbero reso pericolosa l’attesa di un secondo mezzo. Considerando anche che nel mio servizio non esiste nessun protocollo che mi autorizzi ad una gestione più avanzata delle vie aeree o del paziente traumatizzato di quella che ho messo in atto. Alla fine si sono dimostrati d’accordo con me, forse per quieto vivere.
RIFLESSIONI – Ma ora che sono tornato a casa, senza ulteriori notizie sulla sorte di feriti (che cercherò di avere appena sarò in servizio per il prossimo turno), le certezze che mi hanno portato a difendermi dall’attacco dei colleghi non ci sono più e mi chiedo cosa sarebbe successo se avessi agito diversamente. Magari qualcuno di voi, leggendo questa storia, vorrà dare il suo contribbuto a dirimere il mio dubbio…e magari riuscirò anche a riposare un po’ visto che stasera mi aspetta un’altra notte.
(Lettera firmata)