Effetto Placebo e Nocebo: quando la mente influenza gli effetti dei farmaci
Placebo e nocebo sono i due lati della stessa medaglia e rappresentano un complesso fenomeno non solo neurobiologico ma anche psicologico, in cui modifiche a livello neurofisiologico e comportamentale si realizzano a seguito della somministrazione di una terapia
Il termine nocebo (dal latino nocere: nuocere, danneggiare) fu utilizzato per la prima volta in letteratura da Walter Kennedy nel 1961.
L’effetto placebo, invece, ha una storia assai più lunga: fu nominato originariamente in ambito sanitario nel 1772 dal medico William Cullen, il quale utilizzò la parola placebo (dal verbo latino traducibile in: “Io piacerò”), per indicare una sostanza somministrata ai pazienti con l’obiettivo di modularne la sintomatologia, piuttosto che interferire con il processo patologico.
Nel 1964 venne dimostrato che la relazione medico-paziente può influire positivamente sugli esiti di un trattamento, stesso vale per il risultato di un contesto psicosociale positivo che sia in grado di influire positivamente sul cervello del paziente.
L’EFFETTO NOCEBO
È importante differenziare l’effetto nocebo dalla risposta nocebo.
Il primo si riferisce al contesto psicosociale (negativo) in cui la persona è inserita, al trattamento e alle basi neurobiologiche che sottendono l’effetto. La risposta nocebo, invece, si riferisce a fattori non specifici (tra cui stress e condizioni fisiologiche) che, però, possono contribuire a indurre il peggioramento di una condizione.
Tra i fattori che influenzano lo sviluppo dell’effetto nocebo ci sono:
- le aspettative verso l’effetto del trattamento, che possono essere create da suggestioni verbali, l’apprendimento, l’osservazione di altri e la complessità della relazione medico-paziente. Ad esempio: se è sempre lo stesso medico, nello stesso ambulatorio, a somministrare sempre la stessa pastiglia, le aspettative riguardo il trattamento saranno più forti e gli effetti, quindi, saranno più marcati;
- informare i pazienti relativamente all’interruzione di un trattamento può portare a sviluppare degli effetti collaterali, nonostante il trattamento sia ancora in atto;
- l’esperienza che facciamo e l’importanza che diamo al contesto in cui ci troviamo sono stimoli molto importanti che vengono attentamente elaborati dal nostro cervello.
Diversi studi hanno cercato di capire l’influenza che i tratti di personalità possono avere sull’effetto nocebo e se questi possono, in qualche modo, essere predittivi della grandezza di tale effetto.
I risultati hanno evidenziato che più le persone erano ansiose e caratterizzate da eccessiva paura e timidezza, più forti erano le loro credenze e aspettative relativamente agli effetti negativi del trattamento.
Analogamente, meno le persone erano ottimiste, determinate e ambiziose, più tendevano ad avere forti aspettative sugli effetti negativi del trattamento somministrato.
Uno studio pubblicato su “Science” da A. Tinnermann e colleghi, del Centro Medico Universitario di Amburgo-Eppendorf, in Germania, ha dimostrato un fenomeno curioso collegato all’effetto nocebo: è notevolmente più frequente quando il soggetto è convinto che il finto farmaco sia molto costoso.
Altre ricerche hanno potuto riscontrare che le aspettative negative del paziente evocate dalle suggestioni verbali del clinico sono in genere sufficientemente “potenti” da creare un effetto nocebo maggiore dell’effetto placebo.
Al contrario dell’effetto placebo, dunque, il nocebo si fonda sulla scarsa fiducia nei farmaci e nel personale medico.
Risposte nocebo possono derivare anche da passate esperienze negative associate a determinati trattamenti.
L’EFFETTO PLACEBO
L’effetto placebo invece, comprende l’insieme di modificazioni psicologiche e biologiche dovute a fattori extra farmacologici che si manifestano nel processo di guarigione.
Per questa ragione, esso è ritenuto da alcuni esperti che hanno studiato questo meccanismo, un fenomeno da attribuire alla suggestione e all’autosuggestione.
Attualmente l’effetto placebo in medicina viene impiegato esclusivamente a fini di ricerca, dunque, non come una vera e propria terapia
Studi medico-scientifici hanno dimostrato che l’effetto placebo in questo determinato campo di applicazione agisca principalmente sui sintomi che sulla patologia. I benefici sono spesso dettati anche dall’esperienza.
Un farmaco già provato, con buoni risultati, è più efficace di un farmaco nuovo. Così come accade con l’osservazione di terzi: vedere qualcuno raggiungere una condizione di benessere grazie all’assunzione di un farmaco, aiuta a far sviluppare una risposta ancora più efficace del farmaco stesso, una volta che saremo noi ad assumerlo.
Una revisione del 2010, svolta su 202 casi di studio, ha dimostrato come l’effetto placebo sia curativo nel trattare sintomi di asma, dolore, nausea e fobie.
L’effetto placebo ha esiti di gran lunga meno evidenti su insonnia, demenza, depressione, obesità e ipertensione. I placebo, infatti, hanno azione sul modo in cui il paziente sperimenta i sintomi, non sulle cause dei sintomi.
Non si sa ancora se l’effetto placebo può essere indotto.
Alcune ricerche effettuate su pazienti consapevoli di assumere un trattamento placebo, ha prodotto risultati validi nei casi di rinite allergica, mal di schiena, colon irritabile, depressione e disturbo da deficit di attenzione e iperattività.
Certamente è stato riscontrato che una buona relazione medico-paziente e una buona modalità comunicativa da parte dei clinici può avere un grande impatto positivo sulla terapia e la risposta benefica alla stessa.
Articolo scritto dalla dottoressa Letizia Ciabattoni
Per approfondire:
La somministrazione infermieristica del placebo, profili etici: una tesi di laurea da leggere
La Sindrome di Stoccolma: quando la vittima si schiera a favore del proprio carnefice
FONTI:
http://www.sefap.it/web/upload/GIFF4_2014_02_Frisaldi_ras.pdf
https://www.focus.it/scienza/salute/effetto-placebo-come-funziona-per-punti
https://www.treccani.it/enciclopedia/effetto-placebo-e-nocebo_%28XXI-Secolo%29/