Hoarding Disorder: la disposofobia o disturbo da accumulo compulsivo

Sepolti in casa, è questa l’immagine che più di ogni altra caratterizza le persone affette da disturbo da accumulo (hoarding disorder), altrimenti detto disposofobia

A qualcuno di voi magari sarà capitato di seguire la serie televisiva americana che porta l’omonimo nome, incuriositi dalle condizioni estreme nelle quali riescono a vivere, o per meglio dire sopravvivere, queste persone “disposofobiche”.

Il disturbo da accumulo (disposofobia) è caratterizzato dall’acquisizione eccessiva di oggetti e, allo stesso tempo, dall’incapacità di gettarli via

Gli oggetti possono essere i più disparati: dai giornali agli indumenti, dai rifiuti a vecchi contenitori di cibo.

È proprio la difficoltà a buttare via le cose che può portare a ingombrare significativamente gli spazi di casa, fino a ostacolare le normali attività quotidiane quali cucinare, pulire, muoversi in casa, persino dormire.

Le grandi quantità di oggetti accumulati da chi soffre di disposofobia possono minacciare la salute e la sicurezza di chi vive in casa o vicino.

Possono verificarsi incendi, cadute e anche malattie, date le scarse condizioni igieniche nelle quali queste persone disposofobiche si trovano a vivere.

Un altro elemento che caratterizza le persone con accumulo compulsivo è il progressivo isolamento a cui vanno incontro in conseguenza dell’imbarazzo e della vergogna che provano rispetto a invitare ospiti nella propria abitazione. In molti casi si creano conflitti con i familiari e anche con i vicini.

L’allontanamento e l’ostilità degli stessi aumentano la sofferenza di queste persone che soffrono di disposofobia in un circolo vizioso che arriva a comprometterne pesantemente il funzionamento psicologico, lasciandoli in una condizione di totale abbandono.

Disposofobia, qual è la dimensione del fenomeno dell’accumulo compulsivo nel nostro paese?

Un nostro studio pubblicato su Behavioural and Cognitive Psychotherapy (Bulli et al., 2014) si è posto l’obiettivo di valutare la prevalenza del comportamento di accumulo in un campione non clinico di adulti. 1012 soggetti hanno partecipato allo studio compilando un questionario self-report validato in lingua italiana, il Saving Inventory-Revised (SI-R; Melli, Chiorri, Smurra & Frost, 2013).

Il risultato ci ha colto un po’ di sorpresa: ben il 6% del campione ha affermato di mettere in atto un insieme di comportamenti prerogativa di persone che soffrono di disturbo da accumulo o disposofobia.

L’analisi di variabili demografiche ha mostrato come non vi fossero differenze significative per sesso, età, stato civile, titolo di studio e occupazione.

Dal momento che, prima della pubblicazione del DSM-5 (APA, 2013), il disturbo da accumulo era classificato come sottogruppo del disturbo ossessivo-compulsivo (DOC), è stata esplorata la relazione del disturbo da accumulo con i sintomi ossessivi.

Il dato rilevante emerso è che il coefficiente di correlazione tra un questionario che misura la presenza di sintomi ossessivi e il questionario SI-R non era molto maggiore del grado di correlazione tra i sintomi da accumulo e misure di ansia e depressione.

Questo risultato è coerente con studi precedenti, condotti sia su popolazione clinica che non clinica, secondo i quali il comportamento da accumulo e i sintomi della disposofobia possono essere presenti trasversalmente in diverse manifestazioni cliniche di ordine psichiatrico, neurodegenerativo e in alcuni casi genetico, e quindi il disturbo da accumulo compulsivo non può essere meramente classificato come un sottotipo di DOC.

Disturbo da accumulo compulsivo e DOC: quali differenze?

Da un punto di vista fenomenologico, la paura di perdere qualcosa di importante per la persona, la paura di liberarsi di cose da cui si sente emotivamente legato o il timore di commettere errori in merito a ciò che sia meglio conservare o gettare potrebbero essere considerate analoghe alle ossessioni, mentre il non buttare via gli oggetti, così come qualche comportamento di acquisizione potrebbero essere assimilati alle compulsioni.

Tuttavia, molte ricerche hanno fornito prove a sostegno di importanti differenze tra accumulo compulsivo e disturbo ossessivo-compulsivo.

Per esempio, i pensieri relativi all’accumulo nei pazienti con disturbo da accumulo (disposofobia) non sono percepiti come intrusivi o indesiderati; non sono ripetitivi, come invece tipicamente sono le ossessioni nei pazienti DOC.

L’accumulo compulsivo è un fenomeno passivo, in cui l’intenso disagio è provato solo nel momento in cui queste persone si trovano a fare i conti con la necessità di liberarsi di quello di cui sono in possesso.

L’esperienza di acquisizione delle cose, invece, è sentita come egosintonica, piacevole, o comunque tale da generare una sensazione di sicurezza.

Una delle caratteristiche peculiari dei soggetti con disposofobia è un forte attaccamento nei confronti delle cose che posseggono, talvolta attribuendo a esse un forte senso identitario.

Ecco che lo scenario di doversi sbarazzare di cose a cui sentono di essere molto legati affettivamente può essere esperito dalla persona come molto doloroso.

Talvolta questi soggetti arrivano a pensare che le cose inanimate abbiano dei veri e propri sentimenti.

Il paziente ossessivo-compulsivo, invece, anche nei casi in cui manifesti una sintomatologia di accumulo, non è in alcun modo interessato al valore intrinseco dell’oggetto.

Per esempio, un comportamento di accumulo potrebbe essere la conseguenza di pensieri superstiziosi del tipo “Se io butto via un oggetto, temo che possa accadere qualcosa di negativo a una persona cara”.

In questo caso, dunque, la difficoltà a liberarsi di quell’oggetto non è legata tanto all’attribuzione di un valore emotivo allo stesso, quanto piuttosto rappresenta una strategia protettiva in risposta a pensieri intrusivi di natura catastrofica.

Diverso invece è il significato attribuito dai pazienti con disturbo da accumulo alla medesima incapacità a buttare via.

Dal momento che gli oggetti sono parte integrante della loro identità personale, della loro memoria, lo sbarazzarsene equivale a una vera e propria esperienza di lutto.

Di qui le emozioni prevalenti di dolore e rabbia di chi soffre di disposofobia.

Disposofobia, un’entità psichiatrica a sé stante

In anni recenti, lo studio del disturbo da accumulo ha ricevuto un’attenzione crescente e la sua caratterizzazione nosografica è stata oggetto di un vivace dibattito scientifico.

Per quanto tale comportamento sia stato spesso riportato come una manifestazione sintomatologica del disturbo ossessivo-compulsivo, stranamente non era direttamente menzionato nel DSM-IV-TR come un sintomo del DOC.

Piuttosto rientrava in uno degli 8 criteri per il Disturbo Ossessivo-Compulsivo di Personalità.

Non DOC dunque, ma neppure fobia, sebbene il disturbo da accumulo, come già detto, sia anche menzionato come disposofobia (letteralmente ‘paura di buttare’).

Tale termine può trarre in inganno, non riuscendo a fornire un quadro esaustivo della complessità clinica di questi pazienti.

L’ambiguità nosografica del disturbo da accumulo è stata risolta nel DSM-5 (APA, 2013) mediante il suo riconoscimento come un’entità a sé stante nel panorama psichiatrico internazionale.

Questa categorizzazione può rendere meglio giustizia di un disturbo che presenta caratteristiche precipue anche a livello cerebrale.

Uno studio condotto da Tolin e collaboratori della Yale University School of Medicine, pubblicato nel 2012 su Archives of General Psychiatry, infatti, ha mostrato come i soggetti con disturbo da accumulo presentino differenze fondamentali, rispetto a pazienti ossessivo-compulsivi e adulti normali, sia nella corteccia cingolata anteriore, associata alla rilevazione di errori in condizioni di incertezza, sia nell’insula mediale e anteriore, legata alla valutazione del rischio e dell’importanza degli stimoli e alle decisioni emotivamente cariche.

Il disturbo da accumulo compulsivo, secondo gli autori, sembrerebbe caratterizzato da un marcato evitamento del processo decisionale per il possesso.

Sembra cruciale in questo il legame affettivo con le cose e l’importanza che ha per questi pazienti il possedere oggetti considerati di nessun valore per la maggior parte delle persone.

Sono questi i casi in cui gli oggetti possono prendere il sopravvento sulle vite delle persone, rendendole schiave.

Per approfondire:

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Fonte dell’articolo:

IPSICO

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