Malattie genetiche rare: la Sindrome del QT lungo

La Sindrome del QT lungo è una malattia genetica rara che può causare la comparsa di aritmie maligne. La cura si basa sull’uso di farmaci beta-bloccanti

La sindrome del QT lungo è una malattia genetica rara (1 su 2000 individui della popolazione generale) caratterizzata da un prolungamento sull’elettrocardiogramma di un intervallo chiamato intervallo QT (il tempo in cui il cuore si “ricarica” dopo una contrazione) e, quindi, dalla possibile insorgenza di aritmie maligne.

Le aritmie maligne possono causare palpitazioni, sincope e morte improvvisa.

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La sindrome del QT lungo è provocata dall’alterazione su base genetica di alcune proteine coinvolte nella stabilità elettrica del cuore

A oggi sono stati individuati un totale di diciassette geni che, se alterati, possono causare la malattia.

Le varie forme riscontrate hanno una numerazione progressiva e le forme 1, 2 e 3 sono quelle scoperte per prime perché più frequenti.

Sono anche le più studiate.

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Sono noti specifici eventi che innescano aritmie potenzialmente letali per le tre principali forme genetiche di sindrome del QT lungo:

Nei pazienti che presentano la malattia di tipo 1, il sottogruppo genetico più numeroso, la maggior parte degli episodi cardiaci che possono causare la morte avvengono durante l’attività sportiva;

I pazienti che presentano la malattia di tipo 2 sono particolarmente sensibili alle emozioni e ai rumori improvvisi, quali lo squillo del telefono o quello della sveglia.

Inoltre, le femmine sembrano essere a più alto rischio nel periodo post-partum;

I pazienti che hanno il tipo 3 presentano più frequentemente episodi durante il riposo o nel sonno.

In tutti i pazienti con sindrome del QT lungo deve essere evitata la somministrazione di farmaci in grado di provocare un ulteriore allungamento dell’intervallo QT, che potrebbe portare all’innesco di aritmie mortali.

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La cura della sindrome del QT lungo si basa sulla terapia con farmaci che proteggono il cuore dagli stress fisici o psichici, i cosiddetti beta-bloccanti

In qualche caso, i farmaci beta-bloccanti possono essere associati a Mexiletina (nelle forme di tipo 2 o di tipo 3) dimostrandosi così più efficaci nel prevenire i sintomi della malattia.

A volte, in qualche paziente molto grave, viene impiantato un dispositivo come il pacemaker o il defibrillatore cardiaco, che aiutano a regolare il battito cardiaco e salvano la vita in caso di arresto cardiaco.

Un’altra pratica utilizzata anche prima dell’impianto del defibrillatore automatico è la gangliostelectomia sinistra per via toracoscopica (intervento chirurgico sui nervi che regolano il battito cardiaco).

Le ricerche in corso permetteranno in futuro di modificare e normalizzare il gene malato.

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Fonte dell’articolo

Bambino Gesù

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