Parliamo di incontinenza safenica: quando e come si opta per la safenectomia?

Per safenectomia si intende letteralmente l’eliminazione della vena safena. Le safene interne ed esterne rappresentano degli importanti collettori del sistema venoso superficiale degli arti inferiori

In particolari condizioni, generalmente in presenza di una condizione di insufficienza venosa più generalizzata, vanno incontro a dilatazione ed incontinenza dei loro meccanismi valvolari, con utilità della loro eliminazione con una delle diverse tecniche attualmente utilizzabili, al fine di ottenere una riduzione delle pressioni venose dell’arto interessato ed una condizione di migliore efficienza dell’intero sistema venoso dell’arto.

Il sistema venoso degli arti inferiori è costituito da tre distretti

  • Il sistema venoso profondo (il più importante, in quanto drena l’80-90% del sangue refluo dall’arto inferiore), protetto dalle fasce muscolari e non visibile dall’esterno.
  • Il sistema venoso superficiale (costituito da vene situate nel tessuto sottocutaneo, visibili dall’esterno); è il distretto in cui si sviluppano le varici.
  • Il sistema delle vene perforanti (costituito da vene che mettono in comunicazione i due sistemi di cui sopra).

In particolare negli assi safenici viene convogliato il sangue da numerosi collettori venosi superficiali, per poi confluire nel sistema venoso profondo. In ogni arto sono presenti un asse safenico interno ed un asse safenico esterno.

La safena interna (detta anche “grande safena”), origina dalla vena marginale interna del piede, decorre lungo la superficie mediale della gamba e della coscia per confluire nella vena femorale a livello della radice dell’arto; la safena esterna (detta anche “piccola safena” per il minor calibro e per la minore lunghezza rispetto alla precedente), origina dalla vena marginale esterna del piede, dalla regione laterale si porta sulla linea mediana posteriore della gamba e confluisce nella vena poplitea a livello della piega poplitea.

Il ritorno venoso dagli arti inferiori verso il cuore, in direzione antigravitaria, avviene per mezzo dell’azione propulsiva delle pareti venose e dei meccanismi di pompa muscolo-plantare attivati durante la deambulazione; le vene sono provviste di meccanismi valvolari atti ad impedire il ritorno del sangue verso il basso per forza di gravità.

Quando, a seguito di una condizione di insufficienza venosa, l’ipertensione venosa nel circolo superficiale, nella fattispecie negli assi safenici, porta ad una dilatazione delle pareti venose e ad una consequenziale insufficienza anche dei meccanismi valvolari, si parla di insufficienza safenica.

È importante sottolineare che l’insufficienza safenica di per sè non è di necessità direttamente correlata alla presenza o meno di varici nell’arto inferiore interessato, essendo possibile osservare un’insufficienza safenica in assenza di varici così come la presenza di varici in assenza di insufficienza safenica; ciò in virtù della complessità dell’emodinamica venosa, dei suoi meccanismi di compenso e della possibilità che le varici possano svilupparsi anche dall’insufficienza di una o più vene perforanti, di gamba o di coscia (i cosiddetti “reflussi brevi”, per distinguerli dai cosiddetti “reflussi lunghi”, di origine safenica).

Le cause dell’insufficienza della safena rientrano nel grande capitolo dell’insufficienza venosa, patologia a carattere cronico, degenerativo ed evolutivo molto frequente nel mondo occidentale.

Si può affermare che nell’ambito di una meiopragia costituzionale del sistema venoso, si inseriscano fattori ambientali ed errate abitudini di vita che portano allo sfiancamento delle pareti venose.

Tra questi assumono particolare rilievo:

  • Eccesso ponderale
  • Sedentarietà
  • Attività lavorativa in ortostatismo statico (molte ore fermi in piede)
  • Eccessive temperature ambientali
  • Eccessive esposizione al sole
  • Assunzione di estroprogestinici orali
  • Squilibri ormonali
  • Gravidanza
  • Diete squilibrate
  • Alterazioni dell’appoggio plantare con insufficienza della pompa muscolo-plantare
  • Calzature che impediscono la corretta funzionalità della pompa muscolo-plantare (tacchi molto alti)
  • Attività sportive incongrue (attività di potenziamento muscolare in ortostatismo statico)

Tra i sintomi più tipici dell’insufficienza safenica si ricordano

  • Edemi degli arti inferiori
  • Gambe stanche e pesanti
  • Parestesie arti inferiori (sensazione di calore diffuso o localizzato)
  • Crampi notturni
  • Irrequietezza degli arti, specialmente a letto (la cosiddetta “sindrome delle gambe senza riposo”)
  • Flebodinia ortostatica (intolleranza alla stazione eretta prolungata)
  • Cruralgia flebostatica (dolore lungo la superficie mediale della coscia durante la stazione eretta)
  • Varici tronculari
  • Varicosi teleangectasica (i cosiddetti “capillari”)
  • Ulcere cutanee su base flebostatica

Diagnosi di insufficienza safenica

La complessità dell’emodinamIca venosa e la necessità di una piena conoscenza dei meccanismi anatomofisioparologici che la regolano fanno sì che davanti ad un quadro di insufficienza venosa complicata da varici ci si debba rivolgere ad uno specialista flebologo, in grado, a seguito di una precisa anamnesi generale e flebologica nonché a seguito di un accurato esame obiettivo, di inquadrare al meglio la patologia venosa del paziente.

Con l’ausilio dell’ecocolordoppler, quale strumento indispensabile ed insostituibile nella diagnostica da vascolare di primo livello, il flebologo procederà ad una precisa mappatura emodinamica delle varici del soggetto, con l’individuazione sia dei cosiddetti “punti di fuga” all’origine delle varici, siano essi reflussi lunghi dagli assi safenici o reflussi brevi dalle vene perforanti, che dei cosiddetti “punti di rientro” dei reflussi nel circolo profondo.

Il tutto al fine di poter effettuare degli interventi mirati e più stabili nel tempo ed evitare l’esecuzione di interventi meno specifici, più aleatori e meno efficaci nel tempo in termini di stabilità dei risultati.

Oltre che dall’ecocolordoppler preziose informazioni diagnostiche provengono dalla fotopletismografia venosa a luce riflessa, metodica semplice e non invasiva che consente di studiare lo svuotamento dinamico delle vene degli arti inferiori ed i tempi di riempimento venoso post-esercizio, in condizioni di base e dopo test funzionali.

Altre metodiche diagnostiche di livello superiore (angioTAC, RMN, fleboscintigrafia, ecc.), vengono utilizzate di rado, e solo in casi altamente selezionati.

Rischi correlati all’incontinenza safenica e valutazione della safenectomia 

Le possibili complicanze dell’insufficienza venosa non adeguatamente trattata, pur non volendo suscitare sterili allarmismi, sono numerose ed alcune potenzialmente fatali.

Si sottolinea come le numerose possibili e gravi complicanze facciano sì che l’insufficienza venosa non possa essere considerata un semplice disturbo o un problema unicamente di carattere estetico, ma meriti controlli specialistici periodici e trattamenti più o meno invasivi nel tempo.

In particolare tra le possibili complicanze rientrano:

  • Edemi degli arti inferiori
  • Trombosi venosi superficiali (varicoflebiti)
  • Trombosi venose profonde
  • Embolie polmonari
  • Varicosi ingravescente
  • Distrofie e discromie cutanee
  • Ulcere cutanee su base flebostatica

Cure e Trattamenti per l’incontinenza safenica

Nelle fasi iniziali dell’insufficienza venosa, in assenza di indicazione a trattamenti invasivi, il trattamento conservativo consente generalmente un buon controllo della sintomatologia ed il rallentamento della evolutività della patologia.

In particolare il trattamento conservativo si basa su poche norme, semplici ma rigorose, quali:

  • Indossare calze elastiche di compressione adeguata, rigorosamente prescritte dallo specialista flebologo curante.
  • Assumere farmaci flebotropi, profibrinolitici e/o integratori alimentari specifici, su prescrizione specialistica.
  • Evitare il sovrappeso.
  • Seguire una dieta specifica, ricca di frutta e verdura fresche, meglio se dietro prescrizione del nutrizionista.
  • Praticare regolarmente attività fisica di tipo aerobico (in particolare nuoto, cammino, nordik walking, corsa, bicicletta).
  • Evitare sportive incongrue (in particolare attività di potenziamento muscolare in ortostatismo statico).
  • Evitare gli estroprogestinici e gli anticoncezionali orali.
  • Evitare le attività lavorative in ortostatismo statico (molte ore fermi in piedi).
  • Evitare pantaloni attillati e/o elasticizzati.
  • Indossare preferibilmente scarpe comode, con 3-4cm. di tacco.
  • Correggere le alterazioni dell’appoggio plantare con compromissione della pompa muscolo-plantare.

Qualora gli accertamenti specialistici abbiano indicato l’eliminazione di uno o più assi safenici di sicura utilità nel miglioramento della sintomatologia e nel rallentamento della evolutività della malattia venosa, le tecniche attuali possono essere suddivise in due gruppi:

  • Le tecniche ablative
  • Le tecniche di occlusione endovascolare

Le tecniche ablative prevedono la chirurgia sensu stricto: la vena safena viene preparata chirurgicamente a livello inguinale o a livello popliteo, e quindi, sulla guida di una specifica sonda vascolare o di un filo robusto che ne percorrono il lume sino al livello distale prescelto, viene asportata in maniera cruenta (“stripping”).

Tale tecnica, molto utilizzata in passato, attualmente è sempre meno utilizzata in ambito specialistico, a favore di tecniche meno cruente e prive degli effetti collaterali e delle complicanze tipiche dello stripping (ematomi, alterazioni della sensibilità cutanea, pigmentazioni residue, tempi di convalescenza prolungati, tempi chirurgici ed anestesiologici più lunghi rispetto alle tecniche endovascolari , ecc.)

Le tecniche di occlusione endovascolare non prevedono l’asportazione cruenta della safena.

Ma la sua occlusione per via endovascolare a seguito di un danno endoteliale di tipo chimico o termico cui segue la tasformazione del vaso in un cordone fibroso che viene progressivamente riassorbito.

Trattasi di tecniche ambulatoriali che generalmente non prevedono incisioni chirurgiche (salvo diverse preferenze dell’operatore) ma unicamente la cateterizzazione del vaso sotto controllo ecografico

In tale ambito le tecniche attualmente utilizzate sono rappresentate da:

  • Scleromousse ecoguidata: viene iniettato un agente sclerosante sotto forma di schiuma per aumentarne il tempo di contatto con la parete del vaso e quindi l’efficacia. L’iniezione della schiuma sclerosante viene effettuata tramite un catetere vascolare, sotto stretto controllo ecografico onde poterne valutare la sua progressione fino alla alla giunzione safenofemorale (o safenopoplitea), ed avere la certezza di una sclerosi completa del vaso
  • Occlusione con cianoacrilato (Super Glue): tramite il catetere vascolare viene iniettato nel lume una colla a base di cianoacrilato, potente adesivo da tempo utilizzato in ambito medico-chirurgico, che chiude immediatamente il lume del vaso; trattasi di una tecnica di origine anglosassone, ancora poco utilizzata in Italia e non ancora introdotta nelle Linee Guida Italiane, ma approvata dalla FDA americana, di cui è prevista una più ampia diffusione in futuro
  • Fototermosclerosi con laser (EVLT): viene introdotta nel lume del vaso una fibra laser che, generando calore, genera un danno di tipo fisico alla parete del vaso, determinandone l’occlusione
  • Termoablazione endovascolare con radiofrequenze (Closure): come nell’utilizzo del laser, viene introdotta nel lume del vaso una sonda, che in questo caso genera calore utilizzando radiofrequenze, con danno di tipo fisico alla parete del vaso, determinandone l’occlusione

Nel merito delle caratteristiche intrinseche dei trattamenti endovascolare, in mani esperte tutti sovrapponibili in termini di efficacia, si ritiene di dover specificare quanto segue:

  • la scleromousse è di semplice esecuzione, rapida ed economica, eseguibile in ambulatorio senza utilizzo di anestesia, facilmente ripetibile;
  • l’occlusione con cianoacrilato richiede un kit particolarmente costoso, è eseguibile in ambulatorio, è di rapida e semplice esecuzione, non richiede anestesia e non è ancora presente nelle Linee Guida Italiane, pur se approvata dalla FDA americana;
  • l’occlusione con laser o radiofrequenze richiede kit monouso costosi, è da eseguire preferibilmente in sala operatoria, necessita di una preparazione più complessa e di anestesia locale.

Tutte le tecniche prevedono l’utilizzo di una contenzione elastica dopo il trattamentoe la rapida ripresa delle usuali attività occupazionali; essendo di efficacia pressoche sobrapponibile, lo specialista flebologo saprà consigliare il trattamento più opportuno in considerazione della propria esperienza e delle caratteristiche individuali del paziente.

Per approfondire

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Fonte dell’articolo

Prof. Marchese – iDoctors

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