Pneumologia, il prof. Vitacca: “Su 5mila pazienti Covid trattati il 40% ricorre a riabilitazione respiratoria”
Riabilitazione respiratoria, il professor Michele Vitacca, Capo del Dipartimento di Pneumologia riabilitativa degli istituti Maugeri (Spa Società Benefit): “Con il virus generata ulteriore richiesta sanitaria che va gestita sul territorio”
I segni che il Sars-Cov-2 lascia sull’organismo a prescindere dal grado della malattia avuta possono durare mesi e avere conseguenze sulla respirazione, le capacità fisiche e la psiche.
Uno stato generale di affaticamento detto anche ‘long Covid‘ che si può recuperare nella maggioranza dei casi in maniera totale grazie alla riabilitazione soprattutto respiratoria.
Riabilitazione respiratoria per pazienti con sindrome long covid: ha approfondito l’argomento il professor Michele Vitacca, Capo del Dipartimento di Pneumologia riabilitativa degli istituti Maugeri (Spa Società Benefit)
– La lezione che più o meno tutti abbiamo assorbito in questo anno e mezzo di pandemia è che il Covid lascia notevoli segni che possono durare mesi e avere conseguenze sulla respirazione e sullo stato psicofisico in generale. Con un programma mirato di riabilitazione l’effetto conosciuto come ‘long Covid’ si può superare? Che casistica ha potuto osservare all’interno del vostro Gruppo?
“Il ‘long Covid’ è il mantenimento oltre le 12 settimane, dal momento dell’infezione, dei sintomi della malattia che sono prevalentemente: la mancanza di fiato sotto sforzo e la fatica generalizzata.
Ci sono tanti altri sintomi ma questi sono i più frequenti. L’attività fisica, la riabilitazione motoria e quella respiratoria ovviamente nei casi meno gravi permettono di migliorare il quadro.
C’è poi una fetta di popolazione pari al 30% dei pazienti in cui è stata necessaria l’ospedalizzazione.
La riabilitazione in particolare potremmo riassumerla in questi casi in 4 pilastri: quella respiratoria mirata al recupero del respiro; quella nutrizionale, quella motoria per il recupero della forza e il recupero delle attività della vita quotidiana.
E poi quella psicologica e neuropsicologica per un recupero totale di tutte le attività lavorative e familiari.
Nella prima, seconda e terza ondata nel network Maugeri abbiamo trattato più di 5mila pazienti.
In particolare e nell’ambito della Pneumologia respiratoria abbiamo valutato più di 350 casi che sono stati seguiti come riabilitazione pari cioè 40% di tutto il totale dei pazienti”.
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– Come si costruisce in questo senso un progetto di riabilitazione respiratoria ed inoltre è possibile proseguire con gli esercizi anche a casa?
“Il programma è individualizzato perché dipende dalla storia clinica del paziente e dal fatto che il soggetto sia stato intubato o meno, dal numero di ore in cui il paziente ha avuto bisogno dell’ossigeno perché questo nonostante i benefici possiede delle controindicazioni.
Un altro problema in questi soggetti e che ha un’altra serie di ricadute da considerare è stato rappresentato dall’embolia polmonare.
Una volta che l’equipe ha fatto il quadro clinico si procede con delle valutazioni di come ‘respira’ il polmone, il livello dell’ossigeno, la forza muscolare, la qualità della vita così da comprendere se esiste per quell’individuo un residuo di disabilità oppure una possibilità di recupero totale delle funzionalità.
Dopo una analisi clinica e strumentale si avvia il progetto riabilitativo individuale vero e proprio basato sui 4 pilastri detti primi.
Gli esercizi riabilitativi sono stati eseguiti nei casi più gravi in ospedale e poi proseguiti anche a domicilio per 20 giorni grazie a teleconsulti.
La sessione di teleriabilitazione è stata seguita tre volte alla settimana da un nostro terapista respiratorio che ha guidato in ogni fase il paziente.
Ad altri pazienti meno gravi nel momento della dimissione abbiamo consigliato di camminare e di eseguire esercizi mirati al recupero della forza.
L’importante è sempre essere seguiti da professionisti certificati”.
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– Quali sono queste figure che entrano in gioco in questo percorso mirato al recupero psico-fisico? Tutti i pazienti recuperano la funzionalità respiratoria o ci sono casi in cui questa è definitivamente compromessa?
“La rieducazione si basa su un team di specialisti che di solito è guidato da un medico che, a seconda della prevalenza del problema per quella persona, può essere uno pneumologo, un neurologo, un cardiologo oppure un fisiatra.
E poi c’è tutto il gruppo di terapisti respiratori, specializzati sulla parte respiratoria e cardiorespiratoria e ancora infermieri, il terapista occupazionale, lo psicologo per valutare l’entità dello stress post traumatico.
È presente anche l’assistente sociale perché a volte la disabilità lasciata dal virus può interessare pazienti anziani o fragili che vivono soli e che possono avere problemi di gestione dopo la dimissione o comunque la malattia.
Non tutti i soggetti inoltre recuperano totalmente le funzionalità.
Vediamo ancora nei nostri ambulatori una fetta di pazienti che si sono positivizzati nella prima ondata e che non hanno ancora recuperato del tutto le loro funzioni.
Credo che un 5 o 10% avrà ancora bisogno di protocolli riabilitativi nei prossimi mesi.
Certo è che ad oggi non sappiamo se queste persone recupereranno del tutto le loro funzionalità o saranno del tutto compromesse”.
– Per tutto ciò che riguarda la riabilitazione respiratoria non-Covid che, purtroppo, ha conosciuto una compressione forte. Come recuperare il tempo perso e dunque come convincere le persone a tornare a curarsi?
“È vero molti pazienti non Covid per molto tempo guidati dalla paura non si sono recati dal loro medico di base, nei Pronto Soccorso o negli ambulatori.
Anche nei nostri Istituti stiamo cercando di recuperare il tempo perso e tutte quelle patologie croniche, che prima della pandemia erano espressione del nostro campo di applicazione e che con la pandemia sono state per ovvi motivi ridotte.
Solo per fare degli esempi c’è stato un crollo di diagnosi e trattamenti del 70% per la bronchite cronica ostruttiva mentre nei pazienti con asma il crollo si è fermato al 60%.
Per fortuna l’attività ambulatoriale non è stata sospesa e ora spero che con la campagna vaccinale che va avanti le persone non abbiano più paura di tornare nelle strutture.
Solo grazie ad una maggiore collaborazione con il territorio possiamo davvero recuperare le diagnosi e i trattamenti persi in questi mesi precedenti.
Questa massa enorme di richiesta ulteriore di sanità che con la pandemia si è generata e incrementata nel post Covid dovrà essere gestita nella maniera più intelligente possibile”.
Per approfondire:
Pediatria, Covid-19 nei bambini: il monitoraggio post-infezione per i problemi respiratori