Shock cardiogeno: cause, sintomi, rischi, diagnosi, terapie, prognosi, morte
Con “shock” in medicina si indica una sindrome, cioè un insieme di sintomi e segni, causata da una ridotta perfusione a livello sistemico con sbilanciamento fra la disponibilità di ossigeno e la sua domanda a livello tessutale
Lo shock viene classificato in due grandi gruppi:
- shock da diminuzione della gittata del cuore: cardiogeno, ostruttivo, ipovolemico emorragico e ipovolemico non emorragico;
- shock distributivo (da diminuzione delle resistenze periferiche totali): settico, allergico (“shock anafilattico”), neurogeno e spinale.
Shock cardiogeno
Lo shock cardiogeno (in inglese “cardiogenic shock”) è dovuto alla riduzione della gittata cardiaca secondaria ad un deficit primitivo della attività di pompa del cuore o conseguente ad aritmie ipercinetiche o ipocinetiche.
La critica depressione della funzione cardiaca determina le modifiche che porteranno ad ipoperfusione periferica associata a ischemia, disfunzione e necrosi cellulare, con alterazione del funzionamento di organi e tessuti che può determinare anche la morte del paziente.
Tale forma di shock complica il 5-15% di tutti gli infarti ed ha una mortalità intraospedaliera molto elevata (circa l’80%).
Una delle possibili classificazioni dello shock cardiogeno è la seguente:
A) Shock cardiogeno miogeno
- da infarto miocardico;
- da cardiomiopatia dilatativa;
B) Shock cardiogeno meccanico
- da insufficienza mitralica grave;
- da difetti del setto interventricolare;
- da stenosi aortica;
- da cardiomiopatia ipertrofica;
C) Shock cardiogeno aritmico
- da aritmia.
Cause e fattori di rischio
Le pressioni ventricolari di riempimento e i volumi risultano aumentati e la pressione arteriosa media ridotta.
Gli eventi seguono questo “cammino”:
- diminuisce la gittata cardiaca;
- diminuisce la pressione sanguigna (ipotensione arteriosa);
- l’ipotensione porta ad una diminuita perfusione ai tessuti (ipoperfusione);
- l’ipoperfusione determina sofferenza ischemica e necrosi del tessuto.
Le cause a monte dello shock cardiogeno, che possono determinare e/o favorire una riduzione della gittata cardiaca, sono:
- infarto miocardico acuto;
- insufficienza cardiaca;
- rottura del setto interventricolare;
- insufficienza mitralica da rottura di corde tendinee;
- infarto del ventricolo destro;
- rottura della parete libera del ventricolo sinistro;
- cardiomiopatie dilatative;
- valvulopatie in stadio terminale;
- disfunzione miocardica da shock settico;
- shock ostruttivo da versamento pericardico;
- tamponamento cardiaco;
- embolia polmonare massiva;
- ipertensione polmonare;
- coartazione dell’aorta;
- cardiomiopatia ipertrofica;
- mixoma (tumore del cuore);
- pneumotorace iperteso;
- shock ipovolemico da emorragia.
Segni e sintomi di uno shock cardiogeno
Le manifestazioni principali di uno shock cardiogeno sono l’ipotensione arteriosa e l’ipoperfusione dei tessuti, che porta a sua volta a vari altri sintomi e segni.
In genere la pressione sistolica (massima) del soggetto diminuisce di 30 o 40 mmHg rispetto a quella che ha di solito.
Possibili segni di shock cardiogeno, sono:
A) a carico del sistema nervoso centrale:
- malessere generale;
- ansia;
- perdita di forze;
- deficit motorio (difficoltà a deambulare, paralisi…);
- deficit sensitivo (vista annebbiata…);
- vertigini;
- perdita dei sensi;
- coma.
B) a carico della cute:
- pallore;
- labbra violacee-bluastre;
- sudore freddo;
- senso di freddo.
C) a carico dell’apparato gastrointestinale:
- ileo paralitico;
- gastrite erosiva;
- pancreatite;
- colecistite alitiasica;
- emorragie gastrointestinali;
- sofferenza epatica.
D) a carico del sangue:
- trombocitopenia;
- CID (coagulazione intravascolare disseminata);
- anemia emolitica microangiopatica;
- alterazioni della coagulazione.
E) a carico dei reni:
- oliguria;
- anuria;
- segni di insufficienza renale acuta.
F) a carico del sistema immunitario:
- alterazione della funzione dei leucociti;
- febbre e brividi (shock settico).
G) a carico del metabolismo:
- iperglicemia (fase iniziale);
- ipertrigliceridemia;
- ipoglicemia (fase avanzata);
- acidosi metabolica;
- ipotermia.
H) a carico dei polmoni:
- dispnea (fame d’aria),
- tachipnea;
- bradipnea;
- ipossiemia.
I) a carico del cuore:
- tachicardia;
- bradicardia;
- debolezza;
- ipotensione arteriosa;
- polso carotideo ridotto;
- vari tipi di aritmia;
- arresto cardiaco.
Le stenosi delle coronarie, che si sono evidenziate durante l’autopsia dei soggetti deceduti per shock irreversibile, colpiscono principalmente il tronco comune dell’arteria coronaria sinistra, che irrora i due/terzi del muscolo cardiaco.
La diagnosi dello shock cardiogeno si basa su vari strumenti, tra cui:
- anamnesi;
- esame obiettivo;
- esami di laboratorio;
- emocromo;
- emogasanalisi;
- TAC;
- coronarografia;
- angiografia polmonare;
- elettrocardiogramma;
- radiografia del torace;
- ecocardiogramma con colordoppler.
Anamnesi ed esame obiettivo sono importanti e devono essere eseguiti molto rapidamente
In caso di paziente senza conoscenza, l’anamnesi si può servire dell’aiuto dei familiari o di amici, se presenti.
All’esame obiettivo il soggetto con shock si presenta spesso pallido, con la cute fredda e umida, tachicardico, con polso carotideo ridotto, con funzionalità renale alterata (oliguria) e con lo stato di coscienza compromesso.
Durante la diagnosi, servirà assicurare la pervietà delle vie aeree nei pazienti con turbe alla coscienza, mettere il soggetto in posizione antishock (supina), coprire l’infortunato, senza farlo sudare, per prevenire lipotimia e quindi un ulteriore aggravamento delle stato di shock.
Nello shock cardiogeno si verifica questa situazione:
- precarico: aumenta;
- postcarico: aumenta per via riflessa;
- contrattilità: diminuita;
- satO2 venosa centrale: diminuita;
- concentrazione Hb: normale;
- diuresi: diminuita;
- resistenze periferiche: aumentate;
- sensorio: normale o stato confusionale.
Ricordiamo al lettore che la gittata sistolica dipende per la legge di Starling dal precarico, dal postcarico e dalla contrattilità del cuore che possono essere monitorati a livello clinico in maniera indiretta con varie metodiche:
- precarico: misurando la pressione venosa centrale tramite l’uso del catetere di Swan-Ganz, tenendo ben presente che questa variabile non è in funzione lineare col precarico, ma questo dipende anche dalla rigidità delle pareti del ventricolo destro;
- postcarico: misurando la pressione arteriosa sistemica (in particolare la diastolica, cioè la “minima”);
contrattilità: tramite ecocardiogramma o scintigrafia miocardica.
Gli altri parametri importanti in caso di shock si controllano tramite:
- emoglobina: tramite emocromo;
- saturazione di ossigeno: tramite un saturimetro per il valore sistemico e tramite prelievo apposito dal catetere venoso centrale per la saturazione venosa (la differenza col valore arterioso indica del consumo di ossigeno da parte dei tessuti)
- pressione arteriosa di ossigeno: tramite l’emogasanalisi;
diuresi: catetere vescicale.
Durante la diagnosi di osserva il paziente in maniera continua, per controllare come evolve la situazione tenendo sempre a mente la “regola ABC“, cioè controllando:
- pervietà delle vie aeree;
- presenza di respiro;
- presenza di circolo.
Tali tre fattori sono vitali per la sopravvivenza del paziente, e devono essere controllate -ed eventualmente ristabilite – in quest’ordine.
Evoluzione
Avviatosi il processo scatenante la sindrome, l’ipoperfusione dei tessuti porta ad una disfunzione multiorgano, che aumenta e peggiora lo stato di shock: diverse sostanze vengono riversate nel torrente circolatorio dai vasocostrittori come le catecolamine, a varie chinine, istamina, serotonina, prostaglandine, radicali liberi, attivazione del sistema del complemento e fattore di necrosi tumorale.
Tutte queste sostanze non fanno altro che danneggiare gli organi vitali come rene, cuore, fegato, polmone, intestino, pancreas e cervello.
Un grave shock cardiogeno non trattato tempestivamente ha prognosi sfavorevole, potendo determinare coma irreversibile e decesso del paziente.
Decorso di uno shock cardiogeno
In uno shock si possono generalmente identificare tre diverse fasi:
- fase iniziale compensatoria: la depressione cardiocircolatoria si aggrava e l’organismo fa partire meccanismi di compenso mediati da sistema nervoso simpatico, catecolamine e produzioni di fattori locali, come le citochine. La fase iniziale è più facilmente trattabile. La diagnosi precoce porta a prognosi migliore, tuttavia è spesso ardua visto che in questa fase i sintomi e segni possono essere sfumati o aspecifici;
- fase di progressione: i meccanismi di compenso divengono inefficaci e il deficit di perfusione agli organi vitali si aggrava rapidamente, provocando gravi squilibri fisiopatologici con ischemia, danno cellulare ed accumulo di sostanze vasoattive. La vasodilatazione con l’aumento della permeabilità tissutale può portare sino alla coagulazione intravascolare disseminata. A tal proposito, leggi: Coagulazione intravascolare disseminata (CID): cause e terapie
- fase di irreversibilità: è la fase più grave, dove sintomi e segni marcati facilitano la diagnosi che però, eseguita in questa fase, porta spesso ad eseguire terapie inefficaci e prognosi sfavorevole. Si può verificare coma irreversibile e riduzione della funzione cardiaca sino all’arresto cardiaco ed al decesso del paziente.
Terapia: nei pazienti con shock cardiogeno il trattamento è spesso molto complesso
Il trattamento verso le aritmie è rappresentato dalla cardioversione elettrica sincronizzata nelle situazioni di tachiaritmia e dal pacing transcutaneo o dalla infusione di isoprenalina nelle bradiaritmie.
Il deficit di pompa dovuto a cardiopatia strutturale, necrosi/ischemia, cardiopatia dilatativa, miocardiopatie richiede la infusione di amine (dobutamina o dopamina) e, in presenza di infarto miocardico, la riapertura meccanica della coronaria occlusa tramite angioplastica.
Alla stabilizzazione clinica iniziale, fa seguito una monitorizzazione con catetere di Swan-Ganz, che permetterà attraverso la verifica della gittata cardiaca e delle pressioni di incuneamento polmonari, di modulare la somministrazione dei farmaci in base alle risposte emodinamiche.
Terapia farmacologica
L’utilizzo di sostanze vasodilatanti quali il nitroprussiato di sodio e la nitroglicerina possono trovare impiego nelle forme con funzione sistolica depressa o infarto del miocardio.
Nella maggioranza dei casi vengono però impiegate sostanze simpaticomimetiche, come la dopamina e la dobutamina, che supportando la pressione arteriosa permettono di migliorare la perfusione degli organi e ridurre così le resistenze periferiche, riducendo la produzione di sostanze vasocostritrici locali.
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Contropulsatore aortico
Il supporto meccanico che può fornire l’utilizzo del contropulsatore aortico, viene utilizzato nelle forme che coinvolgono il muscolo cardiaco colpito da ischemia: insufficienza mitralica acuta e difetto interventricolare da rottura ischemica. Tale supporto permette una soluzione ponte, che permetterà di arrivare all’intervento chirurgico nelle condizioni migliori.
Terapia chirurgica
L’intervento chirurgico è d’obbligo nei difetti meccanici, come riferito, e si beneficiano di periodi di latenza brevi fra l’avvio della terapia medica e l’eventuale supporto meccanico.
Prognosi
La patologia ha purtroppo una prognosi sfavorevole in quasi l’80% dei casi ospedalieri non trattati (in alcuni casi questo dato si avvicina al 100%).
La prognosi migliora con diagnosi e trattamento intrapresi in modo rapidissimo.
E’ importante in particolare stabilizzare il paziente con le terapie iniziali, in modo da avere il tempo per l’esecuzione di esami diagnostici più specifici e terapie più specifiche.
Sopravvivenza
In caso di shock cardiogeno, la sopravvivenza a tre anni dalla diagnosi è di circa il 40%, il che significa da su 10 pazienti colpiti da shock cardiogeno, dopo 3 anni dalla diagnosi della patologia sono ancora vivi in 4.
Cosa fare?
Se sospettate che qualcuno stia avendo uno shock, contattate il Numero Unico per le Emergenze 112.
Nel frattempo ponete il soggetto in posizione antishock, o posizione di Trendelenburg, che si realizza ponendo l’infortunato disteso al suolo, in posizione supina, inclinato di 20-30° con il capo a terra senza cuscino, con il bacino leggermente rialzato (per esempio con un cuscino) e gli arti inferiori sollevati.
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