Stato di minima coscienza: evoluzione, risveglio, riabilitazione
Con “stato di minima coscienza” (anche chiamato “stato minimamente cosciente“) si indica in medicina uno stato di coscienza alterato definito da comportamenti minimi che dimostrano una consapevolezza di sé e/o dell’ambiente, seppur minori rispetto al normale
Diffusione dello stato di minima coscienza
In Italia si stima che attualmente siano circa 4000 i pazienti in stato vegetativo ed in stato di minima coscienza, divisi tra strutture RSA e domiciliari.
L’incidenza dello stato vegetativo è stimata in 0.7-1.1/100.000 abitanti; la prevalenza è di 2-3/100.000 abitanti.
Circa un terzo degli stati vegetativi è di origine traumatica.
Dei 2/3 di origine non traumatica (ictus cerebrale ischemico o emorragico, encefalite, anossia) quasi il 50% è costituito dalle anossie cerebrali.
Cos’è la coscienza?
Da quando l’uomo ha iniziato a ragionare su sé stesso, la risposte a tale domanda sono state le più disparate, a seconda dell’ambito, ad esempio religioso o filosofico.
Neurologicamente parlando, la coscienza è quella componente dell’essere umano caratterizzata da due porzioni:
- vigilanza: è caratterizzata da uno stato di veglia che non necessariamente è associata alla consapevolezza di ciò che accade nel mondo che ci circonda;
- consapevolezza: consiste nella consapevolezza del mondo che ci circonda e, nella condizione più evoluta, del proprio essere.
Nel soggetto sano (persona con stato di coscienza completa) entrambe le componenti sono normali, mentre nel paziente in stato di minima coscienza tali componenti sono alterati ed incostanti temporalmente: la consapevolezza può risultare fluttuante nel corso della giornata.
Uno stato di minima coscienza condizione può essere di due tipi:
- stato di minima coscienza acuto: più facilmente reversibile;
- stato di minima coscienza cronica: difficilmente il paziente può tornare ad uno stato di piena coscienza.
Cause dello stato di minima coscienza
Tra le cause più diffuse ricordiamo ictus cerebrali e traumi a livello cerebrale che hanno determinato coma, di cui lo stato di minima coscienza può rappresentare l’evoluzione.
I correlati anatomici della coscienza si identificano con:
- la sostanza reticolare ascendente, responsabile soprattutto del livello di coscienza;
- gli emisferi encefalici, funzioni cognitive superiori e sede del contenuto.
Qualsiasi noxa fisico – chimica che interessi direttamente o indirettamente tali strutture è in grado di causare il coma e la successiva possibile evoluzione in stato vegetativo o di minima coscienza.
Coma, stato vegetativo e stato di minima coscienza
Lo stato di minima coscienza viene considerato una possibile evoluzione dello stato comatoso, in alternativa allo stato vegetativo, oppure come possibile evoluzione di uno stato vegetativo.
Generalmente stato vegetativo o di minima coscienza compaiono dopo circa 30 giorni dall’inizio del coma, tuttavia questa non è affatto una regola fissa.
In letteratura scientifica è sempre stato molto discussa la definizione esatta del termine, soprattutto visti gli aspetti in comune con lo stato vegetativo, con il quale evidenzia differenze minime, che però diventano importanti in sede di prognosi (migliore nello stato di coscienza minimo rispetto allo stato vegetativo) e nel trattamento da seguire, inoltre rispetto allo stato vegetativo le risposte del soggetto con stato di minima coscienza al trattamento sono mediamente migliori.
Dallo stato vegetativo a quello di minima coscienza: la Coma Recovery Scale-Revised (CRS-R)
Distinguere lo stato di minima coscienza dallo stato vegetativo è fondamentale per pianificare una progetto riabilitativo personalizzato orientato al massimo recupero funzionale possibile, nonostante la grave lesione cerebrale.
La valutazione del passaggio allo stato di minima coscienza è svolta dai professionisti del team multidisciplinare che segue il paziente, per i quali è fondamentale parlare un linguaggio comune, cioè utilizzare strumenti di valutazione condivisi e di definita interpretazione.
Tra i più diffusi c’è la Coma Recovery Scale-Revised (CRS-R), codificata negli USA da oltre un decennio, da alcuni anni disponibile anche nella versione italiana, approvata dalla SIMFER (Società italiana di Medicina fisica e riabilitativa) e dalla SIRN (Società italiana di Riabilitazione neurologica).
Caratteristiche del paziente con stato di minima coscienza
Il soggetto con responsività minima:
- ha gli occhi aperti spontaneamente o – se li tiene chiudi – li apre se stimolato opportunamente;
- guarda in faccia l’esaminatore;
- segue con lo sguardo uno stimolo visivo (ad esempio una luce);
- generalmente non parla o emette suoni non significativi;
- può dare risposte intenzionali dopo ordine verbale semplice o su imitazione, ad esempio stringere la mano, muovere un dito;
- può compiere semplici movimenti finalistici inclusi movimenti o comportamenti affettivi generalmente ha la capacità di deglutire o – se l’ha persa – ha potenzialmente la capacità di riacquisirla.
Diagnosi
La diagnosi è possibile tramite visita medica (anamnesi ed esame obiettivo).
Inoltre è possibile valutare attraverso la risonanza magnetica funzionale la risposta del soggetto a richiami familiari, come il chiamarlo per nome.
Terapia nello stato di minima coscienza
Nello stato di minima coscienza, oltre all’eventuale danno a livello cerebrale che ha determinato il coma, si evidenzia una deficienza di dopamina, un neurotrasmettitore importante per il sistema nervoso.
Attualmente si stanno sperimentando alcuni farmaci quali agonisti del recettore della dopamina.
In uno studio promettente del 2009 su un solo paziente Fridman et al. hanno dimostrato come tramite una somministrazione di apomorfina, un agonista della dopamina, il paziente riacquisì la capacità di muovere gli arti su richiesta e di rispondere si/no a domande, cosa che non riusciva a fare prima della somministrazione di apomorfina.
Successivamente ci fu un recupero completo delle funzioni della coscienza e un recupero sostanziale delle capacità funzionali, sostenuta anche dopo la discontinuazione di somministrazione di apomorfina.
Alla dose massima si osservò una lieve discinesia (alterazioni del movimento come rigidità, difficoltà a iniziare il movimento, rallentamento motorio e movimenti involontari e/o eccessivi).
Tra i ricercatori è attualmente discussa la somministrazione cronica di sostanze analgesiche, in quanto essendo loro rimasto un minimo di coscienza, tali pazienti potrebbero provare dolore.
Stato di minima coscienza: evoluzione e prognosi
Difficilmente i pazienti in stato di minima coscienza cronica possono avere grandi miglioramenti nel tempo, al contrario di quelli in stato di minima coscienza acuta che possono effettivamente tornare ad una condizione vicina alla normalità.
Purtroppo è veramente difficile fare delle previsioni su quella che potrebbe l’evoluzione di un paziente in stato di minima coscienza: in molti casi i danni sono irreversibili, ma in letteratura è stato seguito un caso che si è “risvegliato” dopo molti anni dal trauma (Terry Wallis).
Elementi peggiorativi della prognosi sono:
- elevata febbre;
- lesioni da decubito;
- precedenti interventi di tracheotomia;
- infezioni ricorrenti;
- disabilità iniziali (prima dell’evento);
- cattivo stato di salute generale del paziente (ad esempio iperteso, obeso o diabetico);
- età avanzata del paziente.
Elementi migliorativi della prognosi sono:
- amore e calore di amici e parenti del malato;
- mobilizzazione passiva del malato;
- assenza di lesioni da decubito;
- controllo medico assiduo;
- assenza di disabilità iniziali (prima dell’evento);
- buono stato di salute generale del paziente (normoteso, normopeso, in forma);
- età minore del paziente.
Nei pazienti con stato di minima coscienza, pur in presenza di una rudimentale ripresa della coscienza, persistono gravi deficit cognitivi e motori con impossibilità a svolgere attività della vita quotidiana, a comunicare in modo adeguato e a dare un consenso al trattamento.
L’incontinenza sfinterica e l’alimentazione generalmente somministrata mediante sonda implicano la completa dipendenza di questi pazienti dai familiari.
Il paziente acuto che torna in condizioni di stato di coscienza totale o parziale, può migliorare dal punto di vista fisico grazie a specifici interventi riabilitativi.
La rianimazione e la terapia Intensiva nella fase acuta del danno cerebrale sono estremamente importanti per la prognosi e rappresentano a tutti gli effetti la prima fase della riabilitazione del traumatizzato cranico e l’incidenza e la gravità dei problemi tardivi dipendono in gran parte dalle scelte terapeutiche precoci.
Trattamento e riabilitazione
L’approccio riabilitativo del team fisiatrico-fisioterapico-infermieristico deve per prima cosa comprendere la valutazione del danno cerebrale individuandone attraverso diversi esami strumentali il tipo, l’entità e la sede, evidenziando quindi ematomi intra ed extracerebrali, rammollimenti cerebrali, edema con conseguente ipertensione endocranica ed erniazioni transtentoriali.
Ogni trattamento riabilitativo deve circoscrivere il danno primario, impedendone l’estensione ad aree funzionali vicine o dipendenti, prevenire il danno secondario, impedire quello terziario, diminuire il potenziale patologico ed esaltare il potenziale di salute e deve inoltre necessariamente comprendere non solo il paziente, ma anche l’ambiente sanitario, l’ambiente familiare e sociale.
Nella fase acuta il trattamento deve essere rivolto a favorire il risveglio con:
- stimoli sensitivi e sensoriali prima elementari e poi più sofisticati in relazione alla personalità premorbosa del paziente;
- tecniche di facilitazione neuromuscolare, che attraverso la stimolazione di estero e propriocettori realizzano in via riflessa le condizioni per facilitare od inibire la contrazione di determinati gruppi muscolari;
- posture corrette, corretti cambiamenti di postura e movimenti corretti.
A tale scopo si ritiene utile procedere al trattamento riabilitativo attraverso tecniche tendenti ad evocare al massimo i potenziali residui per un migliore adattamento dell’individuo a sé ed al mondo.
Si possono pertanto ottenere progressi impensabili attraverso la plasticità del sistema nervoso centrale rimasto ancora integro.
Tuttavia questo è possibile solo se l’ambiente è precocemente, riccamente e adeguatamente stimolante.
Lo scopo del trattamento si basa sulla ricostruzione delle integrità funzionali cervello – ambiente per mezzo di stimoli ambientali corretti, intensi, continuativi e frequenti, atti ad evocare tutte le potenzialità di sviluppo del paziente, a partire dal livello funzionale residuo all’evento traumatico nel diversi settori in modo che le sue attività senso motorie siano sempre controllate, arricchite ed adeguate.
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