Terapia farmacologica per la cura dell'ipertensione arteriosa

La terapia contro l’ipertensione è l’unica via per “abbattere” questo pericoloso fattore di rischio cerebro-cardio-reno-vascolare che colpisce tutte le età, dal 10% dei bambini e ragazzi, al 30% degli adulti, sino al 55% della popolazione anziana

Stili di vita e terapie contro l’ipertensione

Dopo un periodo più o meno lungo di provvedimenti igienico-alimentari (attività fisica e dieta appropriata) e qualora la pressione arteriosa dovesse rimanere elevata (≥120/80 mmHg, secondo le ultime Linee Guida) diventa imperativo ed opportuno che l’iperteso, su consiglio del suo medico, inizi un trattamento farmacologico.

Questo deve essere articolato con una o più sostanze delle sei classi farmacologiche disponibili.

I meccanismi con cui i farmaci riducono i valori pressori sono diversi, ma tutti, con un effetto finale vasodilatante, tendono a diminuire la caratteristica vasocostrizione dello stato ipertensivo cronico.

Una sostanza antipertensiva riduce lentamente nell’arco di 10-15 giorni la pressione arteriosa dell’8-10% circa, percentuale che aumenta quando si associano più farmaci.

Tali prodotti, infatti, all’infuori di pochi farmaci, sono stati studiati per dare un effetto lento e per evitare brusche, inutili e dannose riduzioni pressorie.

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Il trattamento antipertensivo in genere va “costruito ed adattato” in diverse visite e il più delle volte si realizza con piccole dosi di più prodotti (associazioni farmacologiche) al fine di limitare le complicanze ed utilizzare nel contempo più azioni farmacologiche con attività addizionale, spesso sinergica, comunque correttiva di eventuali effetti collaterali.

Questo implica ovviamente di dover effettuare differenti “tentativi” per ricercare quel farmaco o quell’associazione farmacologica più adatta o meglio specifica per il soggetto.

Il medico deve stabilire le sostanze che potrà assumere quell’iperteso (terapia personalizzata), preferibilmente sarà sempre lo stesso medico a decidere se e quando sostituire i farmaci in corso di trattamento, ovviamente con una motivazione.

Terapia antipertensiva ed effetti collaterali

L’iperteso prima di iniziare ad assumere i farmaci non accusa alcun malessere (la pressione elevata non induce disturbi e se il paziente dovesse averne sono di altro genere, come ad esempio una cefalea emicranica), mentre una volta cominciato il trattamento farmacologico potrebbe riferire alcuni fastidi (effetti collaterali).

In tali casi il paziente è portato ad interrompere di sua iniziativa l’assunzione delle pillole o delle compresse con la conseguenza di ri-avere dopo poco tempo valori pressori elevati.

La sospensione della terapia, anche per pochi giorni, potrebbe indurre un effetto cosiddetto di “rimbalzo” (almeno con alcuni farmaci) consistente in un rialzo pressorio improvviso, cui alcuni organismi non sarebbero in grado di far fronte con la comparsa di un danno d’organo.

Pertanto, prima di decidere l’interruzione farmacologica, pure quando insorgono noiosi effetti collaterali, è sempre opportuno consultare un medico, preferendo lo stesso che ha diagnosticato la condizione ipertensiva, che ha consigliato la cura, che conosce il paziente con le sue caratteristiche psico-fisiche. In questa fase è importante il ruolo del medico per “rassicurare” il paziente a non sospendere i farmaci e per ricordargli che il più delle volte gli effetti collaterali regrediscono con il proseguimento del trattamento.

Un eccellente metodo, nell’ambito di un buon rapporto medico-paziente, è quello di spiegare al paziente l’azione dei farmaci, gli eventuali effetti collaterali e la motivazione della richiesta di indagini.

In particolare, si devono porre all’attenzione del paziente le problematiche legate al livello di ipertensione, sia con i possibili danni ancora sub-clinici o asintomatici come una o più placche aterosclerotiche nel sistema carotideo, sia con la presenza di complicanze clinicamente evidenti.

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Qualora ci fosse necessità di una sospensione il medico sicuramente modificherà con logica le dosi dei farmaci assunti, oppure li sostituirà con altri che ritiene più favorevoli.

Il cambiamento dovrà essere effettuato con molto tatto, perché a volte il paziente lo può percepisce con “sospetto”.

Una regola risoluta è quella di ridurre gradualmente i valori pressori elevati trasmettendo nel contempo al paziente sicurezza, con copiose spiegazioni orientate a “fargli conoscere la sua pressione arteriosa”.

Per approfondire:

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