Trasfusione di piastrine ed emorragia intracranica
La terapia anti-aggregante è ampiamente diffusa. Siamo abituati a pensare che sia sicura ma ci sono alcune situazioni nelle quali il livello di attenzione dovrebbe alto: una di queste è l’emorragia cerebrale. Cosa fare? Esistono manovre terapeutiche in grado di migliorare l’outcome?
La terapia con anti-aggreganti (AA) peggiora la prognosi in caso di emorragia cerebrale spontanea, aumentando il rischio di morte del 27%, come dimostrato da un’ampia meta-analisi di Thompson e colleghi (basata sui risultati di circa 25 studi per un totale di circa 9900 pazienti); diversamente, l’impatto sul recupero funzionale è meno chiaro.
I dati:
I dati riguardanti l’emorragia cerebrale post-traumatica sono più conflittuali: Batchelor e colleghi, autori di una meta-analisi del 2013, non sono riusciti a dimostrare alcun impatto sulla mortalità (l’OR per la mortalità era pari a 2,4 nei pazienti in ASA e a 1,55 in clopidogrel, in entrambe i casi non statisticamente significativo). Al contrario Peck e colleghi, in una coorte di pazienti anziani, hanno riportato un marcato incremento della mortalità (OR 3,09, I.C. 95% 1,03 – 9,23) nei pazienti in terapia anti-aggregante (esclusa l’aspirina).
Sebbene le evidenze siano un po’ contrastanti, ci sono alcuni segnali di un potenziale effetto negativo sulla prognosi della terapia AA; per questo, in alcuni Centri è codificato l’impiego della trasfusione di piastrine per limitare i danni derivanti dall’inibizione piastrinica. Cosa dice la letteratura?
Trasfusione di piastrine nel paziente con emorragia cerebrale in terapia anti-aggregante: quale razionale?
L’aspirina, come ben sappiamo, inibisce l’aggregazione piastrinica (per dosi giornaliere comprese tra 75 e 325 mg) attraverso il blocco irreversibile della produzione di trombossano A1 operato dalla ciclo-ossigenasi 1 nelle piastrine. Le tienopiridine (tipo ticlopidina e clopidogrel) bloccano il recettore P2Y12 piastrinico, la cui attivazione è essenziale per l’avvio del processo di aggregazione.
In entrambe i casi l’inibizione è permanente e, dato che le piastrine non sintetizzano proteine, l’effetto del farmaco persiste per il loro intero ciclo vitale, pari a circa 7-10 giorni: in quest’ottica, non esistendo alcun antidoto specifico, la trasfusione di piastrine non inibite da anti-aggreganti potrebbe avere un effetto positivo sulla diatesi pro-trombotica.
Ma è proprio vero? La ricerca di una risposta a questo interrogativo ci spinge ad addentrarci in una selva di evidenze piuttosto intricata. Nel complesso si può dire che la trasfusione è efficace per antagonizzare l’effetto dell’ASA (Bachelani 2011, Briggs 2014, Hansson 2014), anche se secondo alcuni tale vantaggio non si avrebbe per dosaggi elevati (325 mg) (Jospeh 2013). Per quanto riguarda il clopidogrel l’efficacia, se presente, sarebbe molto minore (Hansson 2014).
La trasfusione di piastrine nel paziente con emorragia cerebrale: impatto clinico.
Veniamo al dunque: qual’è l’impatto delle trasfusioni sulla mortalità? Due revisioni sistematiche del 2012 hanno tentato di fare chiarezza sull’argomento: quella di Batchelor (1) prendeva in considerazione sia emorragie intra-craniche spontanee che post-traumatiche mentre quella di Nishijima (2) solo le seconde. I risultati sono sintetizzati nelle tabelle sottostanti: