Ucraina, da incubi a irritabilità: ecco segnali stress post traumatico nei bambini
Bambini dell’Ucraina e stress post traumatico: incubi notturni ricorrenti, flashback, difficoltà a ricordare alcuni momenti, forte irritabilità e poi malessere fisico
Sono alcuni dei segnali indicativi di un disturbo da stress post traumatico che si potrebbero riscontrare nei bambini che arrivano in Italia, in fuga dalla guerra in Ucraina
In questa prima fase “è difficile capire quanto questi bimbi possano essere traumatizzati, molto dipende da quanto è riuscito a essere protettivo l’ambiente che è stato creato intorno a loro.
Certo dei segnali possono esserci e vanno individuati”.
Così Marco Mazzetti, pediatra, psichiatra e presidente della Società italiana di medicina delle migrazioni (Simm).
Bambini dall’Ucraina: innanzitutto i cosiddetti ‘sintomi intrusivi’
“I bambini possono avere incubi notturni ricorrenti in cui rivivono gli eventi traumatici, ad esempio i bombardamenti- spiega lo psichiatra- ma anche sogni spaventosi di cui al risveglio i piccoli non ricordano il contenuto”.
Si possono poi avere “ricordi traumatici che vengono alla memoria frequentemente contro la propria volontà, a volte- spiega Mazzetti- sotto forma di flashback, ossia la sensazione di rivivere i momenti del trauma, anche in condizioni di veglia.
In questi casi i bambini possono mostrare delle dissociazioni, diventano come assenti, con lo sguardo nel vuoto, come lontani dalla realtà presente perché sono ‘altrove’ a vivere l’esperienza traumatica”.
I pensieri intrusivi possono essere sospettati anche “quando i bambini tendono a fare giochi che ripetono l’esperienza traumatica- dice il Presidente Simm-..
Per esempio se giocano a fare i bombardamenti. Sono dei tentativi piccoli e istintivi di superare da soli il trauma vissuto”.
A volte, inoltre, possono anche manifestare malesseri fisici come tachicardia, nausea, forte mal di testa, in risposta a stimoli che in qualche modo ricordano il trauma.
“Ci sono poi un gruppo di sintomi che chiamiamo ‘da evitamento’- spiega ancora Mazzetti- ossia i bambini si sforzano di evitare i ricordi connessi al trauma, dicono che non ci vogliono pensare.
È uno dei problemi frequenti della psicotraumatologia- dice l’esperto- è come se le persone usassero metà della loro attività psichica per ricordare involontariamente l’evento traumatico e l’altra metà, invece, per cercare volontariamente di combatterlo.
Questa condizione in cui metà della mente combatte contro l’altra metà crea una sorta di ‘paralisi’ per cui le persone non hanno più energie mentali per fare altro”.
Una condizione “che osserviamo, a volte, nelle persone che arrivano da luoghi di guerra- racconta Mazzetti- e un indicatore di un disturbo da stress post traumatico che si è cronicizzato può essere, per esempio, il fatto di non riuscire a imparare la lingua anche dopo mesi di permanenza in Italia, perché la loro mente è come imprigionata dal ricordo del trauma”.
Altri segni del disturbo possono essere poi il fatto che “le persone tendono ad evitare le situazioni che in qualche modo ricordano loro il trauma.
Se per esempio erano all’aperto nel momento del bombardamento, non vogliono più uscire di casa perché questo gli ricorda la situazione traumatica”.
Mazzetti spiega poi che chi vive un disturbo da stress post traumatico “può avere difficoltà a ricordare alcuni momenti specifici del trauma, come se la mente li avesse cancellati.
In quei momenti, inoltre, si fissano inconsciamente nella mente delle convinzioni negative su sé stessi, sugli altri, sul mondo e fin quando queste non vengono trattate o elaborate, possono influenzare pesantemente la vita delle vittime.
Convinzioni come ‘sono sempre in pericolo’ o ‘non posso contare su nessuno’ fanno sì che le persone possano prendere un’attitudine molto timorosa e si ritirino dalle relazioni umane”.
L’ iperarousal nei bambini che giungono dall’Ucraina
Infine “ci sono i segnali di uno stato di allarme di base molto aumentato, che noi chiamiamo iperarousal- dice Mazzetti- nei bambini possiamo sospettare qualcosa di questo genere quando li vediamo particolarmente irritabili, quando si arrabbiano facilmente e magari aggrediscono gli altri”.
La nota di speranza è “che noi esseri umani siamo fatti bene e abbiamo una grande capacità di riprenderci dagli eventi negativi della vita: anche dalla gran parte dei traumi veniamo fuori bene.
Ma alcuni non ci riescono, e hanno bisogno di aiuto.
Quindi è fondamentale- ribadisce Mazzetti- che per i bambini ucraini e le loro famiglie nel momento in cui arrivano in Italia, ci sia un’accoglienza attenta, accurata e professionale”.
In particolare Mazzetti sottolinea: “A questi bimbi vanno garantiti ambienti accoglienti, rassicuranti e riservati.
Loro, così come gli adulti che li accompagnano, hanno bisogno di sentirsi in un luogo protetto.
Per questo, insieme ad altre associazioni, stiamo sollecitando il governo affinché scelga, per accoglierli, di potenziare il sistema di accoglienza ordinario dei richiedenti asilo, il Sai, un sistema fatto essenzialmente di quella che chiamiamo ‘accoglienza diffusa’, in genere piccoli appartamenti, invece del sistema straordinario, fatto di Centri accoglienza straordinaria che sono spesso strutture grandi e non di rado rumorose e anche caotiche”, sottolinea Mazzetti.
“I bambini che vengono da un Paese in guerra- continua- hanno bisogno di ricreare il prima possibile un’atmosfera protetta, tranquilla, domestica, in cui potersi rilassare”.
Non solo. “Hanno bisogno di un’accoglienza professionalizzata- sottolinea il medico- per questo è necessario che al loro arrivo sia prevista la presenza, per esempio, di educatori competenti che sappiano offrirsi come figure di protezione e accudimento, figure rassicuranti che possano aiutare anche le mamme, le nonne o le zie che li accompagnano, adulti che possono essere a loro volta in difficoltà”.
Mazzetti, che è stato anche un medico cooperante, spiega infatti che provenendo da scenari di guerra “intere famiglie sono traumatizzate.
Mamme, zie, nonne con cui scappano i bambini sono donne preoccupate per aver lasciato i mariti in guerra, sconvolte dai bombardamenti e dall’aver dovuto abbandonare in fretta e furia le proprie case.
Sono persone che trovandosi a loro volta in un grave stato di ansia possono non riuscire ad accudire bene i bambini- conclude lo psichiatra- e dunque è necessario che siano aiutate da professionisti”.
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