Infermieri, triage e omicidio colposo: qual è la responsabilità penale per l'assegnazione di un codice errato?
Un codice sbagliato equivale all’omicidio colposo? Riprendiamo una interessante pubblicazione di CIVES FIRENZE che analizza una sentenza della Cassazione penale, sezione IV, del 19 marzo 2015 in cui due gradi di giudizio danno giudizi opposti sulle responsabilità di due infermieri di triage. Mentre la Cassazione – infine – annulla la prima sentenza e rigetta i ricorsi.
Il Tribunale dichiarava due infermieri, R. ed N., addetti al triage presso il Pronto Soccorso di una clinica, responsabili del reato di omicidio colposo in danno di un paziente, deceduto per sindrome coronarica acuta. Il Tribunale disponeva, altresì, il risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili, alle quali attribuiva una somma a titolo di provvisionale.
Alla R. era addebitato di aver assegnato al paziente un codice verde nonostante lamentasse dolore toracico atipico, di aver omesso di monitorare le variazioni delle condizioni del paziente ogni 30-60 minuti e di non avere segnalato all’infermiere che la sostituiva, al momento del passaggio di consegne, la presenza di un paziente con dolore toracico in sala di attesa. Al secondo imputato era addebitato di non aver ripetuto il monitoraggio del paziente in sala di attesa ogni 30-60 minuti.
In fatto era accaduto che un uomo, senza precedenti clinici di rilievo, era stato accettato presso il Pronto Soccorso alle ore 18.43 con algia sternale. Sottoposto al triage (iniziale valutazione) da parte del personale infermieristico, gli veniva assegnato il codice verde ed era inviato in sala d’attesa, dove, seduto sulla sedia da circa sei ore, alle ore 00.30 si era accasciato improvvisamente per arresto cardiaco. Sottoposto ad angioplastica coronarica, era deceduto a seguito di progressive complicanze.
Sulla scorta dei sintomi manifestati dal paziente e delle risultanze istocrinologiche, indicative di inizio d’infarto almeno 6-8 ore prima del suo decesso, il Tribunale riteneva che all’arrivo al Pronto Soccorso l’infarto miocardico acuto fosse già iniziato e che una diagnosi tempestiva avrebbe consentito di eseguire lo stesso intervento con esito differente. Riconosceva, pertanto, la sussistenza del nesso di causalità tra l’omissione e l’evento.
Rilevava il Tribunale che un primo profilo di colpa era ravvisabile nell’erronea assegnazione del codice verde. Osservava che, ancorché il protocollo presso il Pronto Soccorso della clinica non prevedesse l’esecuzione di un ECG, il paziente aveva in ogni caso manifestato una sintomatologia degna di considerazione che, anche in ragione dell’età del soggetto, meritava l’attribuzione del codice giallo.
Evidenziava, altresì, altro profilo di colpa, consistente nel non aver proceduto, dopo la prima attribuzione, al monitoraggio della situazione, come previsto nel protocollo di Pronto Soccorso della clinica. Osservava il Tribunale che non era credibile che il paziente fosse rimasto stazionario durante tutta l’attesa, perché in quel lasso di tempo, oltre a un peggioramento dei sintomi, doveva essere intervenuta anche una variazione dei parametri registrati inizialmente, così da condurre alla modifica del codice. Rilevava, altresì, che la situazione non era stata presa in considerazione al momento del passaggio di consegne del personale infermieristico, posto che neanche i medici erano a conoscenza della presenza di un paziente ancora da valutare.
Ad avviso della Corte di Cassazione, venivano in considerazione, in primo luogo, le censure attinenti ai vizi motivazionali prospettati con riferimento alla ritenuta corretta assegnazione del codice di triage e all’apparente mancanza di aggravamento del paziente durante la permanenza al Pronto Soccorso.
In proposito si osservava, quanto al primo profilo, che, a fronte dei rilievi contenuti nella sentenza di primo grado riguardo alla sussistenza di un quadro sintomatologico tale da meritare l’attribuzione di un codice giallo, la Corte d’Appello giungeva a differenti conclusioni limitandosi a fare riferimento alle risultanze del “bollettone” di Pronto Soccorso, dal quale si evinceva che l’uomo si era presentato “non pallido, eupnoico, non sudato” e con parametri vitali normali. Riteneva la Cassazione che la motivazione sul punto fosse insufficiente, posto che delle indicazioni contenute nel predetto documento aveva tenuto conto anche la sentenza di primo grado nel giungere ad opposto convincimento, rapportando, inoltre, le condizioni della vittima a quelle di altra situazione analoga giunta in Pronto Soccorso quello stesso giorno e valutata con assegnazione di un codice rosso.
Quanto al secondo profilo, la Cassazione evidenziava l’illogicità manifesta del ragionamento della Corte d’Appello che traeva dalla soggettiva manifestazione del paziente (“si doleva per gli intollerabili tempi di attesa … e non lamentava aggravamenti sintomatici”) l’irragionevolezza dell’affermazione contenuta nella sentenza di primo grado, riguardo al ritenuto peggioramento sia sintomatologico che dei parametri, tale da indurre a un pronto intervento medico, affermazione tratta, in realtà, in forza di un ragionamento deduttivo, “dall’esito verificatosi” secondo una massima di comune esperienza.
La sentenza impugnata era, altresì, censurabile, secondo la Cassazione, quanto alle conclusioni cui era giunta con riferimento all’inesigibilità della condotta degli infermieri. La Corte territoriale, infatti, desumeva l’impossibilità di rivalutazione della situazione del paziente, pur prevista dal protocollo ospedaliero, dalla esiguità del personale in servizio quel giorno, a fronte della situazione eccezionale, per il numero di persone giunte in Pronto Soccorso.
Ma, sosteneva la Suprema Corte, l’affermazione dell’esonero da responsabilità, per omessa attuazione di una condotta doverosa ai fini della salvaguardia della vita umana, avrebbe richiesto una compiuta analisi riguardo alla presenza di medici e infermieri in rapporto all’affluenza delle presenze in Pronto Soccorso, considerando non solo il personale ivi addetto, ma anche le disponibilità delle forze presenti nell’intero ospedale. Ed invero deve ritenersi che spetti al personale di Pronto Soccorso allertare il personale dei reparti, ove si verifichino situazioni di emergenza tali da determinare la compromissione grave della salute dei cittadini bisognosi di cure di primo intervento, circostanza che non risulta emergere nella specie.
Passando alla questione relativa alla negazione della sussistenza del nesso causale, la Cassazione sottolineava del pari la manifesta illogicità del percorso motivazionale. La Corte territoriale, infatti, pur richiamando espressamente i criteri enunciati in tema di causalità omissiva dalla sentenza Franzese, si fondava su un ragionamento probabilistico che, in contrasto con il criterio dell’elevato grado di credibilità razionale da quest’ultima sentenza enunciato, riconduceva l’incidenza del più tempestivo intervento in termini percentuali, per vero neppure esigui, di sopravvivenza del paziente.
Va, in proposito, ricordato che le Sezioni Unite nella sentenza citata così si esprimono: “il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, sicché esso è configurabile solo se si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l’azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l’interferenza di decorsi causali alternativi, l’evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva”.
Peraltro, le censure non investivano la posizione del N.
Ed invero, veniva posta in luce l’omessa segnalazione, al momento della presa in carico del servizio da parte di costui, di situazioni particolari da parte dell’infermiera che lo aveva preceduto, oltre alla presenza di situazioni di emergenza verificatesi proprio durante il suo turno. Correttamente, pertanto, la Corte d’Appello evidenziava, a fondamento del giudizio di esonero di responsabilità dell’imputato, che “la presenza del paziente con assegnato codice verde, unitamente all’eccezionale afflusso di richiedenti nel Pronto Soccorso, aveva indotto ad un affidamento sull’attività di triage effettuata dalla collega che l’aveva preceduto”.
In definitiva, la Cassazione annullava la sentenza impugnata nei confronti di R. e del responsabile civile e rinviava per nuovo esame alla Corte d’Appello. Rigettava, invece, i ricorsi nei confronti di N.