Le unità cinofile del Soccorso Alpino FVG - Quando il cane è davvero il miglior amico dell'uomo
Quando parliamo di Soccorso Alpino e recuperi di dispersi in montagna, non possiamo non pensare alla presenza di cani da ricerca. In particolare, all’interno del Corpo Nazionale del Soccorso Alpino Fiuli Venezia Giulia, come tutte le altre sezioni di Soccorso Alpino, esistono diverse unità cinofile.
Come spiega Melania Lunazzi, addetta stampa del CNSAS FVG, la presenza di cani durante le ricerche di dispersi in casi di valanghe, terremoti e incidenti nei boschi è di fondamentale importanza. In particolare Melania sostiene che ” il cane lavora in perfetta simbiosi con il suo conduttore, che è anche ed esclusivamente il suo padrone. Si allenano costantemente insieme per questo e l’impegno è costante da parte di entrambi. Ecco perché si parla di ‘unità‘. Conduttore e cane sono un binomio unico e indissolubile.
Le unità cinofile rappresentano un tassello essenziale di lavoro di squadra durante il soccorso coordinato. Il CNSAS FVG possiede 12 unità cinofile, che si dividono in diverse categorie:
- UCV (Unità Cinofile Valanga): unità specializzate nella ricerca di dispersi a causa di valanghe. La prima unità cinofila di questo tipo fu istituita a Cave del Predil, nelle Alpi Giulie.
- UCRS (Unità Cinofile Ricerca in Superficie): utilizzate soprattutto in zone boschive con un minimo di 5 ettari di vegetazione.
- UCRC (Unità Cinofile specializzate in Catastrofi): impiegate specialmente in caso di terremoti e/o alluvioni. Questi cani sono in grado di rilevare odori provenienti da fessure anche molto strette. Per questo sono stati essenziali anche durante le operazioni di salvataggio durante i drammatici terremoti nel Centro Italia.
- UCRM (Unità Cinofile Molecolari): cani addestrati nella ricerca e che riescono, per loro natura, a captare un serie elevata di molecole tramite l’olfatto.
Per quanto riguarda i cani molecolari, il discorso è molto più complicato di così. É intrinseco di impegno, dedizione e costanza. Lo vediamo nella seguente intervista fatta da Melania Lunazzi a Claudia Colledani, operatrice cinofila nel Soccorso Alpino Friuli Venezia Giulia, pubblicata anche sulla rivista Barbacan il agosto 2017.
Quando si tratta di portare soccorso in ambiente impervio e alpino occorre la presenza di cani agili, allenatissimi, scattanti e dal fiuto impeccabile. I volontari del Corpo Nazionale del Soccorso Alpino (CNSAS) lo sanno bene ed è per questo che all’interno del loro team hanno fin dall’inizio previsto la presenza della cosiddetta Unità Cinofila per portare soccorso in montagna. Ovviamente l’Unità Cinofila è all’interno del CNSAS soltanto uno dei tasselli del lavoro di squadra che viene messo in atto durante un’operazione di soccorso coordinata e agisce sempre in team assieme a tutti gli altri tecnici ai fini di una efficace conduzione dello stesso.
Nella nostra regione i cani da soccorso sono stati inizialmente cani da ricerca in valanga (UCV – Unità Cinofila Valanga) e infatti la prima unità cinofila è stata istituita alla stazione del CNSAS di Cave del Predil, nel cuore delle Alpi Giulie. Da allora ad oggi c’è stato un incremento di questo tipo di operatori di soccorso non solo in termini di numeri – il CNSAS – FVG ha dodici unità cinofile -, ma anche quanto a specializzazione. Già negli anni Ottanta è nata in regione la figura del cane da ricerca in superficie (UCRS), che lavora su zone boschive e ampie (minimo cinque ettari di superficie); a cui si sono aggiunte quella del cane da catastrofe o da macerie (UCRC) – impiegato soprattutto negli scenari di alluvioni e terremoti e che è in grado di trovare un odore che fuoriesce anche da fessure minime; e infine quella del cane molecolare (UCRM), di cui vedremo tra poco.
Tutti questi animali appartengono a razze ben diverse da quella del San Bernardo, si va dal pastore tedesco grigione al border collie, ai malinois, dal breton épagneul al bloodhound. Cani fra loro differenti per aspetto e caratteristiche, ma tutti altamente performanti grazie agli intensi allenamenti cui vengono sottoposti assieme ai loro proprietari. Il cane infatti non lavora da solo, ma costituisce un binomio indissolubile con il suo conduttore, che è esclusivamente il suo padrone: è per questo motivo che si parla di Unità Cinofila. Sono in due, ma lavorano come fossero uno, sottoponendosi a continui allenamenti ed esercitazioni. Sempre insieme.
“Per il cane è un gioco: è questa la cosa più importante. E poi c’è la ricompensa” dice Claudia Colledani, 52 anni, da 27 poliziotta in questura e da 11 anni cinofila del Soccorso Alpino delle stazioni di Pordenone e Maniago. Grande appassionata di montagna – “mi piace arrampicare e camminare: la montagna è stata la mia palestra di vita” – e grande amante dei cani. Attualmente ne ha due e sono entrambi cani da soccorso. Oscar è un vivace breton épagneul di undici anni che opera come cane da ricerca in superficie. Mentre Galileo Toby, seienne cane di razza bloodhound, è un prezioso cane da ricerca molecolare, l’unico presente in Friuli. A tal punto prezioso che, come un’opera d’arte, non se ne può rivelare la residenza. Non è un caso che Galileo Toby sia figlio di Joker, il cane da ricerca molecolare della Polizia Cantonale Ticinese Svizzera che ha fornito un fondamentale contributo nel risolvere le indagini per l’omicidio di Yara Gambirasio, il terribile caso di cronaca nera di qualche anno fa.
Il cane da ricerca molecolare costituisce una preziosa acquisizione nel CNSAS – FVG, grazie alla passione per la montagna di Claudia: il suo percorso di formazione è stato lungo e impegnativo. Ma per raccontarlo partiamo innanzitutto dal nome che lo identifica. Letteralmente bloodhound significa “cacciatore di sangue” ed è un termine entrato nell’uso comune in America per definire la razza chien de Saint Hubert – questo sarebbe il suo vero nome in realtà -, da quando questo tipo di cane da caccia è entrato a far parte dei corpi di polizia. L’altra definizione è appunto “cane molecolare”: l’aggettivo mutuato dall’ambito scientifico – chimico sta ad indicare il fatto che questi animali sono in grado di mettersi sulle tracce di un preciso odore, inseguendolo tra mille altri, senza mai perderlo se non in particolari condizioni avverse: “In teoria – dice Claudia – tutti i cani possono fare ricerca molecolare, però il bloodhound ha, per morfologia strutturale fisiologica della testa e del naso, degli intercettori olfattivi che percepiscono più di 6000 molecole, mentre un cane normale arriva soltanto a 2500”.
Non è un caso che l’attività dei cani molecolari venga definita “mantrailing”, che letteralmente sta per “inseguire l’uomo”: il bloodhound infatti è in grado di seguire le tracce dell’odore che identifica una precisa persona e di capire i suoi spostamenti, circoscrivendo precise aree di ricerca e permettendo di escluderne altre. Quindi viene impiegato, ad esempio, per la ricerca di persone disperse o che non vogliono farsi trovare. Ma può farlo con efficienza solo se esistono due condizioni necessarie: “Bisogna avere a disposizione – dice Claudia – un reperto di odore il più possibile non contaminato da altri odori umani e conoscere l’ultima posizione certa della persona di cui si va in cerca, quale può essere, ad esempio, una macchina lasciata all’inizio di un sentiero”. Questo inseguimento il segugio lo può fare anche dopo diversi giorni, a meno che nel frattempo non ci siano state piogge intense, vento forte o caldo eccessivo, con i quali diminuisce la percentuale di riuscita. La differenza rispetto agli altri cani da ricerca, sta nel fatto che questi ultimi cercano la presenza di un odore umano nell’ambiente e lavorano liberi, mentre i segugi molecolari seguono quel preciso odore e lavorano legati ad un guinzaglio di sei – otto metri: “Una volta – ricorda Claudia – mi sono rotta un dito perché ci ha tirati giù in tre su un sentiero”.
Fino a qualche anno fa il mantrailing veniva praticato solamente in ambiente antropizzato. Il Soccorso Alpino è stato il primo a lavorare con questo tipo di cane su terreno impervio (che può essere sia alpino, sia ipogeo), anche grazie alla passione di Claudia. Sono cani felici o sono delle macchine da lavoro? “Felicissimi. E anche molto socievoli con i bambini, ovviamente sempre con la supervisione di un adulto”. Se Galileo Toby è l’unico esemplare della squadra cinofila del CNSAS con talento specifico e mirato all’inseguimento di dispersi o fuggitivi, ci sono però altri undici preziosi quattro zampe che operano attivamente sul territorio alpino con grande impegno dei loro padroni nella formazione e negli allenamenti settimanali fin dalla giovane età. “La formazione delle Unità cinofile comincia già da piccoli – dice Ermes De Pol, coordinatore cinofilo regionale del CNSAS – e viene effettuata in regione da istruttori nazionali presenti nella nostra delegazione. Però cani e conduttori devono superare due verifiche a cadenza annuale per poter operare: all’età di 6-12 mesi e nel secondo anno di età. Queste verifiche sono tenute dalla scuola nazionale Unità Cinofila, mentre per il cane molecolare la formazione viene fatta dall’I.N.B.T.I. che è una associazione americana operante in Italia, che invia i propri giudici dall’America per verificare se il livello addestrativo del cane ha raggiunto determinati standard per operare. L’anno scorso il cinofilo Gabriele Simeoni, una settimana dopo aver raggiunto il brevetto, trovava con il suo cane Argo una signora dispersa e in stato confusionale nella zona di Gemona. Un buon inizio”.