Servizi socio-sanitari e volontariato: qual è il punto della situazione?
Si è svolto a Chiaravalle, presso la Sala Convegni della Croce Gialla di Chiaravalle (AN), in occasione dell’Assemblea nazionale pubbliche Assistenze Anpas 2016, il seminario “Affidamento dei servizi sociosanitari al volontariato”. Un approfondimento sull’impatto della partecipazione dei cittadini sui bisogni delle comunità.
In apertura, il presidente di Anpas Marche Massimo Mezzabotta ha dato il benvenuto da parte delle 48 pubbliche assistenze e degli oltre seimila volontari agli intervenuti al convegno.
“Stiamo facendo un percorso, quello del codice etico, che stiamo mettendo a punto con le associate pe condividere le caratteristiche del nostro mondo: il concetto che è alla base di alcuni aspetti della Riforma del Terzo Settore: distinguere il grano dal loglio. Un percorso complesso di caratterizzazione, di conoscenza, sull’impatto sociale che creiamo e come oggettivarlo” ha dichiarato in apertura Fabrizio Preglisco, presidente Anpas.
Antonio Fici, Università degli Studi del Molise ha sottolineato come la Riforma inviti ad una prima riflessione: “Tutta l’area dell’economia non capitalistica è oggetto di vari interventi che vanno aldilà della riforma. In questo clima la mia ossessione è sull’esigenza di definire l’identità precisa: una condizione indispensabile per lo sviluppo per le organizzazioni di volontariato. C’è una relzione tra l’identità e gli affidamenti dei servizi. Le organizzazioni di volontariato (ODV) sono destinatarie di norme specifiche in materia di rapporti con gli enti pubblici. Tra queste, particolare rilievo hanno le norme sull’affidamento di servizi, che contribuiscono a configurare un sistema in cui le ODV costituiscono il partner “fiduciario” della pubblica amministrazione (PA) nella gestione e fornitura di servizi alla persona, inclusi i servizi sanitari. Al riguardo, il termine “affidamento” di servizi non è casuale, bensì sintomatico di una relazione speciale che si caratterizza per il comune obiettivo di ente affidante (la PA) ed ente affidatario (le ODV). Il sistema degli affidamenti diretti e prioritari alle ODV nell’ambito dei servizi sanitari, che trova numerose giustificazioni teoriche di natura diversa, ha, sul versante giuridico, ricevuto definitiva legittimazione dalla Corte di giustizia dell’Unione europea in due recenti sentenze del 2014 e del 2016. Ampiamente esaminate da studiosi ed operatori, di queste sentenze non è stato però ancora sufficientemente approfondito il lato dei presupposti e delle conseguenze in termini di identità organizzativa delle ODV. In questa relazione, pertanto, sottolineerò questo aspetto e mi soffermerò sui profili identitari che ODV “postmoderne”, consapevoli del loro ruolo di centri di produzione (senza scopo di lucro) di servizi nell’interesse della collettività, potrebbero assumere ai fini del loro ulteriore sviluppo. L’identità delle organizzazioni di volontariato si articola in una dimensione singola e collettiva, di sistema, perché una ODV isolata, avulsa da una rete di ODV cui appartenga, difficilmente può essere efficace ed efficiente. Nello svolgere la relazione terrò altresì conto del recente Codice degli Appalti e del testo, appena approvato dalla Camera, di riforma del Terzo Settore.
Andrea Volterrani, Università degli Studi di Roma Tor Vergata, ha ricordato il suo lavoro sulla valutazione dell’impatto sociale iniziato dieci anni fa: “dieci anni fa abbiamo iniziato un primo lavoro in cui ci chiedevamo se esisteva un valore sociale aggiuntivo sulla attività delle organizzazioni di volontariato e se si poteva misurare con alcuni indicatori specifici. Una riflessione forse prematura. La legge ha accelerato una riflessione su questo aspetto partendo da una prospettiva della trasparenza e della legalità
Etica, trasparenza e comunicazione tra gli indicatori principali per la valutazione d’impatto sociale. Importante individuare possibilità di sviluppo e crescita. In particolare il valore sociale si intende un insieme di caratteristiche che distinguono i soggetti del terzo settore da altri soggetti attivi nelle comunità territoriali (ad esempio le imprese, la pubblica amministrazione) e che potenzialmente rendono il terzo settore promotore della coesione sociale. La valutazione di impatto sociale è finalizzata alla verifica degli effetti positivi o meno, previsti o non previsti di un programma o progetto nel lungo periodo, rispetto non solo ai beneficiari diretti ma anche al contesto territoriale di riferimento. Per poter effettuare una buona valutazione è necessario sia recuperare tutte le basi informative possibili sia, e soprattutto, coinvolgere i decisori, gli operatori e, dove possibile, i beneficiari nel processo valutativo. Di fatto, questo, significa impostare una valutazione di tipo partecipato. Rispetto ad una prospettiva di valutazione singola e autonoma, la valutazione partecipata ha in più la costruzione di un nuovo panorama che comprende non solo l’evaluando, ma anche l’universo di relazioni che ad esso sono collegate, le azioni che tutti gli stakeholders compiono nel momento della valutazione, i rapporti che si instaurano fra beneficiari diretti ed indiretti e la interpretazione comune dei dati che emergono dalle analisi. Il modello propone l’individuazione di un insieme di dimensioni ricorrenti corredate da indicatori qualitativi e quantitativi che servano da una parte a distinguere l’apporto del terzo settore al sistema di welfare e dall’altro siano riconducibili a dei parametri di misurazione quanto più accurati possibili.
Sara Rago, Area Ricerca AICCON (Associazione Italiana per la promozione della Cultura della Cooperazione de del Non Profit, Università degli Studi di Bologna (sede di Forlì) ha sottolinato com la necessità di soffermarsi sul tema dell’impatto sociale generato dalle imprese sociali nasca dalla fase di passaggio che il Terzo settore italiano sta attraversando e che si lega inevitabilmente alla transizione da un modello di welfare state ad uno di welfare society (o “civile”), due sistemi di welfare che si basano su altrettanti principi. “Da un lato, quello di redistribuzione, in cui lo Stato preleva dai cittadini risorse tramite la tassazione e le redistribuisce attraverso il sistema di welfare; dall’altro, il principio di sussidiarietà circolare in cui i cittadini sono coinvolti nel processo di pianificazione e di produzione dei servizi (co-produzione), che supera la dicotomia pubblico-privato (ovvero Stato-mercato) aggiungendovi una terza dimensione, quella del civile. Il passaggio da una logica di produzione ed erogazione di servizi ad una di produzione condivisa con i beneficiari di quegli stessi servizi (co-produzione) postula un cambiamento di prospettiva da parte delle imprese sociali, che fanno delle relazioni il motore del loro agire. Confrontarsi con la misurazione dell’impatto generato permette alle imprese sociali (in tutte le loro declinazioni) di dare evidenza della loro produzione in termini di quel valore aggiunto sociale che contribuisce ad alimentare il capitale reputazionale dell’impresa stessa. Come sostiene Peter F. Drucker (1993), infatti, “le imprese di successo sono quelle che si concentrano sulle responsabilità piuttosto che sul potere, sulla tenuta di lungo periodo e sulla reputazione delle società piuttosto che accumulare risultati di breve termine l’uno sopra l’altro”. Non solo. Un ulteriore motivo per attivare processi di misurazione dell’impatto generato risiede nella correlazione esistente tra valore sociale prodotto nei confronti dei propri dipendenti e l’aumento della produttività di questi ultimi (Oswald et al., 2013). Inoltre, ciò permette di accrescere il potere negoziazione e la capacità di dialogare con e influenzare le istituzioni locali. Ma soprattutto l’attività di misurazione permette alle imprese sociali di valutare ossia “dare valore” alle relazioni che orbitano intorno a loro, dando evidenza così della trasformazione apportata nei confronti della comunità e dei territori in cui esse operano. Valorizzate i valori e le peculiarità delle declinazioni territoriali peché in termini di impatto è estremamente importante”.
Fabio Sturani (Regione Marche): “Siamo la regione più longeva d’Italia e in un momento di varie modificazioni normative. La vostra esperienza nel cogliere i mutamenti rappresenta un’opportunità in più ch si aggiung al sistema tra istituzioni e cittadini. Di fronte ad una crisi così pesante, ad un bisogno di servizi sociali che aumentano, in questi anni anche grazie al volontariato si è data una risposta significativa alla coesione sociale. Come diceva Sara Rago dbbiamo rivedere anche il sistma di welfare del nostro paese. In questo cambiamento non si può prescindere dal volontariato, come capacità di valore sociale, come ribadiva il professore Andrea Volterrani. Apprezzo lo sforzo di essere protagonisti per affermare i principi e le coordinate del vostro modo di agire sul territorio”.
In conclusione Fabrizio Pregliasco ha evidenziato come cruciale sarò la sostenibilità economica e l’autofinanziamento delle attività delle pubbliche assistnze “Il meccanismo del rimborso spese e delle rendicontazioni è molto eterogeneo e diverso da regione a regione. Sull’affidamento dei servizi al volontariato stiamo lavorando con Misericordie e Croce Rossa uno studio scientifico di valutazione dei costi e delle modalità di affidamento con Fiaso. È bene continuarae a lavorare sull’identità:è un lavoro di consapevolezza per vedere il futuro di Anpas. A livello europeo dobbiamo ringraziare gli sforzi fatti dai comitati che si sono battuti sulle modalità di affidamento dei servizi per una peculiarità che è la nostra. Dobbiamo contiunare a incidere sui Decreti Delegati nella Riforma in difesa della nostra storia. Prendo in prestito quanto dichiarato da Andrea Volterrani: Anpas portatore ufficiale di valore sociale“.