Sudan, a causa di COVID-19 rimesse degli emigrati crollate ad un sesto: chiuse decine di ospedali
Sudan, gli effetti della pandemia COVID-19. Meno servizi sanitari, a causa della chiusura di decine di ospedali, e crollo delle rimesse inviate dagli emigrati, passate da circa tre miliardi ad appena 500 milioni di dollari: queste, secondo Vincenzo Racalbuto, dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics), alcune delle conseguenze della pandemia di Covid-19 in Sudan.
Temi, questi, al centro di un panel dedicato all’Africa organizzato oggi nel quadro del Festival dello sviluppo sostenibile.
“A livello sanitario 50 o 60 ospedali privati hanno chiuso perche’ non avevano materiali di protezione” ha calcolato Racalbuto, titolare della sede di Aics a Khartoum: “Inevitabilmente, l’accesso ai servizi sanitari si e’ ridotto molto”.
SUDAN, LA PANDEMIA DA COVID-19 E’ ANCHE UN NODO ECONOMICO
L’altro nodo e’ economico.
Secondo il responsabile dell’Agenzia, “cinque milioni di emigrati della diaspora sudanese inviavano tre miliardi di dollari l’anno ma nel 2020 il flusso si e’ ridotto a 500 milioni, appena un sesto di prima”.
Racalbuto ha evidenziato che il calo ha “un grave impatto sulla poverta'”.
In primo piano, nell’intervento al Festival, anche l’evoluzione della pandemia.
“In Sudan circa il 60 per cento della popolazione ha meno di 25 anni e forse anche per questo la situazione appare meno grave” ha detto Racalbuto. Convinto, d’altra parte, che pesi il ritardo nella capacita’ di rilevazione dei contagi.
“Il Sudan aveva solo un laboratorio di virologia, a Khartoum, che faceva 50-60 test, un numero irrisorio” ha sottolineato il responsabile di Aics.
“Ora ne abbiamo fatti installare altri due, negli Stati di Kassala e Port Sudan, aumentando la capacita’ diagnostica”.
Sullo sfondo un altro nodo difficile da sciogliere, relativo all’impossibilita’ di fatto per Khartoum di importare forniture e kit sanitari essenziali, come ad esempio Genexpert.
“Sono tutti prese dagli Stati Uniti o da altri Paesi” denuncia Racalbuto.
Convinto che una via da percorrere possa essere la creazione di un “procurement office”, una centrale per gli acquisti che garantisca un percorso privilegiato di approvvigionamenti per l’Africa.
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