Test di soccorso in acqua: lesson learned
Intervenire su un incidente è sempre operativamente ed emotivamente difficile; le forze in gioco sono molte, così come i possibili indici di sospetto. Quando però a queste dinamiche tipiche si aggiunge quella (atipica) del volo, l’intervento si complica. Si moltiplicano le difficoltà, spesso viste come “mancanze” dall’equipaggio abituato a intervenire su scenari ben diversi (anche se non necessariamente più semplici), fanno da volano alla situazione
di Luca Tomaiuolo
Come tutti gli sport, il volo sportivo, prevede una serie di regolamentazioni e di dispositivi di sicurezza attiva e passiva con cui, inevitabilmente, ci si “scontra” nell’intervento. Soprattutto in caso di ammaraggio forzato.
Questo lo scenario messo in atto il 29 settembre scorso da Gabriele Bertulessi, esperto pilota di paramotore, con quasi 20 anni di volo all’attivo. Per la prima volta in pieno assetto di volo, presso il Parco Nautico – WaterSki di Recetto, ha effettuato un ammaraggio con il suo paramotore per testare la capacità dei sistemi di sicurezza nella fase primaria di auto-soccorso e del successivo intervento da parte del personale chiamato ad intervenire.
Con l’impiego di un’equipaggio di soccorso, un’ambulanza e un sommozzatore, è stato possibile valutare non solo la prontezza dei soccorsi e l’oggettiva efficienza dell’intervento ma la stessa capacità di auto soccorso del pilota, costruendo in itinere un protocollo operativo generale valido.
Lo studio dell’impatto ha fatto emergere alcune variabili significative diverse per i due soggetti: per la valutazione della dinamica dell’impatto, il calcolo dell’indice di sospetto e l’intervento in acqua per i soccorsi; per la determinazione dell’angolo di ammaraggio e del movimento in acqua nel post-impatto per il pilota.
Il sorvolo di zone acquatiche (mare e grossi specchi d’acqua dolce) rappresenta per i piloti un passaggio dal rischio residuo elevato.
E’ stato osservato, grazie a questa esperienza, che un corretto ammaraggio, unito ad un’ottimale gestione della vela sono punti fondamentali per agevolare l’intervento dei soccorsi.
Dicevamo, di base è necessario avere dei dispositivi di sicurezza passiva, pro-attiva e attiva installati a bordo: un salvagente nautico a gonfiaggio automatico fissato sul telaio, cinture di sicurezza facilmente slacciabili per potersi liberare una volta in acqua (l’esperienza acquisita ha permesso di confermare la necessità di iniziare il divincolo già a bassa quota, pochi secondi prima dell’impatto, in modo da avere una maggiore possibilità di movimento quando in acqua), il porto di un tagliacinture utile per tagliare i cordini della vele, qualora questi iniziassero ad attorcigliarsi intorno alle gambe del pilota e degli eventuali soccorritori, soprattutto se l’evento si svolge nella sua interezza in acque agitate e/o correnti.
L’esperienza ha permesso di ottenere valide indicazioni non solo per il personale interessato all’aspetto puramente ludico (prima) e di auto-soccorso (dopo) ma soprattutto al team di soccorso che potrebbe intervenire sulla scena.
Le variabili in gioco sono molteplici, legate soprattutto all’ambiente esterno: essere costretti ad ammarare in un laghetto fermo e in un punto in cui si tocca è ben diverso dal farlo in un contesto acquatico, agitato e in prossimità di pareti rocciose con fondale oltre i 2 metri di profondità.
E’ dunque necessario partire dal presupposto che tutto cambia quando l’emergenza è reale, attuale e imminente.
Prescindere questo, sarebbe un grave errore concettuale.
E’ però chiaro come, nello specifico scenario reale, la vera linea di demarcazione sia la causa che porta il pilota a tentare un’ammaraggio. In caso di malore infatti, le necessità e attenzioni del team cambiano; viceversa, in caso di guasto tecnico, è chiaro come la costante fondamentale diventi quella data dalla capacità del pilota di collaborare e ancor prima “veicolare” l’intervento tentando un ammaraggio facilitante l’auto soccorso.
Le due situazioni dunque, se identiche nel fine sono ben diverse nei metodi e nelle dinamiche, con conseguente diverso approccio.
L’experiential learning ha fatto emergere la necessità di un intervento rapido, qualora possibile con presenza di personale in acqua pronto a indirizzare il pilota verso un punto di impatto preferito, con l’utilizzo dei vari presidi previsti in causo di trauma.
Particolare attenzione, come immaginabile, va data alla vela, ai cordini e alla struttura del paramotore, che potrebbero trattenere pilota e soccorritori in acqua, con conseguente complicazione della scena.
Concludendo e condensando il concetto in una frase, “non tratto quello che non trovo, non trovo quello che non cerco”.
E in casi come questo, è proprio la collaborazione tra le parti (anche inconsapevole) il vero cardine del soccorso. Senza la giusta conoscenza dei presidi e delle attrezzature, la necessaria preparazione e l’interesse a testare e approfondire, tutto diventa complicato e approssimativo.
Col rischio di fare metaforicamente la fine del primo volo raccontato, troppo vicino al sole e con ali improvvisate.